In ogni tempo e in ogni cultura del mondo un matrimonio privo d'amore è un inferno da scontare in vita. Di certo anche un matrimonio felice può diventare un paradiso al contrario, ma quando ci si sposa per convenienza, per denaro, per costrizione o per salvar l'onore, le basi della coppia sono compromesse sin da subito: è come una casa nelle cui fondamenta vi sia più sabbia che cemento. È il caso di Fortunato Maria Conti, capracottese, e di sua moglie Mariarosa, sposatisi nel maggio 1810 a Orta (FG), e di come la ragazza sia riuscita a far annullare il matrimonio dopo poco più di sei mesi.
Sulla base delle annotazioni giurisprudenziali, ho scoperto che Mariarosa era sedicenne e adì il Tribunale civile di Lucera già nel dicembre dello stesso anno, tanto che nei due primi gradi di giudizio la corte le diede ragione. Fortunato non voleva assolutamente dargliela vinta e produsse ricorso per ben due volte. Probabilmente, sapendo di essere nel torto, egli non poteva tornare a Capracotta senza la donna che aveva sposato: il suo onore ne avrebbe risentito negativamente. Fatto sta che gli argomenti di Mariarosa erano molto più che convincenti. Erano schiaccianti.
Essendo il divorzio un fatto moralmente ripugnante, la ragazza impugnò il matrimonio per farlo dichiarare nullo e a tal fine presentò tre validi motivi:
che le nozze si erano celebrate in casa di suo padre e non presso il Comune;
che il consenso le era stato estorto dal padre con la violenza;
che a riprova del suo dissenso, si era rifiutata di sottoscrivere l'atto dinanzi all'ufficiale dello Stato civile.
Con sentenza del 7 gennaio 1811 il Tribunale di primo grado annullò il matrimonio e Fortunato si appellò. A quel punto, per evitare qualsiasi unione col presunto marito, Mariarosa si rifugiò in un conservatorio, tanto che il procuratore regio di Trani dovette recarsi presso di lei per esplorarne gli intenti e la volontà. Con sentenza del 25 settembre 1811 il Tribunale di secondo grado ordinò che il matrimonio restasse annullato e che Mariarosa venisse sciolta da qualsiasi unione, libera «di ritirarsi in propria casa». Fortunato, tuttavia, nella persona del suo avvocato Giovan Battista Bomparola, presentò nuovamente ricorso.
La Corte di Cassazione di Napoli prese atto che nel frattempo, il 19 dicembre 1811, Mariarosa si era regolarmente sposata in chiesa con Giuseppe Giovene e, senza alcuna necessità di rinvio a giudizio, rigettò il ricorso di Fortunato perché le testimonianze precedentemente fornite da Francesco Giampietro, avvocato della ragazza, erano più che sufficienti e i due processi si erano svolti con perizia. Sulla decisione cassativa del 22 aprile 1812 pesava quindi un principio di chiara ispirazione cattolica, secondo cui «non vi è matrimonio, ove non vi è consenso», ma vi fu anche l'intenzione del magistrato di esautorare una volta per tutte le riunioni private - in linea col diktat napoleonico - visto che a norma di legge non era obbligatorio sposarsi nella «casa del comune» ma bastava la «presenza dell'uffiziale civile pubblicamente».
Provo ora a immaginare cosa sia realmente successo.
La giovanissima Mariarosa conviveva con Giuseppe. Suo padre, per evitare che la figlia facesse una vita grama e disonorevole col fidanzato troppo giovane e squattrinato, la obbligò a maritarsi con un uomo benestante, magari un proprietario capracottese di armenti in Puglia. Ovviamente, il padre non poteva portare Mariarosa e Fortunato davanti a un prete o al Municipio, e decise così di celebrare le nozze tra le mura di casa alla presenza di diversi testimoni e di un ufficiale dello Stato civile. Il progetto di Fortunato e del padre di Mariarosa, tipicamente maschilistico e patriarcale, si infranse però contro la testardaggine di Mariarosa, innamoratissima del suo Giuseppe. Spero soltanto che i due giovani abbiano vissuto una vita felice perché, loro sì, s'erano sposati per amore.
Alfonso Di Sanza d'Alena mi ha infine rivelato che, visto l'insuccesso di questo matrimonio, nel 1813 Fortunato Conti sposò Maria Teresa Di Ciò, figlia del medico e giudice di pace Diego e di Vincenza Mosca.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
B. Croce, Il divorzio nelle province napoletane: 1809-1815, in «Scuola Positiva», I:11-12, Napoli, ottobre 1891;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
N. Nicolini, F. Parrilli e G. V. Englen, Supplimento alla collezione delle leggi, vol. I, Stamp. della Segreteria di Stato, Napoli 1818.