Era una giornata fredda e ghiacciata, ed era da giorni che la neve resisteva e i suoi ghiacci a matita sui tetti decoravano le giornate gelide e serene a Pischialta.
Roberto nella sua tenera età si svegliò a un'ora piccola quella mattina. Qualcosa lo preoccupava, lo attanagliava nel suo cuoricino di ragazzino già adulto per le circostanze. Si affacciò dalla finestra della sua cameretta e diede uno sguardo all'orizzonte di sempre e i tetti sempre più colmi di neve e il caseggiato del borgo di Pischialta già era in vita, e i suoi camini già sbuffavano nuvole, ingrovigliati di fumo come pipe. Più in là a valle, verso il vallone, il rumore era incalzante dell'acqua forzosa che scorreva e trascinava grossi massi per la furia delle sue acque gelide, a rifocillare le macro e micro sorgenti fino a gonfiarsi e trasportare alberi e cespugli e gonfiare il fiume Sente. I fitti alberi famigliari erano rivestiti tutti di bianco, gli uccelli e i pettirossi per il gran freddo si annidavano nei poveri tetti o nei pagliai circostanti, per proteggersi da una natura avversa, verso nord in lontananza si vedeva il crinale dolcemente scendere da Schiavi paese e si estendeva a valle fino al fiume Sente, reso molto più dolce e armonico dal manto nevoso. Però in cima dove si ergeva Schiavi, con il suo alto campanile, il rumore delle campane arrivava fin in fondo alla valle e rendeva il borgo di Pischialta spettrale e armonico e isolato e invalicabile per uno spostamento anche per i più avveduti uomini, ma di fronte al paese un'altra montagna, quasi gemella, come a fargli sponda e amica si ergeva a picco con i suoi piccoli pini indolenziti e infreddoliti.
Roberto, quella mattina, dopo aver svolto i servizi primari di bambino e aver osservato i suoi orizzonti di sempre (la sua cameretta si posizionava in un umile caseggiato al secondo piano), scese i gradini a ventaglio che lo conducevano al primo piano e notò subito la gran folla che si muoveva come un formicaio e un gran fuoco che rendeva l'ambiente dai lineamenti umili e sobri accogliente e riscaldato. Gli si avvicinò una vecchina gentile e affabile che con voce sussurrata gli chiese che voleva per colazione. Il piccolo Roberto la guardò quasi con occhi lacrimanti e arrossati, come da giorni ormai, e le disse che gli andava bene qualsiasi cosa c'era disponibile. La vecchina, con modi matriarcali e attempata dai lunghi abbigliamenti scuri e con un fazzoletto scuro raggomitolato sulle orecchie a forma di conchiglia, era una zia del padre ma può essere definita mammanonna di tutti da diverse generazioni, dal nonno al padre a lui e il suo fratellino che, da pochi mesi, aveva fatto ingresso in quello spazio tempo.
Il piccolo Roberto prese una piccola seggiola di foglie di canna, disponibile in quella folla, e si mise vicino al fuoco dove un altro vecchietto si riscaldava con un'altra seggiola, e gli chiese come mai non era restato a letto che faceva freddo.
Ma i piccoli occhi bambini di Roberto si posarono sui grandi scarponi di suola del vecchietto dai gradi chiodi rotondi e ribattuti e poi, silente, lo fissò nei suoi occhi stagionati ed emozionati con la loro conoscenza antica e, in un silenzio radente dell'ambiente, gli tese una carezza senza parlare.
Erano ormai giorni e mesi che la sua umile casa era piena di gente che andava e veniva come un formicaio, di gente amica e conoscenti in corsa d'aiuto per la tragedia, e più medici si avvicendavano nel visitare sua madre.
Il piccolo Roberto si alzò dalla sua esile statura e si fece largo tra i conoscenti e amici e arrivò finalmente all'altra stanza dove prendeva posto il gran letto in ferro ricamato bordò e blu dove sua madre si annidava, come in una bomboniera di rosa fra i cuscini, e chiamandola a lungo una sua esile bianca mano dalla sua esile voce e dai suoi occhi stanchi e dolci lo chiamò e gli chiese come mai così presto, lui non rispose e la fissò, ed entrambi gli occhi si incrociarono e parlavano in una lingua segreta dove solo una mamma e un figlio possono dialogare. Tutto intorno seduti i famigliari, se li osservò dettagliatamente e li fissò, e tutti silenti e con occhi increduli lo inchiodarono come una spada a quel supporto metallico di emozione, come un tripudio di battiti e sensazioni lo marmorizzarono.
Il piccolo Roberto, però, non era cosciente lì a breve cosa già era organizzato dal mondo dei grandi, il vociare si faceva falciante e prepotente tra suo nonno, suo zio e suo padre, nel parlare di reti e brande rigide e resistenti, ma il piccolo Roberto non capiva, non comprendeva, la sua prepotenza si fece largo e spazio per comprendere i programmi che avevano pianificato contro di lui. A un certo punto, dal cuore in gola e gambe tremanti, domandò al nonno cosa stava per succedere.
E il nonno, uomo robusto e alto dai capelli brizzolati, dall'aria paterna e rassicurante, dalla voce tremante e più volte interrotta dall'emozione, si grattò la nuca più volte, gli disse:
– Bisogna portare tua mamma da medici esperti per guarirla e bisogna portarla a Lanciano.
Il piccolo Roberto, nella sua tenera età, era un condensato di emozione e reazioni, le sciabole e i coltelli affilati li sentiva dentro, voleva piangere, urlare, scappare, ma nulla di tutto questo gli fu concesso, come un lusso. Dentro lui non capiva e non sapeva dove era Lanciano o in quale posto preciso era destinata sua madre ma una cosa gli era chiara e netta: che voleva dire un distacco tra lui e sua madre.
E lì a breve, in quella umile casa e nell'animo dibattuto e perso del piccolo Roberto, in quell'arsura invernale dove il borgo di Pischialta era stretto da giorni da ghiacci e metri di neve, e in lontananza gli orizzonti nord verso la montagna di Castiglione Messer Marino e Capracotta e Belmonte del Sannio tutto rivestito di bianco, e la tramontana radente e gelida si alzava e trasportava con sé, spolverandola qua e là, e costruendo dune morbide e lievi, qua e là, di neve fresca, sui cumuli stagionati, e nel fare ciò emanava nebbia, a volte fitta a volte diradata, che permetteva allo sguardo preoccupato del piccolo Roberto di sperdersi tra le grandi querce innevate e i vigneti ed oliveti circostanti.
È qui che si consumava il più grande supplizio, il buco nero di un'esistenza spezzata e offesa per sempre per il piccolo Roberto.
Gli uomini potenti e robusti, amici in compagnia di suo nonno e di suo padre, si organizzarono a turno per effettuare il viaggio in branda di sua madre malata fino a nord della contrada dove la strada rotabile arrivava, sopportata e sorretta da braccia e forze umane, presero grandi coperte e lenzuola impermeabili e legate tra loro, per rendere confortevole e sopportabile quel viaggio all'ammalata.
L'animo del piccolo Roberto era a pezzi. Vedere quella rete, quella branda traballante tra i ghiacciai e le nevi immense, navigante tra colonne umane che a turno sorreggevano e spingevano verso nord, mentre la strada innevata si faceva pesante, insopportabile e ripida, ma lui era lì, in quella testiera di ghiaccio, da cui la mamma, con tutta la volontà e la forza, riuscì a estrarre la piccola e esile mano che raggiunse la manina del piccolo Roberto. Era orgoglioso e affranto in quel gelido trambusto stringere la mano e sentire il cuore battere e vibrare in una lingua segreta tra le piccole anime di mamma e figlio, si sentiva partecipe, laborioso e attivo di una didascalia dell'epilogo avverso in quella radura di ghiaccio.
E così il viaggio si consumava e s'impennava e il piccolo Roberto, lì aggrappato a quella piccola esistenza sfuggente, i passi gli sembravano tagli e ferite indelebili, i passi faticosi, bambini, si inoltravano in un labirinto esistenziale, e così arrivarono al primo gruppo di case e, nonostante il tempo glaciale e il cammino sopra a un metro e mezzo, nel circondario le grandi distese di prati innevati e lisci interrotte dalle sole tracce del passaggio dei cani indolenziti, superstiti e volenterosi affianco ai loro padroni, il solo solco di neve aperto dove la gente amica e fraterna di una frazione solidale continuava ad aggregarsi e, nell'arrivo in un saluto, una carezza al piccolo viso di Roberto, ma lui, distratto e pieno di moltitudini interne, era immerso nel suo dramma sanguinante.
In questo supplizio di carovane e folla umane, che il viaggio si consumava e si inoltrava sempre più a nord. A un certo punto il passaggio a picco scivolò verso un vecchio pozzetto dell'acqua comunale, e la ripidità e la robustezza della salita e il livello di neve sempre più alto, la carovana si fermò per un passaggio di braccia tra gli uomini amici e fraterni di una volontà solidale che sorreggevano la branda, la rete di sua madre, e una donnina esile, garbata, vestita di nero uscì da una umile e bassa casa dal camino fumante, col tetto scosceso e coperto di pietre pine. Da un ingresso, un cunicolo ricavato dalla neve stagionata e affumicata, con atteggiamenti materni si avvicinò con un commensale accompagnato dal marito, anche lui dai chiari segni sofferenti di una malattia perenne e offrì dolci e salati e bevande alla carovana, dalla testa ai piedi di chi ne accettava. Tutti, con garbo e silenzio, ringraziarono la cortesia e la gentilezza della vecchina.
La carovana riprese il suo cammino lento e faticoso in quel percorso perverso. Il piccolo Roberto sempre marmorizzato alla testata del letto e, mano nella mano, ormai solidificata fra sua madre e lui. Con l'animo in ebollizione le ferite interne si facevano sempre più cocenti e vive e gli occhi si abbagliavano e si annebbiavano e scomparivano e si inorridivano dentro quel panorama incantevole come una sposa vestita all'altare.
A un certo punto la folla della carovana gonfia e numerosa arrivò ad uno spiazzo con al centro un pozzo a cupola e una porticina chiusa che al piccolo Roberto era più che famigliare e nel lato sinistro, fiancheggiata, da una casa dal recinto orlato da ringhiere in ferro, si affacciò tutta una famiglia, compresi i suoi figlioletti a scala. Una femminuccia e un maschietto più adulto si avvicinarono alla testa della carovana verso il nonno del piccolo Roberto e confabularono a bassa voce e con delicatezza fraterna, dando una carezza al piccolo Roberto e alla sua mamma tra le grandi coperture, e il più anziano si aggregò alla testa della carovana vicino a suo nonno domandando notizie, ma dalle espressioni e gesti di suo nonno si notava chiaramente l'animo perso con tutta l'aria di una cosa più grande di loro, e così il viaggio continuò tra le ultime due case dove quello che rimaneva di una strada serpeggiante a tramontana in un cunicolo si svincolava e si snodavano le ultime due curve costeggiate da alberi pazienti e indolenziti dal freddo e neve e ghiacci pendenti. Finalmente si arrivò all'altro vecchio pozzetto dell'acqua comunale e da lì si apriva un nuovo squarcio di orizzonte dove poter guardare a est verso Casali.
E così a breve questo martirio, questo supplizio, dall'ultima curva tra i boschi, la carovana e la testa della carovana di quella rete navigante tra le nevi, arrivò alla croce, dove finalmente si intravedeva la macchina del padre del piccolo Roberto, tutta innevata e si notavano a malapena i suoi lineamenti, una Fiat 1100. Si notava lo sgombero in una pista stretta ma pulita dai grandi cumuli laterali di una pista rotabile, ed è qui, in questi istanti, che il piccolo Roberto, tra il cuore in gola e le sue esili gambe tremanti, lasciò e creò il buco nero della sua esistenza. Quel distacco di quella manina gelida, bianca e raggrinzita dal freddo, si staccò e con lei si squarciò dentro di lui un groviglio, un boato di sensazioni, una carne viva che si tagliava per sempre fin dai suoi capelli grigi. Il distacco era imminente, di una lunga e perenne tragedia avversa, amara, dai latrati spigolosi e perversi di un anima candida e pura.
In quella radura di ghiaccio e neve, gli occhi ragazzini inermi del piccolo Roberto, lì appeso a quella testata fredda e morta, si staccò, e la madre, dai suoi piccoli esili brandelli, si sollevò con braccia amiche e venne posizionata all0interno di quel gelido abitacolo, quella Fiat 1100 nemica e avversaria del piccolo Roberto, colpevole di un distacco sanguinante. Lì a breve il piccolo Roberto entrò in quell'abitacolo e strinse per l'ultima volta le esile mani di sua madre e, con occhi emozionanti e piagenti, incrociò i suoi e si immedesimarono in quella stanchezza avversa ché si salutarono, e poi il piccolo Roberto venne strappato via e accompagnato dalla nonna perché la macchina con sua madre doveva partire alla volta di Lanciano.
Il padre del piccolo Roberto mise in moto e salirono in macchina. Il padre alla guida con a fianco suo zio e, dietro, vicino a sua madre, il nonno. Lo sguardo perso del piccolo Roberto fissò ininterrottamente quello di sua madre che si allontanava con difficolta per i continui slittamenti delle ruote della macchina tra la neve fino a scomparire del tutto. La macchina si inerpicò in quella strada dalla stretta carreggiata verso Schiavi paese e, lasciando la contrada di Valli, fino a scomparire.
Il piccolo Roberto, rassegnato e perso e impotente di non poter fare più nulla per sua madre, si avviò con la nonna e tutta la carovana verso casa e lungo il tragitto la carovana amica e fraterna, salutandoci affettuosamente, arrivati vicino alle loro case ci lasciavano e rientravano, continuando il loro tragitto verso casa. Arrivati a casa trovarono la vecchina sempre affettuosa e materna che, dopo avergli domandato dettagliatamente del viaggio e aver detto alla nonna tutte le faccende svolte, disse che il fratellino dormiva, ci salutò e se ne andò nella sua casa, che non era distante dalla loro: era al di la dell'ara. Rimasti soli, il piccolo Roberto e la nonna, vicino al focolare seduti con le loro seggiole di paglia, un silenzio blasfemo li avvolgeva, il piccolo Roberto guardava la fiamma e nello stuzzicare con il soffietto ci vedeva gli occhi di sua madre dentro come a fargli compagnia e sorvegliarlo anche nella sua sventura. La sera si inabissò, si consumò nel silenzio tombale degli occupanti e, a notte fonda, ancora nessuno era tornato. Il vecchio telefono pubblico taceva, che era l'unico ponte di collegamento in quella realtà.
Per il piccolo Roberto, tutto il caseggiato e il borgo di Pischialta in una morsa di gelo e di neve in una radura tra monti e valli, tutto era silenzio di una frustrazione perenne, dove le ferite non trovavano pace e riscontro, in un alba tirata a secco. In una notte vegliante l'aurora si fece avanti come fosse il giorno prima, con gli stessi panorami, gli stessi uccellini pigolanti e uomini e famiglie del borgo in un loro risveglio metodico e secolare dai camini spippanti di un fumo avvolgente che si alzava in volo e invadeva la valle del sud tra il Ciglione e il fossato del fiume Sente.
Il piccolo Roberto, nel suo lettino solitario, in una camera sospesa di solitudine, la notte fu perversa e l'aurora dura e dibattuta per un risveglio sofferto, per una nuova giornata coraggiosa. Il sole, tra la neve all'orizzonte, colorava di rosso quel manto rosso e rigido di ghiaccio e penetrava tra le finestre del caseggiato e invadeva le stanze silenziose mentre il fuoco scoppiettava e aleggiava nel camino di pietra mentre la nonna, silenziosa, si muoveva tra i mille lavori di sempre. Anche il fratellino rumoreggiava dalla culla col piede lavorato in arancione, la tramontana fischiava dall'esterno impaziente tra i vetri, e solo quando il giorno si stagionò videro i famigliari muti ritornare, tra i berretti e i cappotti innevati.
Il piccolo Roberto, pietrificato in quella seggiola minuta di foglie di canna, dai suoi occhi speranzosi e tremanti e stretto tra i mille battiti e la morsa in gola, attendeva notizie e speranze di una madre lontano da sé, ma il nonno, il padre e lo zio infreddoliti presero posto in seggiole di paglia e, silenti, si sedettero. Solo dopo lunghe riflessioni, tra il calore avvolgente del camino, iniziarono a dialogare con parole dimezzate e dibattute e quasi singhiozzate, quelle parole, quelle sillabe di sassi rotolanti in quell'anima segnata nulla di nuovo comunicarono, la stanza fu tabernacolo di ardore di uomini persi e di famiglia mancata.
Il piccolo Roberto, con le sue membra di ragazzino e i suoi combattimenti interni, pensava quanto dovesse durare quella lontananza.
Ma gli uomini tra loro e la nonna si dilungavano a descrivere quel viaggio di fuoco e ghiaccio del giorno prima, solo il nonno dagli occhi arrossati e con voce discontinua gli disse che la cosa era lunga e che nei prossimi giorni, nella speranza di un tempo più mite, tutti partivano e la potevano andare a trovare in quell'ospedale gentile per la mamma.
Silvano Fantilli
Fonte: S. Fantilli, La mia terra, Caosfera, Padova 2018.