Gaetano "Paschitte" Carnevale noi bambini di San Giovanni lo chiamavamo Z' Baffóne. Io gli portavo un grande rispetto, anche perché era il cugino carnale di mio nonno Vincenzo, uomo semplice e grande lavoratore, come d'altronde lo era tutta la sua generazione.
Oltre ad avere queste doti, ne aveva una molto particolare, quella di saper raccontare storielle, tanto che chi le sentiva, il più delle volte non sapeva dove finiva la verità e cominciasse la burla. Ero affascinato quando lo sentivo raccontare e, nello stesso tempo, prendevo per vero tutto ciò che abilmente raccontava.
Ricordo ancora il suo abbigliamento, il cappello nero, il panciotto nero e sotto la classica camicia di panno chiaro, con l'immancabile orologio stile ferroviere, i pantaloni scuri, adornati da una fascia nera che avvolgeva i fianchi e fungeva da cintura, ed i classici scarponi con le suole spesse. Non ricordo bene se anch'egli fumasse il classico toscanello come mio nonno.
Da piccolo, quando giungeva il periodo della mietitura, noi ragazzi aspettavamo che passasse con la sua giumenta, che proveniva dalla Pineta carica di manuócchie (covoni) e lui, col viso arso dal sole e dalla fatica, ci diceva:
– Uagliù, vuléte métterve a cuavàglie? Allora aspettàteme quand'arpàsse ca ve facce fa' na passiàta...
Impazienti, aspettavamo allora che ripassasse. Poi, al suo arrivo, ci avvicinavamo alla mula, e lui, Z' Baffóne, con le sue possenti mani, ruvide e callose, ci sollevava con molta delicatezza, chi sopra la vàrda (basto), chi in groppa e chi davanti alla vàrda.
Quella era per noi una gioia infinita, anche se durava pochi minuti. Una volta scesi si aspettava che passasse di nuovo e sono certo che Z' Baffóne, in cuor suo, era quello che si divertiva di più.
Nicola Carnevale