Durante il fascismo e negli anni Cinquanta, Sessanta e per i primi anni Settanta, con i giornali controllati, la cronaca nera non si era più fatta. Di conseguenza, a tanti crimini efferati non si era più data voce e se la notizia non si dava a mezzo stampa non c'era altro modo per darla. Questo ha fatto la fortuna della cronaca e del cronista, quella figura che oggi non esiste più. Non si può essere un cronista senza conoscere un obitorio o un posto di polizia, là dove le notizie puoi prenderle realmente.
Tre poliziotti e un funzionario, secondo me, hanno avvicinato la gente alla polizia: Franco Evangelisti, soprannominato "Serpico", ucciso davanti al "Giulio Cesare" da un gruppo di Nar intenzionati a levargli le armi. Lo conoscevano tutti come il poliziotto di quartiere, la figura che quarant'anni dopo ci siamo "inventati" nuovamente. Era uno che aveva uno spiccato senso dello Stato, era un forte comunicativo e credeva profondamente nel suo lavoro. Mi ricordo che in occasione di una colluttazione con due delinquenti, questi lo buttarono dal primo piano di un palazzo; non si fece poi tanto male, ma gli misero un busto. Qualche tempo dopo, appena aveva ricominciato a camminare, incappò in una rapina e arrestò il rapinatore con tutto che portava ancora il busto e aveva difficoltà a muoversi.
C'era poi Giovanni Maimone, famoso per il suo cane Dox con il quale assistette praticamente a tutti i fatti di cronaca degli anni Cinquanta e Sessanta e che non faceva assolutamente pensare che fosse un poliziotto. L'abitudine, infatti, era vedere la camionetta della Celere, non un signore che camminava con giacca e cappello come un qualsiasi padre di famiglia. E non possiamo dimenticare il maresciallo Spatafora, il più forte autista della Polizia di Stato. Poi abbiamo un funzionario che aveva capito che il mondo era cambiato, che circolava tanta droga e troppi ragazzi ne facevano uso. Lui, che l'aveva visto con i suoi occhi girando per i tanti commissariati della Capitale, si inventò le "mamme coraggio": una casella postale nella quale potevi lasciare quel che volevi, anche la confidenza su un figlio drogato o la descrizione dello spacciatore. Gianni Carnevale, un funzionario bello, simpatico, affabile che infondeva sicurezza alle persone che gli si avvicinavano per una denuncia, per un'informazione. Perché non era il vecchio, classico funzionario, ma un ragazzo moderno, pronto a mettersi al servizio del cittadino.
Uscivamo dal dopoguerra, la gente guardava la polizia con la costante paura di essere arrestata e questi personaggi umani, capaci di vivere la vita quotidiana e stare vicino alle persone per aiutarle e impedire che qualcuno potesse fargli del male, anticiparono quello che pochi anni fa il capo della polizia De Gennaro coniò come slogan per la Polizia di Stato: «Vicini alla gente».
Questa è stata la grande trasformazione che tali personaggi hanno contribuito a portare nella polizia, in un momento difficilissimo in cui c'era di tutto: grandi manifestazioni di centinata di migliaia di persone, lotte per la terra e per la casa, lotte per il lavoro.
Il rapporto tra giornalisti, fotografi e polizia è cambiato con l'arrivo del terrorismo. Se prima un funzionario poteva far salire sulla macchina un giornalista o un fotografo oppure lo poteva far avvicinare a un'operazione senza complicazioni, adesso il terrorismo aveva portato sfiducia. Gli anni di piombo hanno inciso negativamente sui rapporti con la stampa, ma perché era nato qualcosa di talmente forte e cruento che rendeva difficile fidarsi di chiunque. Come facevi a fidarti di qualcuno se non potevi sapere mai qual era il nemico?! Allora tutti cominciarono a chiudersi e questa chiusura ebbe un’influenza negativa sui bei rapporti che prima esistevano.
Accanto al terrorismo poi arrivò anche la privacy a chiudere ancora di più la possibilità di raccogliere e divulgare informazioni, a distanziare ulteriormente le posizioni degli organi di stampa e delle forze dell'ordine. Una volta se c'era un morto in macchina il funzionario o il poliziotto ti faceva avvicinare a fotografarlo, oggi lo deve prima coprire. Rimane però che la polizia ha fatto un salto di qualità migliorandosi man mano, proprio perché ha avuto dei grandi personaggi nati dalla strada. Di questo De Gennaro ne è un esempio classico, un poliziotto, uno sbirro vero, capace di dare la svolta modernizzatrice alla polizia. Gli altri, come Santillo, Macera o Improta, un grande mediatore di questioni politiche che ha avuto direttamente a che fare con i terroristi, sono stati grandi, ma nella loro sfera. Tagliente è stato tutto: ufficiale della caserma "Maurizio Giglio" che girava ventiquattr'ore su ventiquattro, dirigente di turno sulle volanti, poi funzionario di turno in sala operativa, a seguire funzionario dell'ufficio di gabinetto, poi dirigente del C.O.T., presente su tutti gli avvenimenti che si sono verificati in quegli anni e sempre pronto a spendersi a favore di qualsiasi giornalista, ed ancora capo di gabinetto e dal mese di agosto 2010 questore di Roma. Sentendo sempre la necessità di avvicinarsi alla gente e di valorizzare i suoi uomini. Per chiunque altro, oggi, sarebbe difficile se non impossibile fare la stessa carriera, perché non ci sono più le premesse: è cambiato il sistema di lavoro, e poi è cambiato quello che prima si poteva fare senza incappare nella Magistratura-
Ma tra le persone che stimo c'è anche Gianni Letta. Persona con un fiuto tremendo e capace di decidere in tempi brevissimi, è uno di quei personaggi usciti fuori dal libro "Cuore". Pur avendo avuto una carriera luminosissima, è sempre stato capace di mantenere un rapporto familiare con i suoi amici e con le persone che hanno lavorato con lui. È una persona sulla quale chiunque apparteneva alla diaspora de Il Tempo ancora oggi sa di poter contare. Perché è sempre pronto ad aiutare e a spendersi.
Il Tempo era il suo Tempo. Si diceva il nostro giornale, lo sentivamo un'appartenenza, una qualificazione. E questo perché il direttore Letta fu capace di farci sentire parte di questa grande famiglia. Non avevamo bisogno di sentirci della Roma o della Lazio, ci bastava sentirci de Il Tempo. Aveva un fiuto tremendo e decideva in tempi brevissimi.
In quegli anni ho vissuto e raccontato tanti episodi pesanti e mesti, ma il peggiore credo sia stato quello che poi ha in parte cambiato il corso della storia italiana. Ero un ragazzo, una mattina mi trovavo all'università e con un gruppo di poliziotti decidemmo di andare al bar. All'improvviso ci ritrovammo avvolti in una nuvola di fumo nero. Fumo di bombe carta. Si sentiva sparare, non si capiva esattamente cosa fosse e non si vedeva oltre un palmo di naso. Poi la giornalista inglese accanto a me cadde. Cercai di darle una mano e mentre mi chinavo su di lei, i due poliziotti al mio fianco si accasciarono a terra. Uno gravemente ferito, l'altro, Passamonti, morto. Avevo davanti uno spettacolo orripilante, non solo di paura ma di terrore. La Celere che stava a pochi metri si avvicinò per raccogliere il poliziotto ferito, mentre io guardavo questi corpi riversi a terra e non riuscivo a spiegarmi il perché di una violenza così assurda di questi gruppi dell'estrema Sinistra.
Mario De Renzis
Fonte: M. Di Nardo, Doppiavela 21, 113 pronto! Un viaggio tra storia e immagini, Angeli, Milano 2012.