Ma il messaggio di Luna era ancora tutto lì. Stava ancora tutto lì. C'era tutto. Lo feci scorrere verso il basso. In fondo, Luna aveva scritto:
«Mio Dio, come mi piacerebbe che tu mi chiedessi di fare qualcosa insieme, un viaggio, chessò... Mio Dio, come avrei voglia di starti vicino e di alleviare la tua solitudine, la tua malinconia. Sentirmi vivere attraverso il tuo desiderio... Ma non voglio fare la crocerossina, tanto più che questo atteggiamento adolescenziale mi sembrerebbe un po' ridicolo per noi due, per la nostra "seria" professione comune. Dovremmo forse tenere i nervi saldi, ma soprattutto il cuore saldo, per aiutare chi ci chiede soccorso. Un transfert fra noi due, un transfert che assomiglia tantissimo a un innamoramento sembra sembra proprio il colmo».
Luna aveva ripetuto due volte sembra, come una sorta di balbuzie del linguaggio scritto. C'era un nome per questo? Boh, avrei dovuto saperlo. Ma perché diavolo scadeva tanto in basso col transfert? Conclusione da adolescente cotta innamorata:
«Non sono brava a scrivere lettere d'amore... Magari fossi brava come mio fratello. Lui sì che sa scrivere tutto. Ma ti posso dire che mi manchi, Gustavo. Questo te lo posso dire. Anche quando ti vedo, mi manchi. Mi manchi tantissimo, mio Gustavo... Ti voglio bene. Tua Luna
Mio Dio. Il coraggio della rivelazione. Questo almeno Luna ce l'aveva. Bisognava ammetterlo. Ti voglio bene. Detto da lei era come ti adoro. Le mancavo perfino quando mi vedeva. Timida Luna. Compare, scompare e poi riappare. Ma che farsene della rivelazione di una cara amica che dovrebbe restare appunto una cara amica? Mi trovavo in una di quelle situazioni in cui all'improvviso, clic. Un'idea, clic. Una vita nuova, clic. Sì, mi sarebbe piaciuto rifarmi una vita da qualche parte. Una vita nuova, per sfuggire allo stato di cose conosciute. Non che tutte le cose conosciute fossero proprio noiose o fastidiose, no. No. Ma arriva uno di quei giorni in cui si vorrebbe ricominciare tutto da un'altra parte. Da qualsiasi parte. Qualsiasi cosa. In una qualsiasi casa. Volevo entrare in tutte le case, in tutti i cassetti. Essere tutti. Dovunque. Chessò, magari una nuova vita a Pedaso. Oppure Bressanvido, Capracotta, Canicattì, Vigevano, Molfetta, Nereto Controguerra, Pisticci, Diano Marina, Brisighella, Roseto degli Abruzzi, Marostica, Civitavecchia oppure Civitanova Marche, chessò. Come sarebbe stato giardiniere municipale a Roseto degli Abruzzi? Oppure una vita da impiegato comunale a Nereto Controguerra, a Diano Marina? Oppure giornalaio a Civitanova Marche? Queste domande mi giravano in testa. Come sarebbe stato tornare in monovolume dalle vacanze estive sulle Dolomiti, e riaprire la casettina con vista sul mare, magari a Pedaso? In compagnia di una donna, due bambini e un cane. Come sarebbe stato tutto questo? Come sarebbe stato trovare al ritorno il rubinetto del bagno che gocciolava sempre di più? La rabbia, quel tipo di rabbia. Come sarebbe stato riaprire le finestre sul mare e sentire il profumo di bucato mentre vedi sulle terrazze circostanti dieci cento mille canotte e mutande stese al sole ad asciugare? Come sarebbe stato, mettiamo, pensare che da domani si ricomincia il lavoro, e speriamo che la contabilità l'abbia portata avanti il capufficio Righetti? Come sarebbe stato rientrare dalle vacanze a casa dei suoceri e sentirsi felice perché oggi è sabato, perché c'è ancora un giorno per non pensare, e domani non si lavora e si portano i bimbi ai giardinetti pubblici, e poi una passeggiata al molo, e poi un gelato in piazza, e poi al cinema, e poi forse una pizza fuori? Com'era tutto questo? Come sarebbe stato vivere un'altra delle infinite possibilità di vita? Com'era? Come sarebbe stato, guardare in pantofole un soporifero show del sabato sera su raiuno o su retequattro? In compagnia di una moglie che ci ronfava divinamente accanto sul divano di cuoio marrone in soggiorno? Come sarebbe stato udire i bambini litigare sopra in camera e il cane che abbaia sul balcone al gatto che miagola di sotto? Come sarebbe stato accompagnare la moglie dal parrucchiere o aspettarla fuori dai negozi del corso nella passeggiata del sabato pomeriggio? E andare a riprendere i bambini a scuola. E portare fuori il cane per l'ultima passeggiatina della giornata. Il profumo del caldo pane fresco la mattina. Aspettare il turno, in coda davanti a un automat di vhs e dvd, per noleggiare un film da domenica pomeriggio. E magari il sabato sera con la scusa degli amici, prendere la macchina e andare sulla riviera per un po' di sesso nascosto, rapido e indolore. Come sarebbe stato tutto questo? Mettiamo rifarsi una vita a Roseto degli Abruzzi, a Pedaso oppure a Civitanova Marche? Una vita parallela, in uno degli infiniti binari paralleli della nostra esistenza. Una vita nell'universo alternativo di Pedaso. O Roseto. O Civitanova».
Mi vennero in mente i Camaleonti. Canzoni d'estate, allegre canzoni colorate. Mi bombardò in testa un'improvvisa nostalgia per quegli anni che avevano sfiorato la mia mente plastica di bambino. Bambino in giro con moto di rivoluzione e di rotazione su se stesso, sopra una giostra che allora doveva sembrarmi tutto l'universo. Con una girandola in mano. Come i matti. Gira gira in tondo, potesse cascare il mondo. Armonie e melodie che mi davano una gran voglia di crescere subito. Volevo diventare grande per baciare in bocca la mia bella maestra bocca d'oro. Mi vennero in mente i Dik Dik e l'Equipe 84. Mi vennero in mente anche i Nomadi. Mi venne in mente Mina e poi Battisti. Mi venne in mente la Formula 3. Mi venne in mente Gino Paoli. Mi venne in mente il sapore del sale. Mi venne in mente Little Tony. Riderà riderà, tu falla ridere, perché. Mi venne in mente riderà. Mi venne da ridere. I miei che mi spiavano dietro la porta, mentre giocavo serissimo con giacche azzurre e indiani in guerra dentro il fortino di legno colorato. Il Fort Allamo, con doppia elle. Così. Pellerossa che poi salivano sul plastico elicottero rossonero lego, e con giacche azzurre trasportate d'urgenza nel metallico ospedale meccano dai pompieri clementoni. A sirene spiegate. Indiani e giacche azzurre enormi che non entravano mai nei mezzi di locomozione e che dovevano arrangiarsi sul tetto. Anche con una ferita al cuore. Giacche azzurre che scendevano nel campo di subbuteo per l'ultima sfida cogli indiani. In quel territorio dove il pallone occupava un quarto della porta. Cowboy che giocavano a palla con gli apache, anche con una freccia nel cuore. Riflettori che non si accendevano. Riflettori dipinti sul campo e che non si accendevano mai, proprio mai. Pubblico assente che non c'era mai. Stavano ancora sullo zero a zero, quando i miei occhi si aprirono di nuovo.
Mi manchi tantissimo, mio Gustavo... Ti voglio bene. Tua Luna.
Renzo Ardiccioni
Fonte: R. Ardiccioni, Hippocampe, Le Presses du Midi, Toulon 2019.