La seconda escursione da me organizzata in data 10 agosto 2020 ha avuto come fulcro l'area di Monteforte e Ospedaletto, più precisamente i resti dei due feudi insistenti in località Terravecchia (individuata sulle carte IGM col toponimo Colle Parchesciana) e sulle collinette dell'Ospedaletto.
Guidati da Giovanni Fiadino e Pasqualino Potena, siamo partiti dalla Crocetta e presto giunti nei pressi di quella che poteva essere una chiesa, stando agli scavi effettuati nel 2000 da un gruppo di archeologi coordinato dalla grande Letizia Ermini Pani (1931-2018). Della chiesa, di cui non è possibile stabilirne con certezza la dedicazione, si intravedono le mura perimetrali e una vaga forma absidale; nei suoi dintorni furono rinvenute diverse suppellettili ed ossa umane, a riprova che anche un cimitero doveva lì esistere. La chiesa è situata su un'ideale linea di congiunzione tra quella di Macchia Strinata, di Vallesorda e di Vastogirardi, tutte dedicate a san Nicola.
Poco sopra quei ruderi abbiamo ammirato le fondamenta di quella che potrebbe essere una torre longobarda a base quadrata, posta su un'altura da cui è possibile controllare con precisione la viabilità tra la valle del Verrino e quella del Trigno, l'antico confine che in epoca normanna divideva il Principato di Capua dal Ducato di Puglia. Questa torre di guardia era probabilmente in contatto visivo con le altre ubicate sul Monte San Nicola e su Monte Miglio, per cui l'altezza approssimativa doveva attestarsi ad almeno 12 metri.
L'insediamento di Terravecchia, con tanto di chiesa e torre, raggiunse l'apice demografico e fiscale nella prima metà del XIV secolo, arrivando a contare 96 fuochi (circa 430 persone): basti pensare che allora Capracotta aveva 720 abitanti e Vastogirardi appena 300, il che fa intuire che se in un primo momento il feudo di Monteforte (sorto prima dell'anno Mille) era abitato soltanto da militi addetti alla sorveglianza viaria, nel '300 a quelle guarnigioni si erano affiancate le famiglie e i religiosi. La peste nera del 1346 falcidiò l'Europa, giungendo fin dentro le più remote contrade del continente, e nella numerazione dei fuochi aragonese del 1443 Monteforte è infatti un deserto umano.
Dopo una lunga passeggiata al di fuori della sentieristica convenzionale siamo finalmente giunti alla sorgente del Trigno e quindi alla piana dell'Ospedaletto, dove abbiamo rilevato l'esistenza di un secondo impianto turrito, seppur interamente ricoperto dalla vegetazione e, soprattutto, di una vaga orma urbanistica di casalini. In assenza di prove documentali o archeologiche, è infatti legittimo credere che l'Ospedaletto debba il suo nome alla presenza di un medievale hospitium, un luogo di ospitalità per viandanti. Tra spietramenti vari e pietre dal buon taglio ne abbiamo ritrovata una (foto in alto) che altri, prima di noi, avevano già scoperto ma sostanzialmente taciuto. Alessandro Mendozzi, però, ne ha scoperta un'altra (foto in basso), quasi impossibile da riconoscere in condizioni di piena luce.
A differenza di quella di San Nicola della Macchia (qui), la prima pietra dell'Ospedaletto porta inciso un cosiddetto fiore della vita, un simbolo caro tanto ai cristiani quanto ai pastori d'altura. Il fiore della vita è una stella a sei raggi con funzione decorativa utilizzata dagli Italici sin dal VII sec. a.C. e (ri)valutata nel Medioevo, almeno nella simbologia, dalla Chiesa di Roma per via di quell'eccellenza geometrica che rimandava alla perfezione di Dio. Va detto che nei pressi della torre dell'Ospedaletto sussistono resti di mura sannitiche e di continuo vengono ritrovate suppellettili realizzate oltre 2.000 anni fa, puntualmente trafugate.
La seconda pietra dell'Ospedaletto mostra l'incisione di un'aquila, o comunque di un uccello rapace. Non avendo nozioni di araldica ho chiesto all'archeologo dott. Bruno Sardella un'amichevole consulenza, il quale ha proposto una coerente interpretazione di stampo federiciano, nel senso che la presenza dell'aquila sveva con lo scudo fra le zampe è un simbolo comune che ricorre, anche in Molise, su stemmi e monete. Nel caso specifico la pietra poteva far parte di una chiesa o, meglio, della torre stessa.
La presenza in un così ristretto spazio di un fiore della vita e di un'aquila federiciana, entrambe ascrivibili al XIII sec., rafforza la suggestione di un hospitium, di una vera e propria stazione di servizio per quegli avventurosi pellegrini che, a differenza dei pastori, seguivano i tratturi non per fame ma per salvezza, non per lavoro ma per indulgenza, non per sfortuna ma per grazia. Pellegrini che cercavano Dio sui monti di Capracotta.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931;
L. Ermini Pani, Decorazione architettonica e suppellettile liturgica in Abruzzo nell'alto Medioevo, in AA.VV., L'architettura in Abruzzo e nel Molise dall'antichità alla fine del secolo XVIII, Atti del convegno, L'Aquila, 15-21 settembre 1975;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
M. Nassa, Ritrovamenti monetari del Medio Volturno e delle zone campane limitrofe nel quadro dei più noti ripostigli scoperti in area sannitica, in «Annuario ASMV», Piedimonte Matese 1999.