Sono bella gente sana e forte, fiera e onesta, rozzi, ma cordiali.
Alti e rubizzi, con certe mazze nodose, a vederli incedere serii, maestosi, sembrano redivivi patriarchi. Passano le giornate all'aperto, seguiti dagli inseparabili mastini, nutrendosi quasi sempre di pane ammollato nell'acqua, condito d'olio e di sale. A sera, rientrano in un caseggiato di pietra, ricoverto di terra e d'erba; ivi, su poca paglia, passano la notte. Quando, d'autunno, preceduti dalle mandre belanti, scendono a svernare nelle Puglie, sembra d'assistere ad una migrazione primordiale. La massa bruna delle vellose spicca compatta sul verde dei tratturi, a cui sovrasta la figura nodosa de' pastori e fa séguito la carovana de' nitrenti, e su tutti si estolle sul cielo scialbo, sui campi ormai privi della gioia della vita, il coro dei belati, dei nitriti, degli abbaiamenti, interrotto di tanto in tanto dalle grida gutturali de' guidatori. E quel lembo di vita primitiva avanza lentamente verso il paese del sole, verso le Puglie, che da noi suonano luce e bellezza, e non ristà che a sera, in luoghi prestabiliti, dove un giorno sostarono i padri e sosteranno i figliuoli. È allora che si ha davvero l'illusione d'assistere all'arrivo d'una tribù in cerca di nuove terre e di nuovi destini. I buttari, simili in tutto, tranne nella crassa ignoranza, a quelli della campagna romana, arrivano precedendo il grosso dell'armento, scelgono il sito più adatto, che preferibilmente è una insenatura riparata da' venti e meno esposta agli assalti dei lupi, scaricano le masserizie, stendono le reti e, sciolti gli animali alla pastura, vanno in cerca di legna e d'acqua. Arriva, dopo qualche ora, il numeroso gregge a scaglioni di trecentocinquanta pecore, che noi chiamiamo mórra, uno dietro l'altra, senza confusione alcuna, occupando ognuno il posto da 'l massaro (capo) assegnato. Messi a posto gli animali, pensano a sé stessi, accendono un grosso fuoco, fanno l'immancabile acqua-sale o pancotto e poi vanno a seppellire la stanchezza ne 'l sonno, sulla nuda terra, coverti di velli di lana o di cappotti, avendo per guanciale un basto. Ben presto, ne 'l pacifico accampamento scendono le ombre ed il silenzio, rotto solo dal ritmico suono della campana de' castrati (manzi) che ruminano e da 'l tintinnio de' campanelli degli equini pasturanti. Dopo una diecina di giorni di viaggio, durante il quale sono esposti a tutte le ire degli elementi, arrivano in Puglia, dove restano per sette mesi, vivendo in campagna, in un ricovero costruito con grossi pali e canne intrecciate. Dormono in cuccette di legno a due piani sovrapposti, su paglia o su pelli, avvolti nello zaino, grosso sacco lanuto che li copre sino ai ginocchi. Non si spogliano che per cambiarsi la biancheria, dovendo nelle notti, in ispecie di verno, alzarsi più volte per governare gli animali e per proteggerli da' lupi.
Fanno la pulizia da loro, mangiano quasi sempre acqua-sale e pancotto e ognuno per proprio conto, salvo nelle grandi occasioni, quando fanno tavola comune. A notte alta, prima d'entrare nelle cucce, si dispongono intorno al fornello, grosso fuoco al centro della cucina, e vi dicono il rosario, giuocano alla mòra o tagliano i panni addosso al prossimo o fanno discorsi più saggi e più pratici di quelli ne' circoli e ne' caffè. Ai primi giorni di quaresima mettono a bollire acqua e cenere e bevono la strana decozione, intendendo con ciò fare ammenda della baldoria carnescialesca, operazione questa che vien detta fare il bucato agli intestini.
Alla fine di maggio, prima di partire per i patrii monti, fanno il sacco, grosso involto contenente gli effetti de 'l pastore, le prestazioni padronali, nonché le provvistuole per la famiglia: sapone, olio, frutta secche ecc. Tutto sommato, la classe de' pastori è formata di gente sana, allegra, semplice, disciplinata.
Vivendo in campagna, senza essere costretta ai duri lavori de' campi, e lungi da' bagordi, essa desta l'invidia di tutti gli altri lavoratori.
Ru mestier' d' ru pastore è na cuccagna,
è com' e rugnóne 'mmies'alla sogna:
ze mòre la pèchera grassa e ze la magna,
fa la recotta fine e ze lècca l'ògna.
Ru mestier' d' ru pastore è na cuccagna.
Oreste Conti
Fonte: O. Conti, Folklorica pastorale capracottese, De Gaglia e Nebbia, Campobasso 1910.