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Il Molise


Pecore Capracotta
Panorama di Capracotta da S. Lucia (foto: V. Simone).

La diffusione del credito in piccoli rivoli, la semplicità e la chiarezza nelle pratiche per ottenerlo, sono dunque un problema capitale di regioni rimaste statiche, e in cui troppo si attende dall'intervento dello Stato. Il vanto di avere fatto da sé, contrariamente all'uso, si udrà risuonare ad Isernia, seconda città del Molise. Semidistrutta dalla guerra, Isernia si è ricostruita e, insistono nel dire gli abitanti, con pochi aiuti. L'essere cittadina attiva, nodo di strade che conducono all'Adriatico e al Tirreno e centro naturale di un gran numero di villaggi alpini, le darebbe il diritto, secondo la tesi locale, di essere il capoluogo d'una nuova provincia. Gli uffici dai quali dipende, mi è stato fatto osservare, sono oggi decentrati, oltreché a Campobasso già difficile da raggiungere, a L'Aquila, a Pescara e a Napoli. Triste è la situazione dei villaggi alpini, che avrebbero bisogno di uffici meno remoti, giacché oggi è impossibile ad uno dei loro abitanti andare e tornare in un giorno per sbrigare una pratica: motivo anche questo dei guai tante volte indicati, isolamento, arretratezza ed esodo dalle montagne. Campobasso, lo abbiamo visto, non è dello stesso parere, e oppone che una zona povera, come quella d'Isernia con i villaggi alpini che la circondano, vedrebbe aumentata in misura insostenibile il già grave peso fiscale se si addossasse gli uffici di una provincia. Gli abitanti di Isernia controbattono che ben condotta la zona non sarebbe povera, perché la valle del Carpino è fertilissima. Ho accennato alla disputa, perché mi sembra tipica della regione molisana e abruzzese, nella quale persiste, come si è detto, un carattere cantonale, e a proposito dei Comuni alpini, dirò di sfuggita che uno, Capracotta, è il più alto dei Comuni appenninici, e perciò l'inverno è chiuso dalle nevi e dai ghiacci. Mi è sembrato che a Isernia si tenga oggi a mostrare soprattutto la parte nuova e le costruzioni postbelliche, vanto di una città che vuole affermarsi. Ma è anche piacevole girare in quello che resta d'Isernia vecchia. Vi si trova tra l'altro una delle migliori e più attrezzate biblioteche pubbliche della regione. Nei mercati si ammucchiano frutti di colori vivaci, i peperoni, e quei meloni giallo chiaro, simili a zucche, che vengono dalla Puglia, e hanno sapore di papaia. Isernia è tra i maggiori centri per il merletto a tombolo. Nelle viuzze, dentro le porte, nelle piccole piazze trasformate in salotto, si vedono centinaia di donne e di bambine che lavorano al tombolo sedute su sedie di paglia, spesso dalle otto del mattino alle nove di sera.

Come dal vicino Abruzzo, dal Molise e dalle sue montagne viene la maggior parte delle storie di lupi, comodo riempitivo delle cronache dei giornali. Anch'io ne ho udite raccontare un bel numero. Secondo persone del luogo, quegli incomodi ospiti quasi distrutti dalla guerra sono molto cresciuti di numero recentemente, e durante l'inverno calano a centinaia dalle montagne. Il lupo è animale nomade; si dice qui che le razze di queste parti si siano rinforzate per l'immigrazione di una feroce specie proveniente dalla Toscana. È una storia simile a quella per cui si volle che nel secolo scorso gli orsi marsicani, ridotti al lumicino, fossero stati rinsanguati da confratelli siberiani donati dallo zar di Russia. Sui lupi del Molise e sulle loro parentele non so quanto sia vero, e quanto invece sia leggenda.

Il fondo sordo e spiritato, che avvertii entrando nel Molise, ci viene incontro con la massima forza tra gli scavi di Altilia e nei loro dintorni, tra Campobasso e i confini della Campania. È questo uno dei luoghi più belli e meno conosciuti d'Italia, anche perché solo nel dopoguerra si iniziarono scavi veramente metodici, per opera dell'attuale soprintendente Cianfarani. Altilia è la seconda delle tre edizioni di una città sannitica, Sepino, costruita in alto sui monti, e distrutta da Roma. Mi dicono che un giorno si scaverà anche dov'essa sorse, ed i risultati potrebbero essere importanti per gli studiosi, giacché non conosciamo ancora città sannite, ma soltanto necropoli; la civiltà del Sannio, che si prolungò per secoli, scomparve sotto terra, e ci rimane quasi ignota. Distrutta Sepino, i superstiti scesero nella piana, e vi eressero Altilia, oggetto degli scavi d'oggi. Abbandonata e sepolta anche Altilia, nacque la terza Sepino, quella attuale, situata sui monti ma meno alta della prima. La Sepino romana, detta Altilia, di cui stiamo parlando, sorse probabilmente nel primo secolo. Volle la fortuna che fosse abbandonata, non spogliata, e costruita in pietre, non in mattone. Nella lenta ricostruzione si trovano perciò tutte le sue pietre intatte e basta rimetterle l'una sull'altra. La suggestione è portata dal luogo, in cui si addensa il carattere del Molise. Vi si può giungere percorrendo il tratturo, pista delle greggi che transumano, battuta da millenni, e attraversante le rovine della città. Si scorgono, tutto all'intorno, querce solitarie e scure, pecore, uomini a cavallo, butteri che accompagnano mandrie di buoi, donne con sottane rosse che le fanno spiccare nei campi. Si sente in modo fisico di essere in luogo separato dal mondo, dove la vita umana perdura, lo si è detto, allo stato brado, come in nessun'altra parte dell'Italia, nemmeno scendendo più a sud; una vita isolata ma piena di tensione, in cui uomini ed animali fanno parte di una stessa mitologia; i monti del Matese, limitando la piana, la chiudono in un senso che non è solo metaforico. Si può credere che gli usi antichi possano qui sopravvivere a lungo; e dicendo che nel Molise va sparendo il folclore superficiale, non intendevamo parlare di un certo folclore più profondo, quasi endemico, che si respira. Ma bisogna piuttosto definirlo degli ultimi avanzi del primitivo, che non sia invece decadenza, esistenti in Italia. Le rovine della città, tra cui sono state rialzate raccogliendo le pietre parte delle mura di cinta, il foro, una porta stupenda, uno stupendo ingresso all'anfiteatro, e un'impressionante tomba, così fuori del tempo, circondata di querce e battute dal vento, sono forse le più romantiche rovine del nostro paese. Si è accentuata qui la mia impressione, provata spesso nel Molise, di essere sullo sfondo di un dramma shakespeariano, in una Scozia primitiva trapiantata in Italia, ma sotto nuvole pesanti o un sole violento, che rende le querce ancora più stregate e più nere. Ho avuto la fortuna di vedere Altilia quando l'archeologia, seguendo il suo corso scientifico, non l'ha ancora disumanizzata. Abitazioni contadine sono state erette ad esempio sull'anello dell'anfiteatro, servendosi delle sue pietre, e la cavea è stata ridotta a piccola piazza rustica, con un grande albero al centro e accanto un toro accovacciato. Nella comunità di case disposte a cerchio si contempla la vita molisana allo stato puro: donne belle, dagli occhi tendenti al verde, dall'espressione aggrondata e quasi grifagna, gli orecchi ornati di orecchini ereditati, d'oro rosso alternato con l'oro giallo; ma invecchiate dalle fatiche, tanto che a trent'anni dimostrano almeno vent'anni di più. Non è facile allontanare questi abitanti delle rovine di Altilia per restituire la forma primitiva all'anfiteatro, un po' per affetto ai luoghi, e perché vedendo scavare si sono convinti che sotto le loro abitazioni vi sia un tesoro.


Guido Piovene

 

Fonte: G. Piovene, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano 1957.

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