Dopo la conclusione del conflitto, con Juan Domingo Perón presidente tra il 1946 e il 1955, il nazionalismo inteso come indipendenza economica, e l'antimperialismo contro inglesi e nordamericani divengono cardini della propaganda ufficiale, oltre che della pubblicistica politica. Le politiche del governo sono invece in generale favorevoli all'immigrazione europea e puntano ad accelerare lo sviluppo industriale del paese, attirando con agevolazioni imprese, tecnici e manodopera qualificata, con gli italiani in prima fila. Perón viene destituito da un golpe militare nel 1955 ma il suo modello economico, basato sull'industrializzazione attraverso la sostituzione delle importazioni e la produzione per il mercato interno, rimane vigente a lungo.
Dagli anni Sessanta si verificano dei mutamenti nella storiografia. In Italia, è certo che la prospettiva resta quella etnica e si continua a esaltare il contributo degli italiani allo sviluppo industriale argentino sulla falsariga del passato; ma anche se rimane un'enfasi sul ruolo degli imprenditori, emerge una maggiore attenzione alle imprese come "organizzazioni": si prende atto del fatto che l'epoca del capitalismo personale è finita.
Così, quando nel 1961 scrive una nuova prefazione per la riedizione del suo saggio del 1900 un anziano ma ancora lucidissimo Einaudi vede realizzati i suoi auspici, spogliati ovviamente delle velleità coloniali, sulla necessità di un'emigrazione qualificata guidata da imprese e capitali italiani: a emigrare in Argentina nel secondo dopoguerra sono tecnici e ingegneri, al seguito di imprese divenute multinazionali.
Emblema della nuova stagione è per Einaudi la Techint di Agostino Rocca, ex dirigente di Stato durante il fascismo emigrato in Argentina nel 1946 e divenuto imprenditore di grande successo nei settori dell'ingegneria civile e della siderurgia. Einaudi considera Techint una versione moderna dell'impresa creata da Dell'Acqua e a propria volta Techint vi si identifica, tanto da finanziare la ripubblicazione del Principe mercante, e forse non a caso: uno dei figli dell'ex presidente della Repubblica, Roberto, è fra i principali collaboratori di Rocca.
Il ruolo inedito delle imprese emerge chiaramente negli anni Sessanta nel volume pubblicato dalla collettività in occasione della visita del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, "La presenza dell’Italia in Argentina", ultimo ambizioso lavoro prodotto dalle classi dirigenti italiane nel paese. Va notata innanzitutto l'assoluta continuità interpretativa con i precedenti, frutto come questo di iniziative di comitati costituiti ad hoc con la Camera di commercio: i nuclei sono ancora una volta l'apporto degli italiani allo sviluppo locale e la convenienza che ne deriva, per l'Italia, di investire in Argentina.
Ci sono però anche differenze rispetto al passato. Una è che il volume non è solo l'orgogliosa autorappresentazione della nuova élite di industriali emigrati e manager trasferiti pro tempore dalla casa madre alle filiali argentine, che si sente a pieno diritto espressione di un'Italia ormai tra le nazioni "più industrializzate del mondo": è anche uno studio delle concrete possibilità di investimenti italiani, a partire da un'articolata analisi dell'economia argentina e del suo potenziale di crescita, sorretta da dati statistici, e dal ricorso inedito alla teoria economica (Walt Whitman Rostow, economista prestigioso e allora in voga, è più volte citato in riferimento al "decollo" argentino, presentato come imminente).
La seconda differenza è che le imprese e l'attività economica in generale hanno un protagonismo assoluto nell'equilibrio complessivo del volume. Si può dire anzi che sono ora le imprese a raccontare gli italiani in Argentina, non viceversa.
Lo spazio riservato a vita sociale, associazioni e istituzioni non economiche è infatti ridotto e le stesse analisi economiche e statistiche in appendice sono probabilmente tutte uscite dagli uffici studi delle imprese medesime, e in particolare da quello della Fiat, che era il più attrezzato ed era diretto da Gino Miniati, presidente della commissione di redazione del libro.
Infine, è diverso il focus, qui spostato dagli imprenditori alle imprese, specie industriali: ci sono alcune sintetiche traiettorie individuali (per esempio, del citato Agostino Rocca e del maggiore dirigente Fiat, Aurelio Peccei) ma dominano le schede tecniche su grandi e meno grandi gruppi italiani, privati e pubblici (da Fiat a Olivetti, da Pirelli a Eni, da Galileo a Necchi), e su imprese nuove, come Techint dello stesso Rocca, che hanno cominciato a produrre in Argentina o vi si sono trasferite dopo il 1945.
La svolta rappresentata dalla conclusione del secolare ciclo migratorio italiano in Argentina, alla metà degli anni Sessanta, coincide con l'altra importante novità del periodo in campo storiografico: la pubblicazione a Buenos Aires del primo lavoro accademico su un'impresa italiana nel paese, "Espiritu de empresa en la Argentina" di Thomas C. Cochran, storico economico americano, e Ruben E. Reina, antropologo argentino ma di formazione americana. Il volume, traduzione dell'originale uscito negli Stati Uniti nel 1962, è dedicato alla vicenda imprenditoriale di Torcuato Di Tella, emigrato dal Molise in Argentina a tredici anni e fondatore a diciotto, nel 1910, di Siam, un'azienda metalmeccanica che produceva inizialmente macchinari industriali, poi beni di consumo durevoli e, nel secondo dopoguerra, anche moto e auto.
L'approccio degli autori traspare dal titolo dell'edizione originale: Entrepreneurship in Argentine Culture: Torcuato Di Tella and S.I.A.M.. Per un verso, è un approccio socioculturale, che privilegia ancora la biografia come via di accesso alla storia dell'attività imprenditoriale. In tal senso, considera il retroterra di Di Tella e il suo modello di impresa famigliare una variabile esplicativa del suo successo economico, nel contesto di una società con le caratteristiche di quella argentina, ma senza attribuire in ciò rilievo particolare all'elemento etnico italiano. Per l'altro, il libro contiene elementi innovativi, perché adotta la prospettiva analitica della business history, la disciplina introdotta come campo storiografico autonomo ad Harvard a fine anni Venti, anche se non accoglie il nuovo paradigma proposto nel 1962 negli Stati Uniti da Alfred D. Chandler Jr, che comincia a studiare il rapporto tra struttura e strategia operativa delle imprese per spiegarne la crescita.
Il volume di Cochran e Reina si basa su diverse tipologie di fonti ma quelle orali - 52 interviste a famigliari, manager e dipendenti di Di Tella, oltre che a industriali e altre figure - sono preponderanti, con i limiti inevitabili che ne derivano e che gli stessi autori riconoscono, sottolineando che l'eliminazione a più riprese di documenti del proprio archivio da parte di Siam ha impedito un'analisi della sua organizzazione e del suo sviluppo.
Fin dal sorgere della storiografia accademica, in Argentina emerge dunque un problema che non riguarda solo le imprese italiane, ma con cui la storiografia accademica che vuole adottare la prospettiva della storia d'impresa deve fare i conti ancora oggi, lì più che altrove: la limitata disponibilità e/o accessibilità agli archivi d'impresa.
Il clima intellettuale in Argentina è segnato tra gli altri, in questi anni Sessanta, dai dibattiti accesi sulle tesi del sociologo italo-argentino e promotore della sociologia accademica argentina Gino Germani, relative all'impatto positivo e determinante dell'immigrazione europea nella società. Per altri versi, i progetti di ricerca coordinati dal sociologo Torcuato S. Di Tella, l'altro figlio dell'imprenditore, e dai suoi collaboratori, come Oscar Cornblit, sollevano il problema dell'origine immigratoria degli imprenditori in Argentina, e delle limitazioni che tale origine avrebbe comportato nel promuovere politiche favorevoli al settore industriale nel periodo dell'immigrazione di massa.
Tuttavia, la ricezione delle tesi di Cochran e Reina non è immediata, sia per l'estraneità degli autori all’ambiente accademico argentino, sia per l'imporsi prima di un'agenda di temi collegati alla politica e poi della sanguinosa dittatura militare di Jorge R. Videla, dal 1976 al 1983, che riduce fortemente la possibilità di fare ricerca, costringendo anche un gran numero di intellettuali e accademici all'esilio.
Federica Bertagna
Fonte: F. Bertagna, Imprese e imprenditori italiani in Argentina nella storiografia italiana e argentina, dalla fine dell'Ottocento a oggi, in «Italia Contemporanea», 301, Milano, aprile 2023.