Per capire l'intrinseca bellezza morale del calcio e perché gente come Martin Amis e Osvaldo Soriano siano riusciti a scrivere pagine struggenti anche su un ex cocainomane, erotomane, grasso come una mongolfiera chiamato Diego Armando Maradona, basta guardare una partita. Anche di serie minore, tra squadre che non hanno mai calcato i campi della serie A. Basta un Martina-Taranto, dove le leggende magari hanno nomi complicati e sono fatti di ricordi sbiaditi, danno i nomi allo stadio e si chiamano Giandomenico Tursi ed Erasmo Iacovone.
Proprio in un Martina-Taranto di qualche anno fa ho conosciuto questa bellezza morale in tutto il suo crudo splendore. La tensione era più forte del solito, i tifosi biancoazzurri del Martina erano irritati da un fatto accaduto alcuni giorni prima. Durante la settimana, nella notte erano apparse scritte di scherno sul lato della Collegiata del paese. I tifosi del Taranto arrivati a Martina erano quasi quanto quelli della squadra di casa e furono sistemati nel settore ospiti dietro le porte. Iniziarono le ostilità.
Al "Si sente puzza di pesce" i tarantini rispondevano "Siete tutti conigli!". I luoghi comuni più beceri e volgari erano bellamente lì. Tarantini mangiacozze e sporcaccioni un po' ladri, martinesi fighette, codardi e un po' stronzi. I più esagitati bazzicavano la tribuna dove i "vip" tarantini e martinesi erano mischiati e si insultavano in maniera plateale. Distinti signori in giacca e cravatta si scagliavano gli insulti più primordiali che io abbia mai sentito. Durante la partita successe il finimondo, sputi e buffetti erano assoluta normalità. Ogni tanto si vedevano grovigli umani tra colletti bianchi. Poi da qualche parte uscì un coro che alludeva a Erasmo Iacovone. Non ricordo le parole esatte. Ma al nome di Iacovone un mite e unico applauso contagiò tutti i settori dello stadio, tifosi del Martina e tifosi del Taranto. Di fronte al destino tragico di uno dei calciatori delle squadre pugliesi più talentuosi e più sfortunati emerse la bellezza morale di un forte applauso unitario.
Un autore di Taranto ha usato Iacovone per parlare di Taranto e di un pezzo di sua storia. Si tratta di Cosimo Argentina, scrittore quarantenne di Taranto, ma da alcuni anni emigrato in Lombardia, in Brianza per la precisione, dove vive dal 1990. Il suo "Cuore di cuoio" pubblicato ad ottobre da Sironi - terzo romanzo dopo "Il cadetto" del 1999 e "Bar Blu Seves" (2002) editi da Marsilio - è un esilarante e tenero sguardo su Taranto, nei rioni popolari alla fine degli anni Settanta.
Il centro di questa storia è "rione Italia Montegranaro", Città Nuova, Taranto, e il protagonista è Camillo Marlo in arte "Krol" adolescente tarantino di belle speranze, con un futuro nelle giovanili della Juventus e il sogno di calcare un domani il campo assieme al suo idolo Erasmo Iacovone, detto Iaco-gol. C'è speranza e amarezza, la tradizione letteraria e il dialetto, i ragazzi della Via Pal e Certi bambini di Diego De Silva.
Il libro ha espressioni indimenticabili, un pastiche lessicale irresistibile e comico, sullo sfondo si agitano le gesta di Erasmo Iacovone da Capracotta, bomber potente ed efficace del Taranto degli anni d'oro adesso è quasi un'icona, cristallizzato nel nome di quello stadio che rappresenta il languido ricordo di una stagione d' oro, quando il Taranto era nei quartieri alti della serie B e batteva il Bari con i suoi gol.
Iacovone morì a neanche 26 anni, il 6 febbraio 1978, mentre guidava una Diane. Fu travolto da un'Alfa rubata che correva inseguita da un auto della polizia sulla Taranto-Lecce. L'incidente diede la stura a incontrollate leggende metropolitane che si propagarono per la città. Giravano voci che fossero morti una mezza dozzina di calciatori del Taranto. Che erano rimasti coinvolti Gori e il portiere Petrovic. In realtà l'unica vittima era lui, Iacovone. E quella domenica notte molti tarantini andarono a vegliare il cadavere del loro idolo. Nell'obitorio del S.S. Annunziata si susseguirono centinaia e forse migliaia di persone. All'alba intervenne un robusto servizio d'ordine per frenare l'afflusso continuo e addolorato di gente.
Quel "lutto calcistico" sembra non essere mai cessato, e tutto quello che ne è conseguito negli successivi fino allo sprofondare del Taranto calcio nei dilettanti con quel magnifico pubblico e quello stadio. In virtù di questo Argentina si occupa di Iacovone e lo fa con un piglio commovente e lieve, usando gli occhi disincantati e sinceri di un ragazzino di 15 anni che vedeva in Iacovone non solo un idolo calcistico, ma un esempio di vita.
È il giorno dopo Taranto-Cremonese, lunedì 6 febbraio 1978: Erasmo Iacovone non c'è più. Mi sveglio per andare a scuola e mio padre sta ascoltando radio Taranto: mi pare strano che sta ancora qua perché tardi. "Oh papà, non è...", "À muerte Iacovone... 'n incidente su 'a Tarde San Giorgio" fa. Poi stuta la radio in cucina e se ne va. Ci ritroviamo davanti a casa con i compari: tutti sanno la notizia. "Allora è proprio vero" faccio con le lacrime agli occhi.
Il Camillo Marlo di Cosimo Argentina è un ragazzo quasi patologicamente innamorato del calcio. Eppure in una vita di gioco dove la "bibbia è l'album Panini" capita che la morte del grande campione sia una dolorosa resa dei conti:
Fino a un minuto prima è il tuo idolo insieme a Krol e un minuto dopo à mmuert'. Con la differenza che Krol se ne sta ad Amsterdam e Iaco invece giocava nel Taranto, gli piacevano le mie Orso d'Abruzzo, aveva segnato al Bari, non se la tirava, lo volevano la Fiorentina e la Roma, era in pratica al tempo stesso uno di noi e uno arrivato all'album Panini.
Iacovone certo non era un fenomeno, i piedi un po' grezzi, molto meno talentuoso del suo compagno di reparto, il bizzoso e sovrappeso Selvaggi (che diventerà campione del mondo nel 1982), ma aveva dalla sua un'eccezionale elevazione, caratteristica che lo accomunava al più noto Savoldi. Quel baffuto e possente centravanti con la casacca rossoblu prendeva tutte le palle di testa. Un fenomeno di forza e irruenza. Tanto che il suo sostituto fu un tale Serato che veniva dal rugby.
Oggi Erasmo Iacovone è uno stadio, un catino di amore, cemento e passione. Ha sostituito il vecchio stadio di legno e tungsteno, ma ha perso il calcio che conta. Eppure continua a sopravvivere in occasioni delle promozioni del Taranto e di alcune indimenticabili partite della nazionale come quella dell'under 21 di Zambrotta e Pirlo che sconfisse la Francia di Henry in un ottavo di finale degli Europei. È bello pensare che nel calcio continui a vivere quel sogno legato a una parola dove un piccolo articolo cambia la forma, ma non la sostanza: che a far sognare tutti anche uno scrittore, possano essere le stesse sillabe di quasi 30 anni fa, più un articolo piccolo piccolo e invece di Iacovone, lo Iacovone.
Mario Desiati
Fonte: M. Desiati, Incornate, urla e folli corse: la storia di Erasmo Iacovone, in «La Repubblica», Milano, 14 novembre 2004.