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Insegnò come vestirsi a Gary Cooper


Ciro Giuliano
L'articolo di Luigi Barzini sul Corriere della Sera.

È morto, a pochi giorni di distanza da Giorgio De Chirico e a qualche mese da Vittorio Cini, suoi contemporanei, Ciro Giuliano, l'ultimo grande sarto romano della passata generazione, venerato come un maestro da tutti i suoi colleghi. Aveva vestito, tra le due guerre, la classe dirigente, gli italiani importanti e quelli che volevano sembrare importanti, i nobili meridionali che avevano ereditato il diritto di non togliersi il cappello davanti al re di Spagna (cosa assai utile in caso di pioggia), i finanzieri fondatori di imperi idroelettrici, i banchieri, gli industriali che rifornivano proficuamente le forze armate, gli avventurieri più presentabili, i discendenti senza cognome di guerrieri longobardi, i famosi attori dalla voce flautata, i playboys, quasi tutti i nostri ambasciatori, e i più mondani tra i gerarchi fascisti. Aveva, inoltre, vestito anche molti dandies stranieri di passaggio, tra cui Gary Cooper e, occasionalmente, il Duca di Windsor e Clark Gable.

Uno dei primi, tra i personaggi stranieri, a diventare suo assiduo cliente, fu appunto Gary Cooper. Andò così, secondo la leggenda. Un telegramma annunciò a Dorothy di Frasso, nata Miss Taylor di Watertown, New York, ricchissima, padrona allora di Villa Madama, che un certo Gary Cooper, attore poco noto, sarebbe arrivato in Italia dall'America, naturalmente in transatlantico, il giorno tale, e le si raccomandava di ospitarlo, proteggerlo, e fargli conoscere gente. Dorothy, che era stata invitata da amici in una campagna del Meridione, aveva pensato di rimorchiare il giovane sconosciuto al suo seguito, e si trovò a Napoli allo sbarco. Gary Cooper scese timidamente dalla passerella tutto vestito di verde.

Aveva il cappello verde, la camicia verde, la cravatta verde, le calze verdi, il vestito verde, e, pare, anche le scarpe scamosciate verdi. Dorothy inorridì. Si innamorò di lui, che era bellissimo (il loro amore durò parecchi anni), ma, di ritorno a Roma, prima di presentarlo agli amici, lo portò da Ciro, e gli fece ordinare un guardaroba completo. L'attore divenne un fedele cliente fino alla morte. La fama del sarto romano si allargò così anche tra gli attori di Hollywood. Che non si tratti di una favola si prova osservando bene qualunque vecchio film di Gary Cooper, dove non è vestito da cowboy. Ha sempre una curiosa aria nostrana, l'aspetto di un settentrionale magro e distinto con una testa anglosassone avvitata al collo.

In realtà Ciro (con due o tre altri suol famosi colleghi del tempo) non aveva rinnovato l'arte della sartoria. Aveva, con talento e gusto italiano, adattato e interpretato criteri e tecniche inglesi. Appoggiava, cioè, la giacca alle spalle del cliente cosi com'erano, come gliele aveva fatte sua madre, senza imbottiture, senza telette rigide o altro, per cui il resto pendeva per gravità, sciolto, con garbo e naturalezza. I sarti più tradizionali appoggiano invece la giacca a spalle finte, fatte di bambagia, sostegni, e accorgimenti vari. Il resto è rigido, modellato scultoreamente con l'aiuto di tele nascoste nella fodera, e con altri artifizi.

I segreti di Ciro erano forse solo due. Le sue stoffe erano di grande qualità, quelle che, prima dell'ultima guerra, erano tessute in Inghilterra da poche piccole fabbriche, con scelte lane australiane, per pochi sarti, ad uso di pochi clienti, stoffe paragonabili, come pregio e rarità, a certi vini carissimi di cui si produce solo un limitato numero di bottiglie numerate, riservate al conoscitori. Tali stoffe non si ciancicavano, non avevano bisogno di essere stirate perché riprendevano da sé la forma appese in armadio, cadevano con naturale eleganza, muovendosi col movimento del corpo. Ciro andava ogni anno a scegliersele di pesona in Inghilterra. Il suo secondo segreto era questo: non seguiva la moda. I suoi abiti non avevano data di nascita, come quelli di Coco Chanel. Erano eleganti anche dopo trent'anni.

Questa distinzione tra l'abito fluido e naturale all'inglese e quello tradizionale all'italiana (o alla francese), rigido e senza pieghe, non è cosa del tutto frivola. Può considerarsi un segno significativo utile per antropologi, sociologi, politologi, moralisti, studiosi di storia dell'arte, economisti e filosofi in genere. È il simbolo infatti di due fondamentali concezioni della vita. Si ritrova per l'appunto in molti campi.

Si può ritrovare la differenza anche in equitazione. In un vecchio manuale italiano ("L'arte di cavalcare", del conte Eugenio Martinengo Cesaresco, stampato a Salò nel 1894), l'autore riferisce ciò che un venerabile maestro gli aveva raccontato molti anni prima: «A questo proposito Francesco Sayler mi diceva ricordarsi che nel 1796 la cavalleria repubblicana di Napoleone, che non aveva nessuna istruzione, fece prigionieri molti ufficlali austriaci perché, invece di scappare, i loro cavalli facevano ll passo spagnolo».

I francesi, cioè, permettevano, facilitandolo, il naturale e spontaneo muoversi del loro animali, mentre gli austriaci li costringevano a eseguire movimenti artificiali secondo le regole dell'alta scuola (va notato che, contrariamente alla nostra tradizione, fu un italiano a inventare, dopo millenni, al principio di questo secolo, un modo "naturale" di montare a cavallo, modo che assecondava i movimenti spontanei dell'animale e gli alleggeriva la fatica, mentre gli Inglesi e molti altri si ostinarono per anni a costringerlo in andature innaturali e imbarazzate, ottenendone, come gli ufficiali austriaci nel 1796, prestazioni inadeguate). La distinzlione si ritrova fra l'altro anche in economia e in politica. È la differenza tra la democrazia liberale e la costrizione burocratica e poliziesca, tra la ricerca forzata di effetti esteriori e la spontaneità assecondata e guidata.

Ciro Giuliano aveva forse intuito queste cose da ragazzo perché era nato a Ortona [sic]. A Ortona era nato, molti anni prima di lui, nel 1847, anche Francesco Paolo Tosti, garbato cantante e famoso compositore di canzoni romantiche, morto nel 1916. Tosti era emigrato a Londra nel 1875, come un tempo il suo conterraneo, il poeta Gabriele Rossetti di Vasto. Là, aveva fatto fortuna, ed era diventato amico di Edoardo, principe di Galles, che nel 1880 l'aveva nominato maestro di musica di tutti i giovani principi reali. Nel 1908 re Edoardo lo fece anche cavallere, con il diritto di premettere il "Sir" davanti al primo nome, Sir Francesco Paolo. Tosti era corpulento ma elegantissimo, corpulento come Edoardo VII e vestito esattamente come lui dagli stessi illustri sarti.

A Ortona aveva lasciato un fratello magro, forse per la vita grama nella provincia italiana. Al fratello magro il musicista inviava regolarmente gli abiti smessi, che dovevano ogni volta venire ristretti. Ciro era, in quegli anni, prima della grande guerra, un giovane apprendista del sartino locale. Smontava le giacche, i gilè, i pantaloni che arrivavano da Londra, li ritagliava sulle misure del fratello Tosti, e rimetteva poi tutto insieme. Si impadronì così dei segreti dei maestri di Savile Row. A quel tempo erano considerati i migliori d'Europa, grazie anche alla fama del re, arbiter elegantiarum, loro cliente, nonché di quella dei grandi signori inglesi.

Ancora oggi, qua e là per Roma, o in qualche festicciola privata, vien dato di incontrare signori anziani vestiti in modo impercettibilmente elegante, tutti allo stesso modo, forse come, dopo la restaurazione, s'incontravano vecchi gentiluomini con la parrucca incipriata. Il taglio di Ciro è riconosclblle a vista.

Era diventato quasi completamente sordo, un poco gobbo, ma lavorava sempre con l'entusiasmo del ragazzino di Ortona, malgrado gli anni, la ricchezza, e una sua preziosa collezione di quadri moderni messa insieme nel corso degli anni. Si lamentava, in vecchiaia, di una cosa sola, di non avere quasi più clienti esigenti e conoscitori che insegnassero il mestiere a lui. «È finita –, diceva. – Sono io ora che devo insegnare a loro. Devo consigliare le stoffe e inventargli l'abito. E quelli accettano tutto. È finita». Non aveva capito che, in una società aperta, in cui l'élite si rinnova tumultuosamente di continuo, l'artigiano e il mercante hanno il compito di tramandare le regole del saper vivere agli uomini nuovi e soprattutto alle loro mogli.

Il lettore si chiederà come mai sia interessato a simili apparenti frivolezze. Mio nonno era sarto a Orvieto.


Luigi Barzini

 

Fonte: L. Barzini, Insegnò come vestirsi a Gary Cooper, in «Corriere della Sera», CIII:289, Milano, 8 dicembre 1978.

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