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L'insurrezione borbonica nell'Alto Molise (I)


Reazionari borbonici molisani nel 1860.

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L'intervento che mi appresto a svolgere - che toccherà solo di sfuggita ed in via incidentale lo snodo periferico ed i riflessi locali della vicenda risorgimentale, e cioè se, ed in quale misura, la comunità capracottese sia stata coinvolta nel processo di formazione del nuovo Stato italiano - si incentrerà e verterà principalmente sul saggio di Oreste Conti "I moti del 1860 a Capracotta", di cui farò una rapida e succinta lettura. Inoltre dedicherò alcune riflessioni critiche ed alcune considerazioni alla autunnale sommossa capracottese avvenuta nell'imminenza del Plebiscito per l'annessione al Regno d'Italia, svoltosi il 21 ottobre del 1860, e cioè cinquanta anni prima che il saggio venisse pubblicato dal nostro conterraneo.

 

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Oreste Conti, che discende dal ceppo familiare di Gerardo Conti, nasce a Capracotta il 25 marzo del 1877 da Giulio Conti e da Giovannina d'Alena, figlia del barone Pietro d'Alena. Ebbe, come fratelli, Olindo, Nestore ed Ottorino, personaggi di rilievo, assai noti e ricordati nel mondo capracottese del Novecento. Il padre Giulio (1834-1910) insieme ad altri consanguinei, fu uno dei protagonisti della rivolta avvenuta a Capracotta nell'ottobre del 1860, periodo in cui militava, come capo-plotone nella Guardia Nazionale, di cui era vice-comandante il proprio genitore Berardino Conti (1803-1876), più anziano del proprio consanguineo e cugino diretto Gaetano Conti (1818-1875), che ne era comandante in capo. Poco tempo prima dello scoppio dei moti insurrezionali era stato designato sindaco Amatonicola Conti (nato nel 1798) fratello maggiore del predetto Berardino, entrambi attivi protagonisti del movimento liberale di cui era leader il giovane e dotto sacerdote Filippo Falconi. Dunque, nell'autunno del 1860, erano i componenti di un unico casato familiare, la dinastia dei Conti, a gestire le leve istituzionali più vitali ed a reggere le sorti del nostro piccolo borgo montano.

Oreste Conti fu, tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento, un valente letterato nel campo del canto e delle tradizioni popolari, assai apprezzato dalla comunità accademica dell'epoca. I professori Mazzoni, Torraca e D'Ovidio scrissero le prefazioni introduttive alle sue opere letterarie e Francesco D'Ovidio, legato da personale amicizia con il nostro compaesano, non solo gli scrisse una raffinata e penetrante prefazione alla "Letteratura popolare capracottese", sua maggiore opera letteraria che arricchisce le case di molti conterranei, ma volle anche dettarne l'epitaffio della sua tomba, che ancora oggi può leggersi nella cappella familiare di Giulio Conti in Capracotta. Nonostante fosse per formazione culturale un letterato e non uno storico (nel trascorso mese di agosto, in occasione della presentazione del "Piccolo dizionario del dialetto di Capracotta", è stato opportunamente ricordato e messo in risalto il contributo del letterato capracottese allo studio del linguaggio e delle tradizioni locali) Oreste Conti, mosso anche da amore per gli avvenimenti storici del proprio paese e da spinte affettive verso i propri consanguinei e diretti familiari, seppe dedicare al patriottismo murattiano e risorgimentale alcune pubblicazioni, tra le quali il saggio "I moti del 1860 a Capracotta", stampato a Napoli nel 1911. Confessa candidamente l'Autore, nella prefazione del suo saggio, che esso è stato scritto sulla scorta del «racconto orale che mi è restato fisso in mente con precisione matematica» ma, aggiunge, che tale narrazione non è rimasta avvalorata da documenti che - come egli testualmente affermava - «speravo di trovare come che sia negli archivi della Provincia di Campobasso». L'Autore non indica le fonti della propria narrazione e cioè le persone che gli riferirono gli avvenimenti da lui descritti, ma la circostanza che i fatti da lui narrati si fossero fissati nella sua mente con «precisione matematica», lascia supporre che essi siano stati, in occasioni e tempi diversi, riferiti più volte dai propri congiunti e cioè dal padre Giulio e dallo zio Ruggero, che fu sindaco per lungo tempo nella seconda metà dell'Ottocento. Il nonno Berardino ed il cugino Gaetano, protagonisti principali e testimoni diretti di quelle drammatiche e torbide vicende, erano già deceduti al momento della nascita di Oreste, avvenuta, come già detto, nel 1877. D'altra parte i tentativi compiuti, nel primo decennio del Novecento, dal giovane studioso per reperire le fonti autentiche negli archivi della Provincia di Campobasso, non ebbero un esito positivo perché i documenti - che come lo stesso Autore riconosce, «potevano dare un utile contributo alla storia civile del Paese» - erano conservati, in quel tempo, nell'Archivio di Stato di Campobasso.

 

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I documenti invano ricercati da Oreste Conti per suffragare il proprio lavoro, sono stati rinvenuti successivamente e pubblicati, sia pure parzialmente, da Renata De Benedictis e da altri studiosi molisani in occasione delle recenti celebrazioni del bicenterario della nascita di Giuseppe Garibaldi. Essi confermano che la trama della narrazione fatta dal nostro compaesano nell'anno 1911, a distanza di cinquanta anni dagli avvenimenti, corrisponde, nelle linee essenziali, allo svolgimento dei fatti realmente accaduti tra la data del 3 ottobre, inizio della sommossa capracottese, e quella del 16 ottobre, in cui essa si concluse. Nello spazio di solo dodici giorni furono commessi, da una facinorosa e retriva minoranza della popolazione, sobillata da borbonici forestieri e capeggiata dal famoso Calzettone, autoproclamatosi «Governatore della Terra», uccisioni, incendi, ferimenti, soprusi, violenze, incarcerazioni. Pacifici ed inermi compaesani si tramutarono, nei primi giorni della rivolta, in violenti e furibondi saccheggiatori che aggredirono, incendiarono, devastarono abitazioni, procurarono non lievi menomazioni a compaesani di fede liberale. Giulio Conti, capo-plotone della Guardia Nazionale e padre dell'autore dell'opuscolo, riportò una vistosa ferita per un colpo di stile al fianco destro; e suo zio, il farmacista Ettore Conti, fu colpito da una terribile roncata al collo. Inoltre gli insorti reazionari fecero minacce, costrizioni ed umiliazioni ai liberali del paese. Il gentiluomo don Antonino Conti fu costretto, dietro minacce, a cedere ai rivoltosi le armi di casa; don Francesco Falconi, padre del leader liberale don Filippo Falconi, futuro arciprete del paese, venne costretto a far preparare nella propria casa un lauto pranzo ai rivoltosi; don Policarpo Conti, canonico della Chiesa Madre, umiliato e schernito, venne costretto ad indossare una fruscella al posto della berretta canonica.

Oltre ai predetti saccheggi, ferimenti, costrizioni ed umiliazioni, i rivoltosi procedettero ad arrestare e rinchiudere nelle carceri locali, sottostanti la Chiesa Madre, un nutrito gruppo di liberali, tra cui il sacerdote Filippo Falconi ed altri galantuomini.


Alfonso Battista


 

Fonte: A. Battista, L'insurrezione borbonica nell'Alto Molise: lettura critica del saggio di Oreste Conti "I moti del 1860 a Capracotta", in E. Mattiocco (a cura di), L'Abruzzo per i 150 anni dell'Unità d'Italia, Colacchi, L'Aquila 2014.

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