Provo a parlare del mio paese: Capracotta.
Non ho molta dimestichezza con la penna, non la uso frequentemente ma mi piace rappresentare le mie emozioni in special modo se devo parlare del luogo dove sono nato. Il mio paese è arroccato sull'Appennino molisano in provincia di Isernia ad una quota di 1.421 m.s.l.m. È uno dei comuni più alti dell'Appennino e tra i primi d'Italia. È rinomato per lo sci di fondo e nel 1997 ha ospitato il campionato italiano di detto sport. Luogo più a sud del mondo dove è passata la carovana mondiale della corsa di slitte trainate dai cani.
Si sale dolcemente per una strada ampia e percorribile sino lassù dove il cielo si incontra con l'orizzonte. Lo sguardo è chiuso dal pendio della montagna articolato di prati, campi incolti intersecati da sentieri punteggiati da linee spezzate da cespugli di rovi, o da isolati alberi di cerro, faggio, ippocastano, nocciola e qualche abete. All'improvviso il paesaggio si fa brullo e privo di vegetazione e si giunge su un pianoro. È spazzato ed accarezzato dal vento che nessun arbusto osa sfidare: solo sottili fili di erba, piccoli fiori ed i nuovi alberi d'acciaio dalla corteccia bianca del recente parco eolico. La vista si libera ed esplode in una visione ampia. Spazia a tondo perdendosi nella valle e sulle cime lontane. All'orizzonte si raffigura una sottile linea bianca lucente, orla il culmine del colle che sale dalla valle lussureggiante di boschi. Alle spalle si staglia in lontananza la sagoma massiccia e scura della Maiella, a destra il suo fedele Monte Campo, mentre a sinistra le pendici boscose del Monte Capraro. È il primo saluto che offre al suo figlio che torna dal lavoro o da un lungo viaggio. Per un attimo si ferma ad osservarti mentre tu immobile rifletti e diffondi i raggi del sole splendente a te più vicino e più caldo. Lo sguardo riposa nella contemplazione dello stupendo panorama, ti infonde un senso di inesprimibile serenità ed una sottile vena di malinconia e nostalgia.
Riprende la strada quasi pianeggiante costeggiando Monte Capraro e si passa nel bosco di alti faggi. Si stagliano longilinei nel cielo come canne di un organo e proteggono la quiete ed il silenzio del luogo. Qualche uccello lancia il suo grido e ti accorgi di esistere. Dopo una curva si presenta davanti la vecchia fonte con la sua cannella in ferro molto grande ed il suo pilone di raccolta. Vecchia ed umile sorgiva, com'è gradevole e familiare il chioccolio ciarliero e giocondo con cui ti annunci al frettoloso e a volte distratto passante. Che pace intima, pensieri sereni e limpidi come la tua acqua: ti fermi. Niente turba la grande pace sotto quegli alberi ombrosi, mentre l'acqua sgorga dalla crepa della terra e scorre, fresca, cristallina e placida verso la valle. In lontananza osservi quella macchia bianca che ondeggia sui pascoli: si raggruppa, si sparpaglia, avanza; lungo la strada l'abbaiare dei maestosi cani bianchi maremmani ti avvisa che sono vigili e proteggono il loro gregge.
Finalmente dalla sommità di un piccolo colle ti offri agli occhi serena ed adagiata sul crine in tutta la tua estensione sino alle ultime case che si inerpicano verso l'altro monte. Ti colori con tutte le sfumature che le stagioni ti offrono, come una giovane ragazza si offre alla vita. Un semplice vestito in verde pastello orlato di punti colorati indossi alla primavera che sboccia: pudica ed innocente prima di scoprirti al sole. L'erba si accresce e dai prati falciati di fresco esala l'acuto odore del fieno steso al sole per asciugare. La tua veste risplende in una ricca gamma di gradazioni di giallo fulvo nell'estate gioiosa e spensierata. Al soffio lieve del vento mattutino, nelle campagne dorate ondeggiano le poche messi mature o presso a maturare. Il tuo splendore aumenta e prendi in prestito tutta la tavolozza nell'autunno: rosso cupo, giallo, arancione, verde forte; ti vesti a festa con toni sgargianti in attesa di coronare il sogno della tua vita. E arrivata l'ora riprendi la tua serenità e ti avvolgi nel tuo vestito bianco come il manto di una sposa nel freddo e lungo inverno. Prima di imboccare le case la piccola chiesetta circondata da verdi pini vigila, osserva e sorride a tutti i suoi figli che ritornano, a volte per non partire mai più: riposano felici tra le tue braccia nel sonno profondo della tua tranquillità. La Madonnina è quella madre amorevole che tutti amano e salutano con gioia perché essa invita a tornare e a non dimenticare. Fai un saluto riverente e scorre nella mente il lento fluire del fiume di persone che ai primi soffi di autunno, 8 settembre, sono lì presenti e ti osannano e ti venerano in questa festa lieta del ritorno, che si ripete ogni tre anni.
Le prime case ti salutano e coronano la tua ultima salita che porta nel centro, nell'anima: accogli tutti con assoluta serenità nelle giornate di autunno e primavera e con allegri e discreti rumori nella fresca e breve estate. Solo il tuo fedele compagno, il vento, è sempre al tuo fianco e brontola in silenzio e ti rinfresca nelle caldi assolate giornate d'estate, mentre in quelle fredde e tenebrose d'inverno si infuria, emette sibili, fischi acuti e sordi, solleva un turbinio di fiocchi bianchi e cristalli li spazza e poi li accumula. A volte nasconde le case la bufera, ti circonda e ti immerge in una dimensione dove si annulla lo spazio ed il tempo. Si passa per il tuo breve tratto in piano, il Corso del paese dove in lontananza si scorge la vetta di Monte Campo dominata dalla Croce immensa che si erge verso l'alto a protezione di tutte le valli in un arco completo. I giovani ed anziani usano camminare in un lento passeggio ripetuto senza stancarsi accompagnati da un vociare sommesso nelle caldi e fresche serate d'estate. È un continuo salutarsi felici perché ci si incontra, ci si rivede, ma anche triste perché si deve ripartire. Ti orli con tanti fiori ed acquisti un'aria civettuola e birichina a primavera: sei bella nella cascata di gerani in una esplosione di colori forti che pendono in ogni dove.
Salendo ancora un po' si arriva alla chiesa del paese arroccata sul culmine della rupe e il suo campanile si innalza verso l'azzurro del tuo cielo. Ai suoi piedi si stende tutto l'abitato. Le case che circondano la chiesa sono l'unica testimonianza del tuo passato, perché tutto il restante è stato distrutto dai tedeschi e i tuoi abitanti, con caparbietà, hanno ricostruito con cura. Ci è dato immaginare, che dovevano essere molto modeste e fredde, addossate le une alle altre, quasi ammonticchiate, spesso comunicanti tra di loro, pullulanti di vita, piene di calore umano, vissute da persone che sapevano essere contente del poco, che vivevano i loro disagi con composta rassegnazione. Al suo fianco le case si diradano ed aprono una bella finestra sulla valle dall'altro versante e vedi la vallata del fiume Sangro circondata dagli avamposti delle Mainarde abruzzesi, aguzzi lo sguardo ma non scorgi la loro perla, Roccaraso: è nascosta da un cocuzzolo, mentre dinanzi nella sua maestosità si presenta in lontananza la Maiella. Il verde domina il tuo territorio ed anche le tue case in pietra vestono dello stesso colore le porte e le finestre protette da persiane. Quando si spalancano scoprono grandi occhi lucenti, donano un dolce sorriso alla casa e annunciano che si è tornati per stare con te quei pochi giorni strappati alla vita frenetica dei luoghi dove si è trovato lavoro. Dura è la terra alle tue altitudini ed i frutti che rende non sono abbondanti.
Una pace irreale regna sempre tra le tue strade, larghe ed alberate, strette e sinuose contornate di lunghe file di case, addossate le une sulle altre per recuperare quel poco calore che il solo camino offriva ai tuoi abitanti. Le botteghe artigianali ricavate nelle viscere del tuo agglomerato una volta risuonavano di voci e rumori ora sono rimaste vuote. Rivedi il fabbro, il falegname, il calzolaio, il ramaio. Ora solo alcuni falegnami lavorano in grandi capannoni alla periferia delle tue case. Il vecchio mulino lo rivedi solo con l'occhio affettuoso del ricordo dove il mugnaio si muoveva nel brusio sonoro delle macine, circonfuse da un alone di candida farina. Arrivi errando tra le case, quasi tutte disabitate ma non abbandonate perché tutte sono tirate a nuovo e sempre pronte per accoglier il suo proprietario, sino al vecchio cimitero dove tanti tuoi figli riposano e fanno ritorno da ogni dove. È un piccolo cimitero di montagna dove anche nella tempesta di neve si deve trovare sepoltura; pertanto tutti i loculi dei cari estinti sono ubicati in cappelle chiuse, private o comuni a due piani. Sono disposte sui lati di un piccolo giardino costellato di cipressi ed ippocastani. Riposano al coperto e non temono le intemperie. Gli abitanti sono tutti temprati dal freddo e dalle difficoltà quotidiane. Sono animati da un grande spirito di solidarietà e di appartenenza e non temono di vivere, a queste altitudini, con grandi sforzi e sacrifici.
Fonte: http://www.capracotta.com/, 2007.