L'invisibile filo che lega Acquaviva delle Fonti (BA) a Capracotta (IS), cittadina del Molise, si spiega attraverso la persona di Giovanni Domenico Falconi (1810-1862); vescovo, questi, nato e deceduto a Capracotta, ma indiscusso protagonista di un'importante pagina della storia acquavivese.
Circa la figura e le opere del Falconi non mancano documenti e riferimenti bibliografici (Luciani 1876, Lucarelli 1903, Pietroforte 1977, Zirioni 1982, Mastrorocco 2003, ed altri) attestanti un uomo che sembrerebbe passato alla storia - più che per le virtù e le qualità umane - per i limiti, le debolezze e le lacune che caratterizzarono la propria prelatura; inneggiato e trionfalmente accolto dagli acquavivesi all'inizio del proprio mandato, non potrà, poi, sottrarsi agli attacchi e alle contestazioni che lo costringeranno alla fuga.
In tal senso, fermo restando che l'anelito più grande di ogni storico e ricercatore (dal dilettante al professionista) dovrebbe essere il tentativo di una continua ricerca della verità storica, ci sembrava che circa la figura del Falconi i conti con la Storia fossero ormai chiusi. Tuttavia una recente visita a Capracotta ci ha fatto sollevare dubbi e perplessità a riguardo della vera natura di un uomo che, ancora oggi, a distanza di 140 anni dalla sua morte, gode di notevole considerazione nel proprio paese natio.
Due pareri così contrastanti (da un lato, tacciato di scelleratezze, dall'altro, addirittura considerato in punto di morte "in odore di santità") ci hanno oltremodo incuriosito ed intrigato.
Cosicché, individuata la tomba del Falconi, situata a circa 2 metri e mezzo di altezza sul lato destro dell'altare centrale della Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta in Capracotta, ci siamo soffermati a leggere, con doverosa attenzione, una stele posta a copertura del sepolcro medesimo.
Interpellato il parroco locale (don Elio Venditti, che vivamente ringraziamo) ci riferiva che l'apertura ultima della lapide risale agli anni Sessanta quando si intendeva avviare, per il Falconi, il processo di beatificazione.
In tale occasione il cadavere del vescovo fu trovato in posizione seduta e (parrebbe ancora!) incorrotto (certo il condizionale è d'obbligo non avendo potuto consultare alcun referto o documentazione in merito).
Il presente articolo non vuole raccontare la vita di un vescovo che, tra luci ed ombre, ha caratterizzato un momento importante della storia della nostra Città (all'incirca il terzo ventennio del XIX secolo) ma semplicemente riportare la traduzione della lapide tombale di Giovanni Domenico Falconi, Prelato Ordinario di Acquaviva delle Fonti dal 1848 al 1860.
Non vi è dubbio che a primo acchito, dopo una rapida lettura della pietra sepolcrale, alcuni pregiudizi nei confronti di quest'uomo ci sembravano vacillare. In sostanza, ci siamo chiesti: può, la storia, essere stata un po' troppo severa nei confronti di un uomo figlio del suo tempo e vissuto in un momento di transizione e di grandi sconvolgimenti sociali, politici ed economici? Potrebbe essere stato il Falconi un grande Prelato malgrado tutto quello che si è scritto di lui in funzione di un eccessivo liberismo e cieco anticlericalismo che caratterizzava quel momento storico?
Gli indizi sono diversi ma le prove documentali, in verità, assai poche e per questo - in una prospettiva che ci vede rimandare ad un'analisi più oculata - ci limitiamo a fornire alcuni tasselli (riteniamo) importanti nella ricostruzione della vita di un uomo ormai (forse) dimenticato.
Procedendo, dunque, all'analisi dell'epitaffio che di seguito (tradotto integralmente) viene pubblicato, si legge tra le nomine del Falconi - già arciprete di Acquaviva - quella a Prelato ordinario (avente, cioè, tutti i poteri vescovili residenziali) di Altamura e Acquaviva. Aderendo alle richieste della popolazione acquavivese, infatti, Pio IX con Bolla "Si aliquando" (1848) elevava la Chiesa di Acquaviva delle Fonti a prelatura nullius e la univa aeque principaliter alla prelatura (già arcipretura) nullius di Altamura istituita, invece, nel 1248.
Proseguendo, nella lettura si apprende che nel 1858 Pio IX nominava Falconi, in partibus infidelium, vescovo di Eumenia, città della Lidia, regione storica dell'Asia Minore occidentale. Sebbene diversi autori riportino la nomina come avvenuta «nell'agosto del medesimo anno» un rapido calcolo derivante dalla trascrizione in esame ci permette di affermare - con relativa certezza - che la consacrazione abbia avuto luogo, invece, il 24 giugno di quell'anno.
L'epitaffio prosegue tracciando un profilo di un uomo timoroso di Dio e misericordioso verso gli ultimi e che ebbe modo di spendersi per la salvezza delle anime, non solo per mezzo delle parole ma anche attraverso opere concrete. Del canonico, l'iscrizione ricorda la grande preparazione e conoscenza delle lingue, peraltro documentata e provata dal Luciani nonché la costruzione del seminario di Altamura al quale il vescovo seppe conferire un austero e rigoroso carattere ecclesiastico.
In un periodo storico in cui la Chiesa subiva violenti attacchi e perdeva il millenario potere temporale per effetto dell'onda liberale ormai in atto, si legge ancora che il Falconi, pur patendo accuse ed incriminazioni, non abbandonò mai il rispetto e l'amore per la madre Chiesa schierandosi senza sosta con i vescovi difensori del pontefice.
Circa il riferimento nella stele ai dati anagrafici, il computo dei giorni, secondo il calendario romano, permette di individuare con relativa evidenza l'effettiva data di nascita: il 6 agosto 1810. A tal proposito una certa perplessità sorge quando, invece, il Luciani in un documento ufficiale riporta la nascita del Falconi avvenuta il «die quarta Augusti 1810». Il 6 - come data più attendibile - è peraltro confermata da un banale conteggio a ritroso partendo dagli anni, i mesi ed i giorni di vita indicati nella medesima lapide. E come si legge, la data di morte, invece, ha una coincidenza evangelica col giorno e l'ora in cui l'Umanità conobbe la propria salvezza per mezzo della nascita di Gesù Cristo (la notte tra il 24 e 25 dicembre).
Il testo della pietra tombale termina col riferimento ai familiari che redassero e posero la stessa a testimonianza del proprio dolore ed affinché l'opera e la figura di Giovanni Domenico Falconi non cadesse nell'oblio. Inutile dire che se il presente scritto riuscisse, almeno in parte, in tale intendimento chi scrive avrà raggiunto il suo principale obiettivo.
Nunzio Mastrorocco
Fonte: N. Mastrorocco, La lapide sepolcrale di Giovanni Domenico Falconi: prelato ordinario di Acquaviva dal 1848 al 1860, in «Voria», IV:1, Capracotta, luglio 2010.