L'allarme lo ha dato l'associazione nazionale degli artigiani: nei prossimi dieci anni sono a rischio estinzione diversi mestieri, tra cui sarti e falegnami. Il paese della moda è diventato uno dei maggiori sostenitori della dittatura dell'industrializzazione del prêt-à-porter (pronto da insossare), mettendo in discussione le sartorie artigianali. Ci sarebbe molto da dire su questo tema e alcune iniziative hanno cominciato a farlo piuttosto bene, come Serpica Naro (il nome inventato di una sconosciuta stilista "giapponese" che nel 2005 ha chiuso la settimana della moda milanese, altri non era che l'anagramma di San Precario, il patrono creato dai lavoratori precari, in questo caso della moda) piuttosto che la campagna internazionale "Abiti puliti" (che sostiene attraverso rapporti, proteste, appelli, boicottaggi le lotte dei lavoratori del settore tessile sfruttati nei sud del mondo da brand del nord). E per alcuni aspetti anche studiosi come il sociologo Richard Sennet con "L'uomo artigiano".
Più preoccupante ci sembra il rischio che scompaiano alcuni saperi di base, diffusi tra le persone comuni, a proposito del cucito. Non occorre chiamarsi Valentino per saper rifare un orlo, rimettere un bottone oppure una cerniera, rammendare un calzino, ricavare fazzoletti di stoffa da vecchie lenzuola, ma sempre meno persone sono in grado di farlo. «Un piccolo corso di cucito o qualche ora da una zia abile – scrive Marinella Correggia in "La rivoluzione dei dettagli" – renderebbero lorsignori e lorsignore in grado di modificare una camicia, rifare un orlo, applicare un ghirigoro su una banale maglietta... Macchine da cucire per non professionisti sono a disposizione a prezzo modico, anche usate». Per fortuna in diverse città grazie soprattutto ai migranti si rivede in giro qualche sartoria, spesso inglobata nelle lavanderie.
Di certo, occorre un cambiamento culturale profondo, spazi sociali a disposizione (come i «Cafè delle riparazioni») e occasioni per la diffusione dei saperi che riguardano le abilità manuali, considerando lo scarso contributo della scuola pubblica, per altro sempre più massacrata. E allora ben vengono iniziative come quella promossa dalla cooperativa "Occhio del riciclone", «Corsi sartoriali di trasformazione di vestiti usati», che il mese scorso ha suscitato molte attenzioni tra i lettori di Comune, ma soprattutto ben venga la Giornata mondiale della maglia in pubblico, prevista il secondo e il terzo week-end di giugno.
Il "fare a maglia" in tutte le sue diverse espressioni (con i ferri piuttosto che con gli uncinetti, con ago e filo oppure con la macchina da cucire... insomma, purché abbia a che fare con il mondo del tessile) non è solo un fatto di mestieri da proteggere o saperi di base da recuperare (in quanto applicazione pratica delle teorie della decrescita e in quanto strumento che riduce le spese dei cittadini aggrediti dalla crisi); c'è anche l’elemento della socializzazione a fare la differenza. D'altronde, in ogni epoca e in ogni angolo del mondo, il cucire è stato spesso vissuto come occasione di incontro tra persone ("inventato" dalle nostre nonne davanti ai portoni dei paesi), di compagnia (soprattutto durante le giornate invernali nei paesi di montagna, come Capracotta, provincia di Isernia, «il paese dei sarti»), di condivisione di materiali, di scambio di saperi e di notizie sulla vita di tutti i giorni. Un microspazio di quotidianità, dal nostro punto di vista, capace davvero di favorire la ricomposizione dei legami sociali e la costruzione di relazioni orizzontali, basate sulle fiducia, attraverso attività in cui il valore d'uso è più importante del valore di scambio, relazioni umane non mediate dai merci, relazioni non capitaliste. Per questo, nella Giornata mondiale della maglia in pubblico, promossa per la prima volta da Danielle Landes nel 2005 a Denver (Colorado), chi lavora a maglia viene invitato a uscire di casa per incontrare altre persone con lo stessa passione e capacità.
Il secondo e il terzo week-end di giugno, quindi, in tutto il mondo ci si incontra, magari solo per un paio di ore, nei parchi, nei locali pubblici, nelle piazze, nelle mercerie, nei consigli comunali per cucire, lavorare a maglia e chiacchierare. Nel 2005 gli eventi organizzati in tutto mondo sono stati 25, con il passare del tempo si sono moltiplicati fino a superare il migliaio di appuntamenti. In italia la Giornata si svolge dal 2008: gli incontri (i Kip, cioè i ritrovi, sono annunciati e "catalogati" sul sito ufficiale divisi per paese) sono liberi, aperti a tutti e generalmente non prevedono prenotazioni né pagamenti. Per il 2012 sono già previsti incontri a Roma, Firenze, Prato e Milano. Notizie più complete e aggiornate sono nel sito del Wwkip (World wide knit in public day) e in due pagine facebook, quella ufficiale dell'evento e quella italiana.
Organizzare un evento, spiegano i promotori, è semplice. Prima di tutto parlate con proprietari e gestori di caffè, bar, negozi, mercerie, spazi sociali; verificate l'appoggio e soprattutto le autorizzazioni dalle autorità locali; fate l'elenco delle cose che i partecipanti devono portare con loro (cibo, acqua ma anche sedie, cappello da sole, maglieria, ago, filo...); individuate un posto in cui rifugiarsi in caso di pioggia; preparate e diffondete volantini nei negozi e messaggi on line; preparate anche un grande cartello da appendere qualche giorno prima nel luogo destinato a ospitare l'iniziativa pubblica; fornite bene ai partecipanti e ai curiosi le indicazioni per raggiungerlo (a piedi, in bici, con bus).
A Roma, la Giornata 2012 sarà promossa almeno in due appuntamenti: dall'Università del Saper Fare sabato 9 giugno dalle 15 a Villa Pamphilii. L'invito è di portare progetti a maglia, sia ai ferri che uncinetto o qualsiasi altro lavoro che riguardi i filati. E sabato 9 e domenica 10 (dalle 18 in poi) con Romammaglia Knit Festival in piazza San Cosimato a Trastevere, grazie all'iniziativa del collettivo The SempliCity, promossa in collaborazione con il Municipio I: durante la festa sono previsti workshop gratuiti con La Banda della Maglia, installazioni ispirate al libro di Stefano Benni "Stranalandia" della texitle designer Alessandra Roveda, la poesia l'arte dell'associazione LeMasque, guerrilla knitting (il movimento che propone di rivestire di lavori a maglia lampioni, panchine, alberi, opere d’arte delle città per diffondere colore, calore e creatività), ma anche animazioni a sorpresa in tutto il quartiere.
Concludiamo volentieri citando un post del blog di Emma e Yummy, cioè Emma Pavanelli e Mariaelena La Banca, tradutrice la prima e pedagogista la seconda. Il blog è dedicato alla decrescita e alle personali scelte di downshifting. «Una delle prime esperienze che ho fatto nel mio percorso di decrescita è stata imparare a cucire – racconta Emma – Erano anni che mi riproponevo di farlo ma non avevo mai il tempo di dedicarmi. Così, una volta lasciato il lavoro, e prima di riprenderlo part time, mi sono iscritta a un corso di patchwork. Quella scelta ha radicalmente cambiato la mia vita. Ho cominciato a fare da me lenzuola e coperte, magliette, pantaloni, borse, libri tattili per bambini e tutto ciò che la mia fantasia proponeva. A mano a mano ho cominciato a prendere confidenza con la macchina da cucire, acquistata usata su e-Bay, e devo dire che, oggi, a distanza di due anni, una delle scelte più fruttuose derivate dal downshifting, è proprio il cucito. Rammendare, creare, rattoppare, fare orli... Consiglio a chiunque abbia tempo per frequentare un corso di cucito di buttarsi. Non ve ne pentirete».
I motivi per partecipare al World wide knit in public day sono dunque numerosi. Scegliete quello che preferite. A noi convince soprattutto la capacità dell'evento di coinvolgere persone comuni in spazi pubblici, una vera insurrezione di questi tempi: per dirla con gli zapatisti, «siamo persone comuni e pertanto ribelli». Provateci, non ve ne pentirete.
Città Invisibile
Fonte: https://comune-info.net/, 26 giugno 2012.