Prima de 'ngumenzà...
Quanto può risultare noioso l'ennesimo vocabolario dialettale capracottese?
Non posso darvi torto!
Tuttavia, questo settimo lavoro per la collana degli "Argomenti di Letteratura Capracottese" era necessario, forse addirittura obbligatorio, in quanto naturale conseguenza del calendario dialettale che, con tanto successo, realizzo e diffondo dal 2021, e che saluta le giornate dei cittadini capracottesi (e non solo).
Aver condiviso in tutti questi anni e con tante persone i vocaboli, i modi di dire, i proverbi e gli usi di Capracotta, ha affinato la selezione lessicale al punto che in questo nuovo libretto è raccolta buona parte della nostra parlata più antica ed autentica.
Persistono, tuttavia, delle zone d'ombra. Non potrebbe essere altrimenti in una comunità che è (stata) tanto viva e dinamica.
Vocaboli che consentono o prevedono doppie, se non triple, dizioni, parole desuete immigrate ed emigrate in paesi convicini, forestierismi e neologismi i più disparati, accezioni apparentemente lontane dal significato principale, inflessioni che cambiano radicalmente tra il centro abitato e le sue contrade e che, per forza di cose, si riflettono in diverse pronunce, tutte egualmente ammesse perché figlie della stessa madre: Capracotta.
In questo primo volume ho composto una prima selezione di 400 termini del nostro dialetto: ho scelto i vocaboli più singolari, i più insoliti, quelli più distanti dalla lingua italiana, sperando che provochino nel lettore l'emozione della parlata avita o la sorpresa di un insperato apprendimento.
Voglio però anticiparvi che non è un classico dizionarietto in cui le parole vengono crudamente esposte in ordine alfabetico. Ho cercato di approfondire ogni parola dialettale a partire dal suo etimo e nelle sue derivazioni e declinazioni possibili, cercando di legarla alla società ed alla cultura di Capracotta di ieri e di oggi.
Questo, quindi, non è un vocabolario da consultare quando si va alla ricerca d'una parola e del relativo significato, ma un libro che si può leggere al pari d'un piccolo saggio, poiché ogni parola porta con sé un racconto che potrà schiudere un immaginario familiare o popolare, in ogni caso un universo culturale.
L'urgenza di pubblicare "Le più belle parole del dialetto di Capracotta" nasce anche da una ulteriore riflessione. Tutti i dizionari locali che ho avuto modo di consultare, infatti, pur possedendo la buonafede dei migliori propositi, presentavano a volte degli errori di battitura, con accenti sbagliati o parole scritte con un'ortografia non corretta o quantomeno dubbia.
Nel mio lavoro, ad esempio, non troverete traccia dello schwa, quel feticcio grafico che appartiene all'alfabeto fonetico e che alcuni continuano ad inserire nelle parole capracottesi, contravvenendo alla funzione primaria del dialetto, quella di essere la forma di comunicazione più diretta ed immediata del popolo.
Per quel che mi riguarda, nel trasformare in grafia la complessità del dialetto, ho utilizzato soltanto tre convenzioni.
La prima è quella della cosiddetta "e" muta. Questa vocale la si pronuncia solo se accentata; se invece non presenta alcun accento, dà vita ad un suono gutturale che, nei fatti, è l'ottava vocale del dialetto centromeridionale.
La seconda convenzione riguarda l'accento circonflesso sulla "s". Per dar vita al suono sh- seguito da "c", "d" o "t", qualcuno ha difatti pensato di renderlo col digramma sc- – ad esempio sctùbbete (= stupido) –, mentre trovo più apprezzabile la presenza d'un segno grafico italiano, seppur arcaico, con la funzione di addolcire la "s" impura, per cui si avrà ŝtùbbete.
L'ultimo criterio – chiamatelo vezzo – è quello della "i" consonantica, resa con la desueta "j" lunga, la quale facilita la lettura di quelle parole che presentano particolari combinazioni vocaliche (si pensi alla parola ràja, = rabbia).
Le regole che seguirò nella compilazione, dunque, non renderanno perfetta la trascrizione del dialetto ma aiuteranno il lettore ad interpretarlo meglio. Quest'opera, d'altronde, non pretende di essere scientifica, per cui ho scelto di limitarmi agli accenti gravi ed acuti, alla "e" muta ed al circonflesso.
Azzardare una pubblicazione dialettale, insomma, è sempre una sfida che viene lanciata alla propria gente, poiché fissare su carta il dialetto significa attentare alla tradizione orale, che solitamente è più libera nei costrutti ed aperta alle diverse pronunce. Per questo motivo spero che i lettori scusino alcune dimenticanze, sorvolino su eventuali sbadataggini o tacciano su madornali errori.
Rimane inteso che non sono un linguista né un glottologo. Sono però convinto che per scrivere degnamente il capracottese, sia propedeutico saperlo parlare...
Partendo dai miei genitori e dai miei nonni, da cui ho appreso i rudimenti della parlata capracottese, voglio ringraziare mia moglie Lucia ed i fidati consulenti linguistici che giornalmente mi hanno corretto: Michele Beniamino, Giovanni Di Luozzo ed i fratelli Antonio e Filippo Di Rienzo. Un merito ce l'hanno pure i compaesani che, a vario titolo, mi hanno aiutato.
Ringrazio, ovviamente, anche chi si è cimentato, prima di me, in un'opera simile: su tutti don Osman Antonio Di Lorenzo, il dott. Felice Dell'Armi e il prof. Domenico Di Nucci (1942-2021). Da ognuno di loro ho attinto qualcosa.
Un grazie, infine, all'insuperato folclorista capracottese Oreste Conti (1877-1919), il quale, pur non parlando correntemente il dialetto in casa, ebbe la lungimiranza di fissare su alcuni libri – su tutti le "Locuzioni e modi di dire del popolo capracottese" e la "Folklorica pastorale capracottese" –, i lemmi ed i motti più particolari della nostra gente.
Francesco Mendozzi
Fonte: F. Mendozzi, Le più belle parole del dialetto di Capracotta, Youcanprint, Lecce 2024.