I tre fratelli presero allora il largo, correva l'anno 1894. Amato Nicola aveva sposato una cugina, Anna Maria di Tella, che, pur essendo di Agnone era una bravissima donna. Si distingueva addirittura, visto che discendeva per parte di madre dagli illustri Zurlo, tra cui si annoverava Giuseppe, il ministro progressista che aveva invano tentato di riformare i Borboni per salvarli dalla rivoluzione, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. Anna Maria aveva dato cinque figli a suo marito. Il primogenito, Giuseppe, studiava agronomia a Firenze e lì sarebbe rimasto per completare la laurea, il che lo avrebbe portato a fare il maestro, a scrivere diversi libri e a meritare che la sua città natale desse il suo nome a una piazza - dietro la casa di famiglia - e ad un "Giardino di Flora Appenninica". Dopo Giuseppe c'erano tre sorelle, Adele, Laura e Bianca, ancora ragazze. Il quinto, Torquato, aveva appena due anni.
I fratelli si stabilirono nel Nuovo Continente, utilizzando i fondi che erano riusciti a salvare dal disastro. Cesareo, sposato con la nipote Filippa Sozio, si era diretto a San Luis, dove con poche lire riuscì ad acquistare dei terreni e dove si stabilì e mise su famiglia.
Gli altri due, Amato Nicola e Salvatore, decisi a ripetere la loro esperienza molitoria, questa volta si buttarono sul tabacco e fondarono una fabbrica di sigari nella città di Buenos Aires. Erano anni difficili e in America non era tanto facile. Anzi, dopo qualche anno dovettero chiudere l'attività e rendersi conto che l'Argentina, che stava attraversando una fase molto critica della sua storia, con crisi economiche e continui tentativi rivoluzionari da parte dei radicali, non era fatta per loro. Non restava che chiedere aiuto al consolato per il rimpatrio - tutti tranne Adele, la primogenita, da poco sposata e residente a Lobería - perché in Italia almeno avevano un tetto sicuro, con Giuseppe, già laureato agronomo, che aveva un incarico presso il Regio vivaio di Bagnoli Irpino, a sud-est di Napoli. Correva l'anno 1902.
A Bagnoli Amato Nicola riuscì ad affittare un terreno vicino al paese. Vi si stabilì con tutti gli "americani", capeggiati da Salvatore, guida spirituale della famiglia, che non ne aveva formata una propria perché, secondo le testimonianze successive dei pronipoti, «non infranse mai nessuno dei tre voti che aveva fatto entrando in monastero», il che è di certo un'esagerazione. Nella nuova attività i fratelli vissero modesti ma sereni, perché «la terra non tradisce», come dirà da adulto Torquato. Abitavano in una masseria, cioè una grande casa in mezzo alla campagna, di cui ce ne sono poche in quella zona, giacché la maggior parte della gente ha casa in paese. Torquato completò lì la scuola elementare ed iniziò il liceo. Ma la sorte continuava ad essere ostile: Amato Nicola muore nel 1905, lasciando la vedova, Anna Maria, con le due figlie adolescenti, ancora nubili, e con Torquato, di tredici anni, e nessuno a dirigere la masseria, perché Salvatore non era tagliato in ciò. Per fortuna dall'Argentina li invitarono a tornare, che il Paese era la speranza del futuro e che tutto era stato organizzato, nonostante l'ultima rivoluzione guidata da Yrigoyen, gli scioperi e le bombe degli anarchici.
Ritornano, quindi, ad imbarcarsi. Ma prima di lasciare Bagnoli, una foto, con alcuni di quelli che sono rimasti, ci permette di ricostruire quel momento: Anna Maria è vecchia, un po' spaventata, anzi terrorizzata. Dietro, Salvatore, coi baffi enormi, che porta su di sé, a quasi 65 anni, la responsabilità di guidare quella famiglia e il peso dei ripetuti fallimenti di frate, di soldato, di industriale innovativo. Le ragazze, felicissime all'idea di scattare la foto e tornare in quella Buenos Aires tanto citata e ricordata. Torquato, insolitamente, mentre tutti guardano la telecamera, sta leggendo un libro, come uno che non vuole perder tempo. Un ragazzo che sicuramente avrebbe avuto problemi se avesse continuato su quella china, un misto di maleducazione e sconsideratezza verso gli altri ma intelligente e responsabile, che assorbiva come una spugna tutto quello che gli veniva detto. Egli era la grande speranza di Salvatore, la sua possibilità di riabilitarsi se ben educato: perché sapeva farlo.
Quando arrivarono al porto di Buenos Aires, incontrarono il loro cugino Carmine, un gioielliere, che risparmiò loro l'ignominia di alloggiare all'Hotel de Inmigrantes, che non aveva niente dell'albergo. Poco dopo arrivò anche Cesareo da San Luis con tutta la famiglia. Di nuovo, una foto, alla stazione Retiro della Pacific Railroad. Le persone sono quasi venti, tra adulti e bambini, perché parecchi si sono intrufolati. Anna María ha ancora paura, e ne ha ben donde. Torquato non c'è, perché non perde tempo in queste cose. I ragazzi "del posto" sono molto contenti di trovare tanti parenti con cui giocare. Le ragazze adolescenti hanno facce più serie perché non riescono a dimenticare tutto quello che hanno visto sulla nave.
Cosa fare allora? L'ideale sarebbe andare in campagna, riprodurre in America la masseria che avevano lasciato a Bagnoli. Ma le condizioni del Paese rendevano molto difficile quel sogno, e non era convincente andare a San Luis come lo zio Cesareo, perché lì non pioveva mai. Dovevi stabilirti in città, ma non avevi più il capitale per avviare un'azienda; dovevi aspettare che il Paese andasse davvero avanti, e tu tutt'uno con esso. Andarono allora a vivere a Caballito, in una casa in via Acoyte, nella terra di quel tempo. Il centro era lontano e da lì si vedevano grandi trasformazioni. L'edificio del Congresso era appena stato inaugurato e l'avenida de Mayo era recente; il Teatro Colón non era ancora finito ma c'erano altri teatri d'opera più economici e accessibili dove si poteva ascoltare qualche opera mal cantata che ricordava la Patria. La nuova patria era il quartiere, dove si erano radicate le radici, c'erano le scuole, le attività commerciali gestite dai proprietari, i caffè dove gli uomini andavano a giocare a carte o a dadi.
Torcuato Salvador Di Tella
(trad. di Francesco Mendozzi)
Fonte: T. S. Di Tella, Torcuato Di Tella. Industria y política, Tesis, Buenos Aires 1993.