Cosa racconta la pubblicità radiofonica di noi? Facile. Siamo ossessionati dalle tariffe dei telefonini cellulari, visto che le varie offerte e promozioni ci inseguono a tutte le ore e in ogni dove; siamo sempre in automobile con l'ossessione di fare il pieno di carburante ad ogni stazione di servizio per partecipare alle irresistibili raccolte punti per sacche, sacchette, sacconi, telecamerine, tutone e quant'altro, ma corriamo anche in officina per i trenta controlli estivi da fare assolutamente prima di partire (per dove?) o nella concessionaria per non lasciarci sfuggire la city car bicolore che aspetta solo noi.
Insomma, siamo così: irrecuperabilmente consumisti. Ma anche inevitabilmente rimbecilliti se dalle nostre radio escono messaggi pubblicitari che sembrano avere tutti lo stesso obiettivo commerciale: colpire nel mucchio ad alzo zero poiché il livello è (presumibilmente e presuntuosamente) basso. Sarà per questo che la pubblicità radiofonica è, generalmente, molto brutta, sciatta, priva di originale creatività: la radio è il non luogo privilegiato della parola, dell'evocazione, dei silenzi, dei suoni, fatto di evocazioni, di figure da costruire dentro di sé, di emozioni.
E invece arrivano giù sparati sempre gli stessi spot che quando si credono spiritosi diventano uno sfracello. Esempi? A carrettate.
Ci sono le assicurazioni monarchiche che non hanno promotori ma ciambellani: gli stessi, si immagina, che in casa usano rotoli di carta asciugatutto tempestati di cuori per insegnare a parlare d'amore (in braille?), magari dopo aver tirato a lucido il tinello marrone con l'ormai insopportabile sapone che arriva da quel porto maledetto francese che un tempo ci sapeva di Gitane e Jean Gabin mentre oggi puzza d'un pulito globalizzato. Sarà passato di lì anche il buon Miguel de Cervantes (autore dell'epico Don Quichotte) che nel valicare le Alpi ha lasciato ai posteri un epitaffio in favore dell'acqua minerale che un tempo faceva fare tanta tin-tin.
E sempre nell'acqua - minerale, s'intende, ché ormai si beve solo quella, che diamine! - c'è la tristissima storia di una particella di sodio costretta a giocare da sola a battaglia navale. Ma subito veniamo messi di buonumore dai morsi strappati a wurstel che assicurano l'allegria anche nei funerali. Nel caso potremmo digerire con un'opportuna Ram aziendale: sempre meglio che inseguire un mistico Maestro che ci informa su olio per motori che, giura, è l'evoluzione della perfezione.
È campionario generalizzato che non tiene conto dell'orrendo scempio della targetizzazione inseguito dai pubblicitari che giurano di irretire gli imprenditori con la proposta di «software gestionali ad altissima sensibilità» recitati da roche voci femminili o interi equipaggi di sommergibili con un detersivo che lavora per due («ma come fanno i marinai?» si chiedevano Dalla & De Gregori…).
Meglio, molto meglio, la ruspante antologia delle radioline commerciali di paese (Radio Capracotta International in the World) che ci invitano nella pizzeria Stella Alpina con specialità marinare egiziane e vini piemontesi dove «lo chef Giuseppe soddisferà prontamente ogni vostra esigenza». Non osiamo chiedere tanto. Un applauso al creative copy della pizzeria!
Alberto Gedda
Fonte: A. Gedda, Ma che brutte quelle pubblicità alla radio, in «L'Unità», Roma, 22 giugno 2001.