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Marcantonio Capracotta e la peste del 1528


Marcantonio Capracotta

Oh quanti monumenti

di patrio amore

nella venerabile antichità

si rinvengono a pro de' poveri!


Dopo la grave pandemia del 1348 la peste si attestò endemicamente nel nostro Paese, manifestandosi in forma epidemica ben cinque volte nella seconda parte del XIV secolo, due volte negli anni Venti e due negli anni Settanta del XV secolo, ancora due volte nel XVI secolo ed infine altre due volte nel XVII secolo. A Capracotta sono di pubblico dominio soltanto le informazioni sulla peste del 1656, grazie alla cronistoria del tempo fatta dall'arciprete Pietro Paolo Carfagna e, in tempi moderni, grazie all'attenzione del maestro Domenico D'Andrea, agli studi raffazzonati di Giovanni Schieda e alla pubblicazione curata nel 2015 dall'associazione "Amici di Capracotta".

Per quanto riguarda l'epidemia del 1525-28 non vi sono purtroppo evidenze bibliografiche che riguardino specificatamente il nostro paese, quindi ne parlerò diffusamente per poi entrare nel dettaglio grazie a un personaggio storico che, nel proprio nome, portava quello di Capracotta. Mi riferisco a don Marcantonio Capracotta di Atessa, un ricco possidente che rivestì un ruolo fondamentale nel salvataggio del ceto contadino abruzzese tra la Val di Sangro e la costa adriatica.

Nel febbraio del 1523 cominciò infatti a spargersi la voce che a Napoli si fossero verificati alcuni casi di peste. Ad aggravare il malumore del popolo partenopeo «il Vicerè si accorse che i fornitori di grano napoletani e dei Casali, ad un'attenta verifica, si stavano accaparrando il grano, così che la scarsa fornitura cominciò a provocare notevoli dissensi in Città». Insomma, nonostante il timore di un nuovo attacco pestilenziale, gli spagnoli, tra il 1520 ed il 1525, accentuarono i prelievi fiscali in tutto il Regno di Napoli, visto che spesso, quando «si profilava all'orizzonte una crisi annonaria, alcune università [...] erano restie a consegnare gran parte delle provviste di farina, e questo per due motivi, da una parte per la paura della carestia e della propria sopravvivenza e dall'altra per gli interessi degli speculatori che speravano di fare maggiori profitti». È una storia antica quella di fare affari quando il popolo è in miseria.

Dopo che la peste del 1528 aveva stremato la popolazione contadina - a cui si aggiunse quella del 1530 e la marcia degli eserciti sui terreni coltivati (con conseguente distruzione dei raccolti) - Marcantonio Capracotta, coadiuvato da Giovanni Robertella e dall'Università di Atessa con 2.000 ducati, spese una vera e propria fortuna per risollevare la situazione acquistando quanto più grano possibile per sfamare i miseri lavoratori della terra d'Abruzzo, malati e rimasti senza provviste. Si potrebbe dire che ad Atessa il nome di Capracotta sia sinonimo di salvezza, tanto che il cronista padre Tommaso Bartoletti scrisse nel 1836 che «Marcantonio Capracotta, e Messer Giovanni Robertella furono i liberatori della Patria per le carestie penuriosissime, che l'afflissero».


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • AA.VV., Anno Domini 1656. La peste a Capracotta, Cicchetti, Isernia 2015;

  • T. Bartoletti, Biografia cronologico-storico-critica degli uomini illustri atessani, Tizzano, Napoli 1836;

  • D. D'Andrea, Storie capracottesi d'altri tempi, D'Andrea, Lainate 1995;

  • P. Lopez, Napoli e la peste: 1464-1530, Jovene, Napoli 1989;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • F. Montanaro, La macchina sanitaria del Vicereame spagnolo durante le epidemie pestilenziali del primo '500 in Napoli e nei casali napoletani, in «Archivio Storico di Terra di Lavoro», 18, Soc. di Storia patria di Terra di Lavoro, Caserta 2000-2001;

  • E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari. Il popolo rom nel Regno di Napoli (secoli XV-XVIII), Guida, Napoli 2007.

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