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Il meccanico Giuseppe in terra d'Africa


Giuseppe Potena
Giuseppe Potena (a sx) in Etiopia.

Quando un capracottese si stabilisce in un luogo diverso dal paese natale la prima cosa che fa è cercare i propri conterranei, di cui si è informato con largo anticipo. Perché, si sa, «quando Colombo scoprì l'America vi trovò un capracottese». E noi capracottesi siamo proprio così: siamo ebrei, siamo zingari, siam montanari, insomma ŝtéme buóne fra de nù.

Al pari di tanti compaesani, Giuseppe Potena dovette viaggiare in lungo e in largo prima di trovare il suo posto nel mondo. Egli era nato a Capracotta da Pasquale e Filomena Di Lorenzo; di famiglia numerosa, divenne operaio meccanico con tanto di diploma e nel 1947 convolò a nozze con Filomena Paglione. Ma prima di sposarsi venne inviato in Africa Orientale, in quel Corno d'Africa italiano da mezzo secolo e nel quale Benito Mussolini aveva concentrato la maggior parte degli sforzi coloniali della nuova Italia in camicia nera.

Giuseppe era stato inviato in Etiopia dall'azienda per la quale lavorava dal 1° luglio 1939, la Compagnia Italiana Trasporti Africa Orientale (Citao), per essere inserito come operaio specializzato montatore meccanico nel reparto diesel dell'Officina principale di riparazioni automobilistiche del Regio Esercito (Oprare) ad Addis Abeba, la Roma d'Africa. I camion italiani che percorrevano migliaia di chilometri sugli altipiani d'Abissinia e d'Eritrea, ad oltre 2.000 metri d'altitudine, avevano bisogno di meccanici specializzati che fossero in grado di risolvere ogni problema, ricorrendo spesso all'inventiva e a un certo talento manuale, dati i gravi problemi d'approvvigionamento tra la Madrepatria e le sue colonie africane.

C'è da dire che i nebulosi monopoli nelle colonie italiane appartengono a un mondo che soltanto negli ultimissimi anni la ricerca storica e storiografica sta approfondendo. La Citao, ad esempio, fortemente criticata persino da Roberto Farinacci, deteneva il monopolio sul trasporto di persone, merci e posta, sulla vendita e distribuzione di lubrificanti, combustibili e rottami, sulla riparazione di mezzi militari e civili, oltre ad avere il diritto speciale ad assicurare mezzi e dipendenti. La cattiva fama della Citao era tale che l'acronimo aziendale era spesso oggetto di satira, tant'è che veniva storpiato in Sciftao, «gioco di parole basato sulla parola della lingua locale scifta, "brigante"».

Ciò nonostante, Giuseppe Potena lavorò di buona lena in quel reparto fino al 10 luglio 1941, quando, per cause di forza maggiore, il suo rapporto di lavoro venne risolto unilateralmente dall'Azienda. Le cause di forza maggiore consistevano nella requisizione dell'intera officina da parte dell'Autorità Militare Britannica, che aveva appena occupato la capitale etiope.

Di quei due anni sotto il solleone africano, Giuseppe conservò una bella fotografia scattata il 26 febbraio '41 in compagnia di altri due capracottesi, che in Etiopia erano giunti in veste militare e che egli aveva presto incontrato: il sergente maggiore Sebastiano Di Bucci (1909-2010) e il soldato semplice Vincenzo Di Rienzo. Una volta tornato in Italia, sul retro della foto Giuseppe scrisse:

Vani gli infiniti sacrifigî per la Conquista di quella Terra d'Africa. Molti lasciarono la propria Vita, in quella lontana Terra senza avere nessuna speranza. L'Italia Madre della Civiltà e della Dottrina Cristiana, sparsa nel mondo intero, volle portare anche in quella perduta Terra la Civiltà.

Sotto questa didascalia un pochino demagogica, certamente figlia del periodo storico e della frustrazione per la sconfitta militare, Giuseppe annotò anche un detto popolare molto singolare: «Producete molto e spendete poco». Se egli tornò subito in Patria, diversa fu la sorte di Sebastiano Di Bucci, ritratto con lui in quella stessa fotografia, il quale, fatto prigioniero dagli Inglesi, rivide la propria famiglia soltanto nel 1946.

Nel dopoguerra Giuseppe Potena tenne per ben dieci anni la Cooperativa Popolare di Capracotta, dopodiché emigrò in Venezuela per diversi anni ma, a causa di un infortunio sul lavoro, fu costretto a tornare in Patria, dove riprese in mano la gestione della suddetta società fino agli inizi degli anni '70 per poi essere eletto consigliere comunale.

Giuseppe morì il 4 gennaio 1989.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • L. Di Bucci, Il primo capracottese a Caracas: Sebastiano Di Bucci, in AA.VV., A la Mèreca. Storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo, Cicchetti, Isernia 2017;

  • P. Giovannini e M. Palla, Il fascismo dalle mani sporche. Dittatura, corruzione, affarismo, Laterza, Bari 2019;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. II, Youcanprint, Tricase 2017.

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