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Menestra patana: ricetta, fatti, aneddoti e... curiosità!


Menestra patana

I capracottesi, secondo me, dovrebbero costituire un comitato che si faccia promotore di un monumento alla patata. L'idea, immagino, vi farà ridere, ma se ci soffermassimo un po' meglio sull'importante funzione alimentare che ha svolto questo tubero nel corso degli ultimi secoli a Capracotta (e non solo), forse incomincereste a ridere di meno! Si vuol forse negare l'importanza della patata a tavola, non oggi, ma quando i nostri antenati attorniati davanti al camino, con al centro ne chettùre pieno di patate cotte, si sfamavano squoàccia e magna? Sono convinto che, anche qualcuno che in questo momento sta leggendo, se lo ricorda bene... o no?

Le patate rappresentavano, a quei tempi, quasi sempre, il pasto quotidiano.

Si diceva a proposito: "Tutte re juórne patane patane, manghe na sagna, ne maccaróne, quand'arriva re juórne de feŝta, ze magneàme patane e menèŝtra".

Possiamo, quindi, affermare che la patata ha contribuito a sostenere alimentarmente intere generazioni e che, anche grazie ad essa, il popolo capracottese è riuscito a resistere, nei secoli, ai rigidi inverni su queste aspre ed innevate montagne. Senza dimenticare, poi, che la patata ha rappresentato da sempre l'alimento essenziale per il maiale, la cui importanza per le nostre famiglie, negli anni passati, è notoria.

E non può mancare il piatto tradizionale a base di patata, ovvero: menèŝtra patàna!

Per la preparazione, semplice e veloce, si fanno lessare le patate tagliate grossolanamente, cioè a pacche, in abbondante acqua salata, vi si aggiunge due o tre coste di sedano prive di foglie e si porta a cottura. Avvenuta quest'ultima, vi si immerge del pane raffermo e si scola immediatamente. Vi si incorpora un soffritto di cipolla e pancetta tesa di maiale e, muniti di un buon pestello di legno, si incomincia a pestare; se la pietanza dovesse apparire troppo morbida si aggiunge del pane; se, viceversa, apparisse dura, utilizzare parte dell'acqua di cottura, prudentemente messa da parte in precedenza. Quando il tutto è ben amalgamato, "innevare" con del pecorino di Capracotta ma, prima di impiattare, lasciare riposare per qualche minuto.

Ultimamente la ricetta viene rivisitata aggiungendovi dei fagioli: subisce senz'altro uno stravolgimento ma, se i fagioli sono rossi e nostrani, il piatto è più gradito al palato... provare per credere!

Patate lesse, patate al forno, patate arracanàte, patate fritte... quali le più buone?

Mio nonno (Recchiamuzze), diceva:

Se te vuó magneà la patana che 'uŝte, prima a chettùre e puó arruŝte!

Le patate hanno anche una funzione sociale, dal momento che per la semina, la cultura contadina, ritiene cosa buona scambiarle. Non solo! Anche nel linguaggio quotidiano vengono citate, ad esempio: dire patanàte significa dire fesserie; oppure dire di qualcuno che patanéja, vuol dire che perde tempo. Ancora, dire ad un amico: "La patana de sòrdata!" ci si ride sopra, ma non sia mai gli si dice: "La patana de màmmeta"... si scatena la guerra! Potenza della patata! C'è qualche capracottese che aspirerebbe porre fine alla propria esistenza, addirittura, addosso ad una bella patana nostrana.

E quale specie di patata era ritenuta migliore?

Patata bianca, patata gialla, patata rossa, patata nera, patata nuŝtrana o patata "ruspa"? I decani della nostra residenza per anziani, zia Ida de re Cuandeniére, zia Raffaela e zio Americo Cicchemuórte sostengono che la ruspa è (o era!) senza dubbio la migliore; e su questo era d'accordo anche zia Taormina Vulpieàne. Detta patata aveva la buccia giallastra e un po' crespa. Era molto saporita e quindi molto ricercata ed oggi, purtroppo, non se ne conosce più traccia.

Ed ora che la Comunità Europea ha dato il via alla coltivazione della patata transgenica, noi che facciamo? Assisteremo inermi alla scomparsa delle nostre patate? Non è il caso che anche a Capracotta si faccia qualcosa? Che so... magari un bel monumento alla patata?!


Pasquale Paglione

 

Fonte: P. Paglione, Menèsctra patana: la ricetta, fatti, aneddoti e curiosità!, in «Voria», IV:1, Capracotta, luglio 2010.

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