Mercallò era il gelataio di Capracotta. La sua "gelateria" era costituita da:
una carretta formata da una cassetta di legno montata su due ruote e spinta da due stanche;
un cilindro di rame stagnato con al centro un asse;
un semplice meccanismo di trasmissione;
una manovella.
Nella cassetta piena di neve ghiacciata veniva immerso il cilindro con gli ingredienti del gelato; l'asse del cilindro era collegato alla manovella tramite il meccanismo di trasmissione: azionando la manovella il cilindro ruotava su sé stesso nella neve ed il contenuto andava via via solidificandosi fino a divenire "gelato". L'operazione durava più di un'ora e a girare la manovella eravamo chiamati noi ragazzi del quartiere con la ricompensa di un cono di gelato da un soldo! Il cono di allora era un decimo del più piccolo cono in uso oggi.
Corre l'obbligo di ricordare che la neve gelata abbondava nella nevèra (la ghiacciaia) di Monte Capraro dove Mercallò andava a prelevarla con la giumenta trasportandola nei sacchi imbottiti di paglia.
A Capracotta c'era anche la nevèra privata della famiglia Campanelli: sotto via Nicola Falconi, di fronte alla loro abitazione, i Campanelli avevano un pagliaio dove, durante l'inverno, accumulavano, sopra un alto strato di paglia, molta neve e per assicurarne la conservazione la ricoprivano con un altro strato di paglia. La neve così conservata veniva utilizzata in estate per rinfrescare le bevande dei Campanelli e dei loro numerosi ospiti ed anche per le esigenze terapeutiche di chiunque ne avesse bisogno. Anche Mercallò si serviva della neve dei Campanelli quando la ghiacciaia di Monte Capraro ne era sprovvista.
Avevo dieci dodici anni quando d'estate papà, apertasi la caccia, mi raccomandò di accompagnare Cumpà Angelìtte alla posta: per intendeei non all'ufficio postale bensì nel luog dove il compare cacciatore si appostava per sorprendere e sparare la lepre dell'occasione. Era un agguato vero e proprio e credo che già da allora fosse una maniera illecita di fare la caccia; comunque prima del tramonto ci avviavamo verso la Selletta e da lì scendevamo per il bosco verso Fonte Carovilli per appostarci ai margini della netta situata sulla sinistra ai piedi di Monte Ciglioni. Su delle pietre, appositamente sistemate a ridosso di un grosso faggio, ru cumpare si sedeva con le spalle al tronco e teneva le canne della doppietta appoggiate sulla mia spalla destra essendo io seduto a terra in mezzo alle sue gambe. Muti ed immobili fino al calare della notte aspettammo invano per diverse volte. Una sera, favoriti dal chiarore della luna piena, indugiavamo nell'attesa quando mi venne un colpo di tosse e violento sulla guancia sinistra mi giunse un ceffone del compare che con rabbia mi redarguì dicendo:
– Pròpria mó ch'avéva vìŝte accuŝtàrse ru lèbbre!
Io con la mano sinistra sulla guancia e la destra puntata verso il compare:
– Cumpà! Ma v********!
E, favorito dalla luna piena, corsi a casa in un baleno.
Antonio Di Nardo
Fonte: A. Di Nardo, Sfogliando le memorie, Tip. Mancini, Tivoli 2005.