Di primo acchito il nome di Gaetano Del Vaso non dice nulla a nessuno. Egli fu probabilmente un semplice amatore dell'arte venatoria nonché corrispondente romano di "Caccia e Tiri", organo ufficiale del Kennel club italiano, una rivista pubblicata dal 1890 al 1898. Più che di armi e di caccia, il Kennel club si occupa di selezionare, categorizzare e migliorare le razze canine, tanto che dai suoi rami è sorto l'Ente nazionale cinofilia italiana (ENCI), ancor oggi attivo e operante in tutto il mondo. La rivista "Caccia e Tiri" ha invece chiuso i battenti prima dell'anno 1900 ma ha dato vita a una marea di figli spuri.
Dicevamo di Gaetano Del Vaso...
In una relazione datata 20 febbraio 1896, il buon cacciatore romano avvisò i lettori di un'uscita venatoria in quel di Maccarese per scovare e abbattere le ricercatissime beccacce. Nel suo articolo, Del Vaso, sconfortato dal magro bottino, raccontò pure una storiella che un suo amico - il sig. De Lellis - gli aveva precedentemente confidato, non senza ilarità. Era questa ambientata a Capracotta, luogo ideale per cacciatori d'ogni specie: di selvaggina, pesci, funghi, tartufi, frutti e pure di minerali. Il De Lellis «si trovava in compagnia di altro amico a Capracotta a caccia alle beccaccie [sic]. Avevano faticato tutto il giorno e non avevano trovato il becco di un animale». Il problema principale della scarsezza di selvaggina stava, a suo dire, nella folta presenza dei "lacci", vere e proprie trappole in fil di ferro che servivano alla cattura di animali selvatici proibiti (come mi ha avvertito il bravo cacciatore Piergiorgio Di Rienzo).
Fatto sta che, ad un certo punto, i due cacciatori «s'imbatterono in un numero sterminato di lacci, e da buoni figliuoli si dettero a strapparli, intenzionati a distruggerli tutti. Quand'ecco sbucca [sic] fuori un pecoraro che tutto piagnucoloso si raccomandò di non rovinarlo». Cacciatori e pastore giunsero così a un accordo: i primi avrebbero lasciato intatti i benedetti lacci mentre il pastore si impegnava a scovare le introvabili beccacce. Andò che «fu combinato il provvisorio armistizio e detto fatto a pochi metri dalla capanna del pecoraro furono alzate le tre beccaccie e uccise».
Ho già detto che Capracotta, al pari dei comuni limitrofi, è il paradiso di ogni cacciatore, e lo era ancor di più in quell'arco temporale che va dall'Unità d'Italia all'avvento del fascismo. Il mio paese era la meta prediletta dei nobili romani e napoletani che vi trascorrevano le vacanze estive: prova ne siano le tante fotografie della famiglia Ruspoli scattate negli anni '20 del Novecento. A tal proposito, dirò che Francesco Ruspoli (1899-1989), VIII principe di Cerveteri, in un'intervista rilasciata alla Repubblica del 1987 ebbe modo di affermare:
Mio padre era un gran cacciatore, io ho preso un fucile in mano quando avevo sette anni, a tredici ho ucciso il mio primo "cignale". Quando ero più piccolo andavamo d'estate a Capracotta in Abruzzo. Facevamo un pezzo di strada in treno sulla linea Carovilli-Agnone, poi prendevamo la diligenza a cavalli. A Capracotta ci arrampicavamo su per Monte Campo che era un posto di caccia alle pernici, ora invece c'è la strada asfaltata e il monte è tutto coperto di case.
Ma, tornando alla nostra storia, il corrispondente Gaetano Del Vaso terminò il suo reportage del 1896 ammettendo che «i migliori cacciatori del mondo sono i "pecorari" e vi assicuro sarebbe meglio vendere fucile, cane, stivaloni, comprarsi un po' di pecore e andarvi a fare... cacciatore». Come dargli torto?
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
G. Del Vaso, Roma, 20 febbraio 1896, in «Caccia e Tiri», X:431, Rivara, Milano, 27 febbraio 1896;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
D. Pasti, A caccia di cinghiali nelle terre dei principi, in «La Repubblica», Roma, 19 agosto 1987.