Molise: terra aspra e selvaggia, ove la caccia serba ancora il sapore eccitante della conquista e il fascino sottile dell'avventura... Nello scenario maestoso dei suoi monti, nel silenzio sconfinato dei suoi boschi, l'uomo si sente infinitamente piccolo e meschino; e in quel paesaggio così primitivo, in quelle forre e in quei dirupi ove nessuno sembra abbia posto mai piede, la caccia gli appare sotto un aspetto romantico e avventuroso, per il quale è quasi indotto a credere di dover uccidere per sfamarsi, come faceva, migliaia di anni prima, il suo lontano progenitore...
A far rivivere nel nostro animo questa sensazione nuova e appassionante concorrono tanti elementi: anzitutto la bellezza pittoresca e selvaggia dei luoghi, poi il clima così ostile e mutevole alla cui mercè ci sentiamo abbandonati in ogni istante, e infine la certezza che spesso abbiamo di esser soli, col nostro cane e col nostro fucile, in una località deserta ove neppure i pastori son soliti avventurarsi. Ma la causa prima di questo sentimento è data da quel senso di selvatico e di primitivo che scorgiamo un po' dovunque: nel burrone ingombro di massi ciclopici che ci si spalanca improvvisamente innanzi, nelle orme profonde lasciate dal lupo sulla neve, nello sconnesso pagliaio di pietre eretto dal pastore per difendersi dalle intemperie.
E quando il cacciatore di Molise raccoglie tra i sassi del pietraio la coturnice colpita a morte, ha l'impressione di aver strappato alla montagna nuda e ostile che lo sovrasta una gemma rara e preziosa: e si rallegra d'una gioia un po' crudele e animalesca, la stessa forse che provava l'uomo delle caverne quando abbatteva gli esseri giganteschi del suo mondo...
E davvero nel Molise manca del tutto quel senso di artificiosità che spesso accompagna la caccia di oggigiorno; così tra i mezzi di locomozione il cavallo di San Francesco è di gran lunga il più diffuso, i cani non posseggono certificato di origine e hanno nomi modesti e paesani, e le riserve e le zone non suscitano alcuna critica pel semplice motivo che non esistono. Né, almeno per ora, v'è bisogno di tali provvidenze, ché la selvaggina è ancora abbondante sui nostri monti, e lo sarebbe ancora di più se non esistessero tanti bracconieri...
Il contadino molisano è infatti per istinto o per necessità un bracconiere; e a ciò lo spinge la limitata sorveglianza cui va incontro (causata dalla grande estensione di territorio da guardare) e il bisogno che prova di procurarsi a poco prezzo un buon piatto di carne fresca, così preziosa nel rigido inverno. È in quell'epoca, quando la neve copre ogni cosa e i lavori agricoli sono sospesi che il massariaro esce a caccia alla pedata, e seguita instancabilmente, le gambe avvolte nei cosciali di lana, le nitide impronte lasciate dalla lepre sul candido; e difficilmente torna a casa a mani vuote.
Ma anche durante la buona stagione i pastori e i bovari hanno sempre a portata di mano un fucile col quale uccideranno la sera all'aspetto la lepre di cui conoscono l'itinerario, o le starne sorprese in gruppo presso la fonte.
Eppure, nonostante l'insidia degli uomini e dei rapaci e la rigidezza del clima, la selvaggina stanziale è, come ho detto, ancora abbondante in terra di Molise.
È però necessario aggiungere che, per poter ottenere dei buoni carnieri occorre conoscere bene i luoghi ed essere sovratutto abituati a camminare in montagna, ché le cacciate da noi si svolgono in un terreno rotto e accidentato, che fiacca uomini e cani. In ispecie questi ultimi, se non sono allenati, si spedano con grande facilità a causa del suolo arido e sassoso, senza contare che nell'estate si rendono spesso inservibili dopo poche ore di caccia per la mancanza di acqua, ché le fonti non sono molto frequenti sulle nostre montagne. Se poi a tutto ciò si aggiunge il fatto che il tiro si presenta generalmente difficile a causa dello spazio ristretto in cui si mostrano i selvatici, si vedrà che il raggiungimento di buoni carnieri è subordinato alla presenza di numerosi fattori, che in definitiva si possono restringere a tre: buone gambe, cani allenati e sveltezza di tiro.
A queste condizioni i carnieri di otto o dieci starne a testa, accompagnate da qualche lepre, possono ottenersi senza grandi difficoltà; e spesso ad esse si affianca il manto vivido della regina del monte: la coturnice.
Questa, il cui numero è assai diminuito in questi ultimi anni, vive nei pietrai diruti dei monti, e solo qualche volta, durante la buona stagione, scende alle prime magre ristoppie che sorgono alle pendici della montagna. Le starne, poi, prediligono nell'autunno inoltrato i seminati, ove si spollinano riscaldandosi al sole, mentre in agosto e settembre amano rifugiarsi all'ombra dei folti ginepri e dei felciai di cui è cosparsa la campagna.
Le lepri hanno invece nel Molise una rimessa caratteristica, la macèra, specie di ammasso di pietre e rovi di cui è punteggiata abbondantemente tutta la regione. Lì si rifugiano durante l'autunno, specie quando soffia la tramontana e nella notte il terreno ha gelato; mentre invece nella buona stagione si rimettono un po' dovunque, in una ristoppia in un fosso erboso, e anche al pulito. Quando poi l'ottobre comincia a sfoltire le chiome degli alberi e le prima pioggie fanno nascere l'erba nelle radure dei boschi, le lepri abbandonano il largo e si rifugiano all'ombra dei faggi, pronte e fuggire non appena la voce squillante del segugio incrina il silenzio in cui è immersa la foresta. È quello il mese della caccia alla seguita, di cui i cacciatori molisani sono appassionatissimi, tanto che può affermarsi che su cinque di essi solo uno preferisce la caccia col cane da ferma.
Questo per quel che riguarda la stanziale: ma ad essa fanno corona quasi tutte le specie della selvaggina di passo, e primissima la folta compagine delle quaglie. Queste giungono in Molise in giugno e vi si soffermano in buon numero a nidificare, attirate sovratutto dal clima umido e fresco. In agosto si aggiunge a questa schiera che chiameremo indigena un'altra ancora più numerosa, costituita dalle quaglie di ripasso, che si fermano spesso per vari giorni nelle ristoppie alte e folte, negli sporchi e nei medicai. Il ripasso tocca il suo culmine nella prima quindicina di settembre e generalmente termina ai primi di ottobre: e durante questo periodo si possono ottenere carnieri invidiabili.
Non a scopo esibizionistico, ma solo a titolo di esempio, posso citare le cifre da me raggiunte in questi ultimi anni, in una ventina di cacciate a stagione, limitate alla sola mattinata: 280 quaglie nel '36, circa 300 nel '37 e quasi 200 quest'anno. Come si vede, la media si aggira per ogni cacciata sulle quindici quaglie, numero che ritengo tutt'altro che disprezzabile.
Tutte le altre specie della selvaggina migratoria, eccezion fatta per l'allodola, si soffermano poco nella nostra regione, ché il maltempo le fa subito emigrare per climi più temperati. Ed è per questo che molte cacce, assai fruttuose in altre regioni, non sono praticate dai nostri cacciatori. Così la caccia al palombaccio coi richiami è sconosciuta nel Molise, mentre potrebbe essere esercitata con ottimi risultati, che questi volatili passano numerosi sui nostri valichi montuosi; e così pure vi è scarsamente popolare la caccia alle allodole con la civetta, poiché i cacciatori molisani nella stragrande maggioranza non stimano degna di una cartuccia una preda così modesta.
E anche per la beccaccia non v'è quella passione che ho riscontrato ad esempio tra i cacciatori del Lazio, benché le fulve regine passino numerose in terra di Molise. Questo scarso entusiasmo è dovuto, come ho detto più sopra, al fatto che esse si soffermano solo poche ore o al massimo qualche giorno nelle nostre foreste, e ripartono poi subito verso paesi più caldi, eppure, quanta malia si prova a cercarle sui nostri monti! Nella lieve penombra che si stende sotto i grandi faggi si segue benissimo, nel bosco sgombro di macchie, il lavoro del cane, le sue filate appassionanti e infine la ferma scultorea che fa battere il cuore... Nell'ampia volta intessuta dai rami, il tiro è poi meno difficile che altrove, e più facile è anche indovinare la rimessa dell'animale, di cui spesso si segue distintamente tra gli alberi il volo sfalchettante.
I beccaccini sono invece piuttosto rari a causa della scarsezza di paludi e terreni propizi, ma in compenso quei pochi che si incontrano sono così poco spauriti da lasciarsi avvicinare e fermare a distanze inverosimilmente brevi. Di paludi veri e propri ve n'è infatti soltanto uno, ed è quello di Montenero, ove si raggiungono buoni carnieri, ma ad opera essenzialmente di forestieri, ché il cacciatore molisano preferisce generalmente dedicare le sue ore alla ricerca della lepre.
Nel campo degli animali da posta, poi, la specia più diffusa è la volpe, forse pel fatto che i nostri cacciatori non la perseguitano con quell'accanimento col quale viene cacciata in altre regioni, ad esempio nella Lucania. Ma v'è un rapace che essi perseguitano con quella passione e quella tenacia, ed è il bandito crudele e sanguinario delle nostre foreste, il lupo.
Delle feroci abitudini di questo predone ho scritto altre volte e diffusamente su queste colonne, sicché non mi ripeterò: solo desidero narrarvi di un vero e proprio... primato (del quale ho controllato io stesso la veridicità) raggunto da uno di questi animali nello scorso settembre. Un solo lupo, riuscito a penetrare una notte nell'ovile di una masseria poco distante dal paese, ha scannato in breve tempo ben ventidue pecore, e questo pel gusto del sangue poiché non ne divorò che una!
Giulio Conti
Fonte: G. Conti, Molise venatorio, in «Venatoria», VIII:44, Roma, 3 novembre 1938.