All'amico don Michele Di Lorenzo.
Ho letto e riletto in questi giorni su "Voria" la tua bellissima riflessione intitolata "In dialogo... a singhiozzo con la mia terra d'origine" e sono convinto di aver riscontrato una stupefacente sintonia spirituale con i miei pensieri, pur riconoscendo che non sarei mai riuscito a trasmetterli con parole e con riferimenti teologici altrettanto profondi.
Mi colpisce soprattutto il fatto che, pur non potendo ora raggiungere spesso Capracotta, sia per il maggiore impegno assistenziale in ambito di famiglia, sia per numerosi e non meno limitanti altri motivi, in diverse occasioni mi sia accorto, paradossalmente, di non desiderarlo poi così intensamente: quasi abbia timore anche solo di proporlo.
È vero, sono abbastanza invecchiato e non solo dal punto di vista anagrafico, ma non è poi così lontano il periodo in cui, nello scorgere il profilo della nostra Chiesa Madre e delle nostre case, avrei voluto far volare la mia automobile per raggiungere più in fretta il paese; con ansia forse maggiore dei nostri pastori che arrivavano dopo un viaggio assai più lungo e meno confortevole (con i loro carretti ed i cavalli come descriveva Ciampitti in un suo libretto sulla transumanza).
Allora anche le mie figlie, ancora bambine, restavano oltremodo sorprese della mia insolita "euforia"; io stesso non mi rendevo conto di beneficiare, inconsapevolmente, di quanto il salmo biblico ci assicura con le parole «alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l'aiuto»: un aiuto concreto e prezioso che centellinavo nel corso dei mesi, come tanti anni fa le provviste di viveri e di legna per il lungo inverno di Capracotta.
Ora mi sembra spesso di rassomigliare molto alle persone che descrivi «con la schiena curva», forse ormai rassegnato a "sventolare bandiera bianca"; certamente sono diversi gli elementi che hanno contribuito al mio pessimismo, non ultimo i tanti anni di lavoro in un ambiente difficile come quello ospedaliero in cui il cimento quotidiano con i malati e le malattie non migliora certamente il tono dell'umore. Più volte ho inoltre vissuto con amarezza e forse con assurda nostalgia il fatto di non ritrovare più in paese le figure di riferimento e l'atmosfera di quando ero bambino, cosa del resto ineluttabile, ma anche di non riuscire più a ritrovarmi con gli stessi miei coetanei e con le loro famiglie, sempre più dispersi nel mondo e con ritmi di vita e di lavoro sempre più diversificati. Tutto ciò, unitamente a molte altre motivazioni difficilmente riassumibili, sembrerebbero indurmi in definitiva a fare un bilancio abbastanza deludente della mia vita e della mia attività: è così che, a... singhiozzo, avverto il rimorso di mortificare nei fatti, prima ancora che nei pensieri, la virtù cristiana della speranza. Riscopro poi con grande sollievo che, sempre più spesso, alcune occasioni sembrano invece aiutarmi a ritrovare un po', con la «luce della nostra montagna», anche il sentiero smarrito della speranza: e mi fa piacere che la meditazione del tuo "dialogo" di fine 2008 sia senz'altro per me una delle più significative. Proprio oggi (non è certo casuale!) sono stato colpito del commento sul brano del Vangelo di San Giovanni in tema di "tenebre" e di "luce"; dovrei cioè essere capace, d'ora in avanti, di declinare al passato tutto ciò che riguarda le tenebre ed al presente invece tutto ciò che riguarda la luce: ed è quanto, riflettendo, è parso scaturire anche dalle tue espressioni che, ne sono certo, saranno di sprone e di conforto per moltissime persone, anche in apparenza assai lontane da noi. Per quanto poi possa apparire incredibile, diversi altri accadimenti recenti hanno operato favorevolmente nel mio stato d'animo: ad esempio la recente inaugurazione a Capracotta di una splendida residenza per anziani, per di più nello stesso edificio del nostro asilo infantile e della scuola elementare e per la quale ho molto trepidato; mi sembra chiaro che il significato profondo di essa vada ben al di là di una semplice realizzazione strutturale ed organizzativa e non mi stancherò di spiegare che, secondo me e secondo il tuo suggerimento, anche questa laboriosa e contrastata iniziativa sia da interpretare, a pieno titolo, nella prospettiva di «ripopolare la montagna» e soprattutto di «ritrovare l'anima della nostra montagna». E mi auguro di tutto cuore che le nuove generazioni, anche e soprattutto di diversa estrazione, cultura o provenienza, possano riscoprire questi percorsi, spesso giudicati "utopistici" o, quanto meno, "anacronistici": con rinnovata speranza che, su tali percorsi di riscoperta delle proprie radici si possa «riempire di senso e di significato vero tutta la nostra esistenza». Confesso però che, a questo punto, mi riassale più forte il timore di apparire come chi predica bene e razzola male. Aggiungo ancora una considerazione ed una speranza a commento della tua splendida nota: il fatto non trascurabile che mezzi apparentemente così elementari e cioè un giornale periodico come "Voria", che viene immediatamente diffuso in tutto il mondo, o la compilazione annuale di un "Diario di Capracotta" costituiscano sempre più un prezioso collante che ci aiuti non solo a restare immersi nelle nostre radici, ma anche a riscoprire che, in fondo, quella "montagna" è l'unico nostro vero tesoro. E non può non riecheggiare nel mio animo la felice espressione, comparsa sempre su "Voria" e utilizzata da tuo fratello, il carissimo don Ninotto, che diceva: «Chi ha un paese (anche solo nel cuore come spesso è per me?) non è mai solo». Che la Santa Vergine di Loreto ci benedica.
Aldo Trotta
Fonte: A. Trotta, La montagna: il nostro tesoro, in «Voria», III:1, Capracotta, agosto 2009.