Omnia tecum una perierunt gaudia nostra,
quæ tuus in vita dulcis alebat amor...
Così cantava le sue pene per Clodia il poeta Catullo in una lettera indirizzata all'amico Manlio: «Con te sono perite tutte le nostre gioie, che il tuo dolce amore nutriva in vita». E così recita l'epigrafe incisa sul monumento funebre del giovane Michelangelo Campanelli (1890-1915), posto nella Chiesa di San Vincenzo, affacciantesi su quello che un tempo era il Palazzo Campanelli. Figlio prediletto di Luigi, scrittore, avvocato nonché sindaco capracottese, il dott. Michelino Campanelli, fresco di laurea e di belle aspettative, era morto, come tanti coetanei, pochi giorni dopo l'arruolamento, colpito dal mortaio austriaco sulla piana di Begliano (GO).
Sebbene, fino alla fine del XIX secolo, fosse consuetudine seppellire i religiosi di Capracotta al di sotto degli altari e i civili nelle adiacenze della Chiesa Madre, quella di Michelangelo Campanelli è ad oggi l'unica tomba - per di più d'un laico - sita al di fuori della chiesa parrocchiale e del cimitero comunale, la cui prima cappella fu edificata soltanto nel 1879.
Inconsolabile, il padre volle infatti ricordare quel fiore della gioventù con un gesto inutile e bellissimo. Inutile perché vano come ogni cosa riguardi la morte, bellissimo perché rappresenta una vera opera d'arte. Il grosso medaglione in bronzo che orna il cippo sepolcrale è infatti firmato da Romeo Pazzini (1852-1942), scultore romagnolo che, negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra, produsse diverse opere funebri, soprattutto nel cimitero monumentale di Torino. Non è dato sapere come Luigi Campanelli fosse entrato in contatto con l'artista di Verucchio ma il risultato finale è di grande impatto.
La maestria di Romeo Pazzini ha difatti segnato, in qualche modo, i primi vent'anni dell'arte scultorea italiana finché, con l'avvento del fascismo, perse piede in quanto non in linea con la nuova visione trionfalistica della morte. A ben vedere, sul monumento funebre di Michelino Campanelli, Pazzini ha tratteggiato un'alternativa pietà michelangiolesca, dove un'affranta Vittoria alata sparge petali di fiori sul corpo esanime d'un milite. Dietro di loro un cannone abbandonato a se stesso sopra un campo di guerra privo di germogli vitali. Il concetto di guerra come inutile strage contro quello di guerra come sola igiene del mondo. L'interpretazione luttuosa dell'atto bellico non poteva certo convivere con l'ideale guerresco fascista e il Pazzini, effettivamente, pagò il suo realismo col venir estromesso dalla vita artistica italiana.
Al di sotto del medaglione bronzeo, l'altare funerario del Campanelli presenta una seconda epigrafe, stavolta scritta di proprio pugno dal padre del ragazzo. Sono parole antiche, sono parole vane, sono le parole di un uomo che ha perduto per sempre l'orgoglio del suo sangue:
Splenda di luce eterna lo spirito benedetto del prode ventiquattrenne dott. Michelangelo Campanelli. La granata austriaca il 3 luglio 1915 gli squarciò il petto e gli trafisse il cuore ardente d'affetti di gloria di gagliarda giovinezza sul suo avello ne la redenta Begliano tra l'alterno fragore de la pugna la fuga e la vittoria. Sempre vegliò il dolore dei suoi cari lontani invocati fra gli estremi aneliti de la fuggente vita che questa memoria posero.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931;
A. Candio, Romeo Pazzini. Un artista che ha saputo creare e una fra le sue più belle opere, in «Il Popolo del Friuli», VIII:88, Udine, 13 aprile 1939;
V. Di Nardo, Capracotta e la memoria della Grande Guerra: 1916-2015, Capracotta 2016;
A. P. Torresi, Un artista romagnolo a Firenze: Romeo Pazzini (1852-1942), Romagna Arte e Storia, Rimini 2001;
Unione Cattedre Ambulanti d'Agricoltura, I nostri morti in guerra, Tip. dell'Unione, Roma 1921.