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La musica natalizia nel tempo e nello spazio

 

Canto Natale Dickens
I personaggi del "Canto di Natale", il capolavoro di Charles Dickens.

...Che lo spirito che sta dentro di lui debba,

camminando in mezzo agli uomini suoi simili,

andare lontano...

[C. Dickens, "Canto di Natale", 1843]


Già in precedenza ci siamo dedicati alle melodie natalizie con la descrizione dell'oratorio di Natale di Capracotta e andando alla scoperta di "Stille Nacht". Tuttavia, per una migliore comprensione e per passare qualche attimo insieme, magari davanti ad un camino scoppiettante, fermiamoci ad osservare come sono nate le musiche del tempo di Natale e come sacro e profano, strumentale e vocale, si siano fusi insieme emergendo dalla nebbia del tempo. Che vi aspettavate da un organista?

Ufficialmente, la musica del Tempus Nativitatis nasce nel IV secolo d.C. con l'inno "Veni redemptor gentium", scritto da sant'Ambrogio, vescovo di Milano. Dedicato quindi ad un uso prettamente liturgico. Ma già esistono tracce di un inno voluto da un vescovo di Roma nel 129 d.C. da cantare durante le funzioni per il Santo Natale, mentre nel 760 d.C., a Gerusalemme, viene composto un canto natalizio dedicato alla chiesa ortodossa. Purtroppo, il latino, il canto gregoriano e l'esclusivo appannaggio della musica, attribuito al clero e alle scholæ, allontanarono l'interesse dei fedeli dalle celebrazioni e fu solo a partire dal XIII secolo, con le rappresentazioni francescane sul Natale (il presepio di Greccio del 1223) convertenti le laudi dal latino in cantici nella lingua volgare, che la tradizione partì estendendosi a tutta Europa.

A tale proposito, grande importanza riveste il "Laudario di Cortona", risalente alla seconda metà del XIII secolo, scritto in caratteri gotici, notazione quadrata ma rigorosamente in lingua volgare. Un assaggio di questo bellissimo ed importantissimo volume lo avemmo a Capracotta con Riccardo Marasco in concerto con i Musicanti del Piccolo Borgo in Chiesa Madre. Gli autori, appartenenti alle confraternite laiche tra Umbria e Toscana, prendono infiorescenze della cultura araba con versificazione romanza in alcuni brani a carattere di ballata ed in altri con lo Spirito francescano, mediatore di spunti nordeuropei. La scrittura è quasi sempre priva di carattere ritmico e tende a fondere il canto popolare con il gregoriano al fine di promuovere il canto dei fedeli.

Il canto natalizio esce così dal ristretto e principale ambito liturgico e diventa tradizione popolare: una umanità che si scopre bambina e corre festosa presso la culla di un neonato. Ogni etnia, ogni nazione recepì questo impulso sviluppandolo con il filtro delle proprie usanze e costumi, dando origine ad una produzione peculiare e immensamente prolifica.

Nelle isole britanniche, la musica di Natale si fuse con le "carole": ballate popolari per ogni occasione festiva ed in particolare con quelle dedicate al solstizio d'inverno. Nascono così le melodie per le celebrazioni sulla nascita del Cristo, così intensamente partecipate che il termine "carola" divenne poi esclusivo di tale repertorio. Al 1410 risale la prima carola di cui abbiamo traccia, dedicata a Gesù e Maria a Betlemme. Di raro uso liturgico, le carole erano prevalentemente impiegate nelle celebrazioni domestiche (carole elisabettiane).

L'avvento del dominio di Oliver Cromwell nel 1647 fece decadere tali usanze, contemporaneamente alla distruzione degli organi a canne perché ritenuti oggetti di superstizione. Le famiglie, però, nel segreto, mantennero la tradizione fino alla completa rinascita in epoca vittoriana, quando vide la luce una prima raccolta fatta di villaggio in villaggio da William Sandys e Davies Gilbert.

Nel 1744, sir Francis J. Wade aveva raccolto e trascritto un canto popolare irlandese dando il via alla tradizione di "Adeste fideles", dedicandolo ai cattolici britannici perseguitati ed in esilio in Francia. Samuel Webbe, nel 1782, ne verticalizzò e solennizzò l'armonia come noi oggi la conosciamo, nel frattempo il tempo di esecuzione era passato dai 3/4 ai 4/4 e con strofe in aggiunta anche per l'Epifania.

Appartiene a quel periodo anche la comparsa dei waits: gruppi di cantanti pubblici a pagamento per il periodo delle feste. Tutte queste usanze le ritroviamo successivamente trasportate a piè pari nelle colonie nordamericane. Le distruzioni di Cromwell determinarono purtroppo un difficoltoso, parziale e tardivo recupero della musica organistica e dell'arte organaria.

L'area cattolica si espresse nelle tradizioni italiana, francese e spagnola. In Italia, oltre alla trasposizione all'organo delle melodie liturgiche vocali per le intonazioni e interludi delle scholæ, compare un genere di musica d'organo ispirata all'agiografico canto dei pastori accorsi alla grotta di Betlemme dopo l'annuncio angelico: la pastorale. Brani strumentali a mo' di "siciliana" con tempo ternario di 12/8. Ne abbiamo un primo esempio dalla penna di Girolamo Frescobaldi. Dapprima diffuse nel Bergamasco, poi in tutto lo Stivale, con acme nel XVII secolo e consacrate da "Tu scendi dalle stelle" di sant'Alfonso Maria de' Liguori, trasposizione in lingua dal dialetto di "Quando nascette Ninno" dello stesso autore. La melodia portante, già abbozzata da autori precedenti, fu chiamata "Tema di S. Alfonso" e divenne base fondante di molte pastorali strumentali e vocali successivi, ivi compresa la capracottese "Ninna nanna al Bambino Gesù", risalente al XIX secolo.

Gli organi italiani si dotarono di registri ed accessori per il tempo natalizio: regali o bordoni fissi (la scopina del nostro "Principalone"), cornamuse, ciaramelle e cornette. Si cercava di imitare il suono degli zampognari, gli allora come oggi musicisti di strada: l'equivalente italiano dei waits inglesi.

In terra di Francia, le numerosissime e regionali nenie e canti popolari vennero ripresi dagli organisti francesi ed inseriti nell'ambito liturgico e sacro: nacquero i noëls. L'organo francese classique fu il protagonista di questi brani da Nicolas Lebègue fino a Claude Balbastre, il vanto della tradizione natalizia d'Oltralpe, eseguiti con innumerevoli variazioni e virtuosismi a partire da un tema principale. Strumento prevalentemente ad effetto con più tastiere e moltissime sonorità peculiari, ma con pedaliere dotate di pochissimi registri e, a volte, con pedali "a bottone", se non del tutto assenti negli strumenti più antichi, veniva impiegato in alternatim col coro e spessissimo su improvvisazione. Bolle vescovili attestano spesso il divieto alla esecuzione di tali brani durante la notte di Natale, a causa di "giovinastri" che ubriachi, ascoltata la melodia popolare, si mettevano a ballare in chiesa durante la funzione. Jean-François Dandrieu e Louis-Claude Daquin furono altri celebri compositori di noëls, il cui sapore risalta quasi esclusivamente su questi grandiosi organi richiedendo registri appositi come il "Cromorne" e la "Bombarde" e tipiche combinazioni come il "Grand jeu" o il "Cornet séparé". La sequenza dei suoni, la leggerezza e le cadenze di tali brani sono così tipici e particolari da dare la sensazione che la lingua francese si sia tramutata in note e frasi musicali. Ascoltiamo allora: "Ou s'en vont ces gais Bergers", "Noël pour l'amour de Marie", "A minuit fu fait réveil" o "Joseph est ben marie". Alcuni noëls furono anche presi come struttura portante di intere messe natalizie come fece Marc-Antoine Charpentier.

La Penisola iberica fu terra anch'essa ricca di musiche dedicate al Natale. Di particolare interesse l'area della Galizia ed il Portogallo, dove ai villancicos, brani ad uso liturgico pur se di origine popolare, si affianca la panxoliña, tipico canto delle festività popolari a carattere dolce e delicato: una ninna nanna. La panxoliña, termine derivato da "pange lingua", venne elaborata in varie forme: nadais per il Natale, i canti del Capodanno e gli aguinaldos per l'Epifania. Anche questi canti si esprimevano in strada o a casa, accanto al presepe. La panxoliña veniva tramandata oralmente e fu solo nel XX secolo che si ebbero le prime raccolte scritte. Da menzionare ancora i cantigos, poesie musicate a carattere monodico, appannaggio dei trovatori e dei menestrelli.

Del tutto diversa la tradizione nordica. In Germania, intorno al XIV secolo, troviamo un canto legato al Natale: "Sei uns wilkommen, Herre Christ": composto per coro e ad andamento in forma di canone a più voci (tipo "Fra' Martino"). L'avvento della Riforma e la alta concezione di Lutero della musica e del canto dell'assemblea come liturgia della Parola, portò alla nascita del corale che l'assemblea canta insieme al coro. Ogni giorno dell'anno viene ad avere un suo corale e così i giorni del Natale. I corali, semplici ma espressivi e sillabici a differenza dei neumi gregoriani, vengono facilmente appresi e memorizzati dai fedeli e gli organisti per suggerire all'assemblea cosa cantare improvvisavano gli intonazioni e preludi sulla melodia del corale del giorno: nascono i Choralvorspiele, i corali per organo.

I canti del Natale (Weinachtslieder) e i corali per organo del Natale (Wienachtschoralvorspiele) sono un altissimo esempio di preghiera, spiritualità e simbolismo. Contemporaneamente i corali del Natale si fusero con i canti popolari (Wiegenlied) e poi con i canti dell'inverno (Winterlied).

La conoscenza di queste fusioni ed influssi risulta fondamentale per una corretta interpretazione di molti brani anche di musica "colta", che solo così ci appare nella sua reale freschezza e vitalità gioiosa uscendo dall'ambito severo e pesante spesso erroneamente attribuitole.

Tutto questo discorrere non ha alcuna pretesa didattica ma è un semplice momento divulgativo e relativo ai periodi più antichi della musica pro tempore Nativitatis: dal Medioevo al barocco. I tempi moderni hanno omogeneizzato e globalizzato queste forme musicali e, in ultima analisi, stravolto brani e melodie che, insieme allo Spirito natalizio, troppo spesso finiscono inscatolati con dolci, giochi o intimo di color rosso. La commistione di sacro e profano, un tempo fonte di bellezza e di ricerca, diventa una presunta (sotto)cultura, arrivando fino alla degradante e sterile mistificazione di canzoni per il 25 dicembre dedicate al "Cuccù".

Per questo ne va operata una riscoperta, ricordandone il loro aspetto fondamentale e lo Spirito che ne diede origine perché, vi piaccia o meno, ci crediate o no, il tutto è cominciato in un caravanserraglio nel Medio Oriente e durante un censimento del governo imperiale romano con testimoni dei pastori svegliati nel cuore della notte.

«Sono figli dell'Uomo – rispose lo Spirito chinando gli occhi a guardarli – E a me s'attaccano, accusando i padri loro. Questo bambino è l'Ignoranza. Questa bambina è la Miseria. Guàrdati da tutti e due, da tutta la loro discendenza, ma soprattutto guardati da questo bambino, perché sulla sua fronte io vedo scritto: "Dannazione", se la parola non è presto cancellata».

Vi auguro un sereno, vero, Natale e magari lo festeggeremo insieme «guardando lo Spirito che sale verso l'alto», ascoltando la "nostra" Pastorale...


Francesco Di Nardo

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