Di folgori e di fiamme era il suo trono,
il sole Egli era, a lui dinanzi stava
senza voce e pensiero il mondo prono:
i fulmini e le folle trascinava
e il terrore e la gloria e la vittoria
pel mondo, che di sangue abbeverava.
In breve regno secoli di storia;
creò i millenni; pungolo divino,
scosse popoli e re, lor diede gloria,
segnò la via al fulgido cammino:
Iddio impose un'opra portentosa,
ed Egli sorpassava il suo destino.
Aspirava la gloria sanguinosa:
quindici popoli erano il suo impero,
quindici re la scorta radïosa.
E Vizir, il suo candido destriero
varcava il monte e percoteva il vallo,
uragano siccome il suo pensiero.
Movea il globo su un punto Egli a cavallo;
i suoi proclami aveano lo splendore
del sole e i cupi toni del metallo.
Era codice al mondo il Monitore.
A ogni pugna seguìa, come d'incanto,
il trïonfo del gran seminatore,
ed al trïonfo tenea dietro il canto,
e il crollo d'un impero fulminato
e d'un antico privilegio infranto.
C'era un trono nel zaino a ogni soldato,
e questa o quella vinta capitale
dovean fornire a lui, spirito armato,
il bronzo alla sua statua trïonfale.
Spiriti magni, i suoi grandi vicini,
curvan la fronte innanzi all'Uom fatale,
che della gloria vïolò i confini.
Novo miracol, unico portento,
possa che assolver può tutti i destini,
e pari sempre ad ogni intendimento,
lo smisurato Eroe per ogni verso
l’ebbrezza della vita ed il tormento
compendïava in sé, dell'universo.
Da un lato Ei sol, dall'altro il mondo vinto;
era l'odio di questo in lui converso,
che a sé voleva ed al suo cenno avvinto,
al suo freddo pensier lungivolante,
onde il mondo reggea, d'aureola cinto,
sopra l'omero suo, novello Atlante.
Solo i fulmini a Giove Egli chiedea,
ché spalancavasi sempre più davante
l'abisso ond'era emerso si vedea.
Era, qual fiera l'attendeano al varco,
ma in un lampo di genio Egli vincea:
il brando a lui era propizio carco.
E vola e vince e vincitore incede,
e sale e sale e mai rallenta l'arco:
dalla vittoria il suo poter procede.
Com'è bello con lui sfidar la sorte!
Era il nome di lui come una fede,
era giovine allora anche la morte!
Che più dovea? Gire all'opposto polo
e dell'empiro vïolar le porte,
Ercol novello, a Lui restava solo.
Ma ahi! non più l'instabil dea il noto
crin svolazzante ora gli porge e a volo
non lo rapisce più verso l'ignoto.
E in piedi cadde, e vinse i vili egregi
con l'alto esempio, e il secol più remoto
dirà l'alte sue gesta e i sommi pregi.
Su lastre d'oro, in tempio di granito,
è inciso il nome suo, terror de' regi,
e la sua storia portentosa è un mito!
Oreste Conti
Fonte: F. Mendozzi, Prima antologia di poeti capracottesi, Youcanprint, Lecce 2023.