Dalla parte di tramontana e levante il ridetto monte della Macchia vedesi coperto di arbusti spinosi con qualche pianta di faggio tra massi e dirupi che si sprofondano in una valle boscosa e romita, detta la Canavina o piano del Peschio. Ivi, e propriamente a dugento passi incirca, dal sommo dell'erta più verso il nord, poco sotto il margine del burrone e la cerchia delle mura, trovasi l'ingresso dell'antro, fin dal principio di questo articolo accennato. Corre il medesimo all'ingiù per la lunghezza di quasi un miglio entro il vivo seno del monte nella direzione di mezzogiorno; e secondo le tradizioni del paese e la non dubbia testimonianza di persone che l'hanno attraversato, va a riuscire presso alla Fonte del romito. Anzi è volgare opinione che l'acqua di questa fontana proceda da un mormorante rivolo che scorre al basso prossimamente al termine dell'antro. Questo sotterraneo, non rischiarato da nessuno spiraglio, può percorrersi senza pericolo mercè delle fiaccole, come ho fatto io per quasi la metà della sua lunghezza; ma non senza fatica per le frequenti scese da farsi e per i massi caduti dall'alto che rendono in più siti malagevole il cammino. L'ingresso, oggi in parte chiuso da un macigno, ha sette palmi di altezza e tre di larghezza. Eguali dimensioni ha l'antro a principio per un tratto leggermente declive di palmi diciannove; indi piegandosi a gomito dal suo lato sinistro incomincia a discendere, e dopo altro breve tratto, ripiegandosi a destra, seguita avanti fino alla fine in linea retta con la stessa larghezza a un di presso di tre palmi, ma con altezza assai maggiore, aggiungendo talvolta a trenta palmi. La figura piuttosto regolare della porta e di tutto l'antro, le pareti del quale veggonsi per lo più tagliate a piombo a guisa di muro nella roccia, e l'eguaglianza della superficie del suolo mostrano apertamente, che nell'opera di questa grotta oltre la natura vi abbia avuto parte anche la mano dell'uomo. Comunque sia, i nativi di questi luoghi attribuiscono ad essa tante varie strane e paurose istorie, che non osano neanche appressarvisi. Con molta credulità si fanno a raccontare esservi nascosti grandi tesori, ma che i demoni non permettono a chicchessia d'involarli. Poscia per un naturale legame d'idee meravigliose aggiungono che l'inoltrarsi in essa è cagione di grandini e piogge infeste alle campagne. Queste ed altre simili meteore, secondo essi, han principio sul monte della Macchia, e nelle forme naturalmente bizzarre delle nubi procellose, credono vedere l'immagine dello spirito malefico e per dir così del genio della tempesta, chiamato da loro il dragone della Macchia. Posto da parte quel poco di vero che si rinchiude in queste credenze tradizionali del volgo (non potendosi negare che le alte montagne influendo sulla direzione ed elettricità delle nubi, contribuiscono alla produzione delle meteore), io trovo in queste credenze medesime una prova certo non dispregevole che il monte e l'antro in parola fossero tenuti dai prischi abitanti in grande venerazione e destinati ad operare de' prodigj. Egli è difficile perciò il non ravvisare in questo punto più settentrionale del Sannio un seggio antichissimo di religione e forse anco di oracolo nazionale. Ciò mi sembra risultare dal trovarsi riuniti nel monte di che si tratta, il tempio, il fonte, il luco e soprattutto l'antro, il quale, come è noto, non suole mancare negli oracoli più famosi dell'antichità.
Tornando al bronzo, una piena illustrazione di esso deve attendersi dai dotti d'Italia e d'oltremonti, che più sono versati nello studio dell'osco e dell'antico idioma dei Sanniti. Quanto a me, io non poteva ad altro aspirare che a pubblicarlo. Non pertanto in altra occasione dirò talune mie idee sul proposito, frutto delle indagini che sto facendo sul linguaggio vernacolo di Agnone e paesi convicini, dove, non ostante il corso di tanti secoli, si conservano ancora parecchie voci non solo, ma altre particolarità del prisco idioma patrio, soprattutto per ciò che concerne il frequente raddoppiamento delle vocali e le inflessioni e terminazioni delle parole. Mi permetto solo per ora accennare brevemente come, a mio modo di vedere, potrebbero andare spiegate talune delle voci relative alle divinità in esso bronzo registrate; giacché non sembra che possa dubitarsi esser liturgico e teologico l'argomento di esso, ed esposto, a quel che pare, in forma di carme, diviso in quattro parti, come apparisce dalle lineette orizzontali che osservansi incise a destra del bronzo dopo i versi 19, 27 e 36. L'Anter Statai dei vv. 5 e 31 si può credere la Stata Mater menzionata da Fessto, come divinità protrettrice di Roma, ed invocata perché frenasse gli incendi, ut incendia starent, donde le venne il nome. L'Ammai dei vv. 6, 23, 33 è manifestamente Maja, ciò è la Terra secondo Macrobio o la Mater Magna de' Greci. Potrebbe essere altresì la divinità tutelare del mese di Maggio, epoca in cui la grandine suole disertare queste campagne. Maatuis dei vv. 10 e 38 pare che abbia relazione con la dea Matura che presedeva alla maturazione delle biade, giusta si legge in S. Agostino; ma può rispondere anche a Matuta deità Sabina o dei Volsci. Nel Diuvei de' vv. 11, 12, 39 e 40 ognuno ravviserà quel Diove, forma particolare del nome Giove, che s'incontra in un frammento di tavola di bronzo pertinente ad iscrizione latina del secolo sesto di Roma o in quel torno, pubblicata dal Mommsen. L'Hereclui dei vv. 13 e 41 p senza dubbio alcuno l'Herecleis, Ercole del cippo Abellano. Nelle voci Patanai Piistiai dei vv. 14 e 42 credo d'intravedere la Diana Pistia di un'iscrizione riportata ral Reinesio, benché questo autore reputi falsamente errore del marmorario l'aggiunto Pistia, che riceve dal nostro bronzo una solenne conferma. Il nome quindi di Diana presso i Sanniti sarebbe molto affine al Thana degli Etruschi. Si potrebbe anche pensare a Patalena derivante dal verso pateo, dea dei Romani che presedeva alla messe secondo S. Agostino nel luogo sopraccitato: ma parmi preferibile l'origine etrusca.
Francesco Saverio Cremonese
Fonte: F. S. Cremonese, Notizia di una tavola di bronzo con iscrizione sannitica ed altre antichità della stessa data scoperte nelle vicinanze di Agnone, in «Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica per l'anno 1848», 10, Roma, ottobre 1848.