Onorevole Sig. Direttore,
giacché il suo collaboratore Ahasvero vuol fare la pubblica presentazione dei sindaci della nostra provincia, dico io, perché non sarebbe permesso ai medesima di farla da sé? Dirà lei che questo metodo automatico può produrre l'inconveniente che i sindaci facciano i Cicero pro domo sua; ma, senza entrare nel merito della quistione (come dicono i moderni giuristi) io, modestia a parte, voglio sperimentare un'autopresentazione del sindaco di Capracotta. Avrò detto una sola bugia? Ebbene mi si punisca. Accetto qualunque pena, magari l'abbonamento per 17 secoli al "Corriere del Molise".
Fatto il quale preambolo, apro al colto pubblico, all'inclita guarnigione ed al reverendo clero del Sannio il mio passaporto (?) dove vi sono i seguenti connotati... (Ora che ci penso... che peccato non saper fare un pupazzetto!... come ci starebbe a proposito). Dunque ecco che si legge nel passaporto:
Statura – metri 1,72.
Capelli – color sauro-bruciato-calvizie e canizie progredienti.
Fronte – rugosa (coll'apparecchio fotografico Röntgen si scopre all'interno una sostanza analoga a quella della Cucurbita dei botanici).
Occhi – ...due.
Naso – superlativo.
Bocca – piuttosto taciturna.
Mento – coperto di barba baio-cuprica.
Mani – a posto.
Altre membra – tutte regolari, quelle in corrispondenza del naso alquanto prolisse (per esempio le orecchie).
Colorito – monarchico costituzionale... Almeno questo mi pare che presi quando il signor Pretore m'invitò a leggere la formola del giuramento.
Difetti fisici particolari – quarantadue anni d'età. 2) Ammogliato con duplice prole mascolina. 3) Quattrini pochi, blasone niente.
Le signore non se l'abbiano a male.
Ora il colto pubblico infastidito dirà: ma noi vogliamo sapere che avete fatto di buono per esser nominato sindaco. Ecco qua... mi spiego subito: i connotati ce li dovevo mettere perché così ha fatto il signor Ahasvero per i gli altri miei colleghi: quanto a quel che ho fatto io è presto detto. La prima operazione fu quella di venire al mondo e fu nell'ottobre 1854 (a proposito mio padre era stato celibe 50 anni: come poté mai al 50° anno determinarsi a...?). Dopo mi chiuse nel collegio di Campobasso e imparai a leggere (c'era con me un piccino Bevilacqua tutto pepe: era forse l'attuale direttore del Corriere?). Nel '72 presi la licenza liceale a Maddaloni; e nel '76 il rettore dell'Università D. Arcangelo Scacchi mi firmò una cartapecora che mi proclamava dottore in legge! Pover'omo! chi sa che dice all'altro mondo di quella firma messa così a casaccio! E che mormoreranno con lui D. Diego Colamarino, Polignani, Alianelli! Se mi chiamassero a fare un'altra volta l'esame di diritto amministrativo? Che magnifico fiasco! Penseranno i lettori: ...e fate il sindaco? Ed il caso non è liscio: ma intanto io mi consolo, pensando che per l'ufficio di sindaco non è necessario né il diritto amministrativo, né la licenza liceale, e che molti altri sindaci, come me, sarebbero riprovati all'uno ed all'altra.
Ma basta... Torniamo alla mia vita pubblica. Dunque dopo avuta la cartapecora tornai in patria nel '77. Una sera m'invitarono a cena (della cena mi ricordo bene... c'era molto spor locale... lepri, trote, pernici... il vino forse era un po' cotto... ma non saprei): il giorno dopo sentii la mia proclamazione a candidato consigliere comunale per opera dei commensali.
Detto fatto: poco dopo ebbi l'invito di andare a sedere nel nostro parlamentino, dove per parecchi anni ebbi la soddisfazione, il piacere e l'onore di vedermi tutte le proposte, tutti gli ordini del giorno e anche tutti i reclami respinti e rigettati. Naturalmente gli spropositi erano i miei e quindi zitto, poi parecchio di quella roba andata così a male ha prodotto conseguenze peggiori.
Intanto io duro al mio posto, come un caporale svizzero fino all'89, in cui, dopo le mutazioni arrecate da Crispi alla legge comunale, venne su una rappresentanza popolare, che, senza complimenti, cacciò fuori me; quattro o cinque consiglieri, che (beati loro!) hanno da poter vivere senza il consiglierato né altra professione, e due guardie municipali. In quel frattempo però non mi fecero stare ozioso, mi fecero fare il giudice conciliatore, nel quale ufficio ebbi modo di sperimentare tutte le gradazioni della mia pazienza, che non è poca. Poi tre anni fa mi rielessero... fui fatto anche assessore... e per colmo di gloria mi consegnarono tutte due le effe di assessore delegato, e così per più d'un anno ho potuto far le prove di questa graziosa carica della quale mi pare che i grattacapi sieno molti e si goda un lauto compenso di espressioni e commenti che il Signore Dio ci salvi. Il più bello però è questo. Nelle ultime elezioni io fui il 14°: e dei membri dell'attuale Giunta tre votarono contro il mio nome non solamente come consigliere, ma anche come assessore, dimodoché non sono meno meravigliato dei miei lettori ed elettori come possa dondolarmi sulla rurale sedia del rappresentante il potere esecutivo. «Vita breve, morte certa, del morire l'ora è incerta» dicono i passionisti.
Se il pubblico vuol sapere quel che fo attualmente, rispondo che faccio quel che fanno tutti gli altri sindaci, metto un centinatio di firme al giorno, che naturalmente vanno a finire sotto al Sottoprefetto.
Che altro posso dire? Si vuol sapere quel che penso del problema sociale, del bimetallismo, della musica di Wagner, dei preraffaellisti, del futuro conclave? Questo poi lo dirò un'altra volta.
Capracotta, 1° marzo 1896.
Luigi Campanelli
Fonte: Ahasvero, I nuovi sindaci (da un comune all'altro), in «Corriere del Molise», II:44, Campobasso, 19 aprile 1896.