Tommaso Mosca nasce a Capracotta il 4 maggio 1859 da Pasquale e Gioconda Conti. Sua madre è la zia di Nicola Falconi, motivo per cui Tommaso cresce sotto l'ala protettiva del cugino, più grande di lui di ben cinque lustri ed entrato con successo nella Magistratura. Anch'egli, infatti, sceglie la professione legale, raggiungendo incarichi ancor più prestigiosi di quelli svolti dal Falconi.
La vita di Tommaso Mosca è «quella semplice dei migliori del nostro ordine, votata alla indagine scrupolosa e serena delle carte processuali, e rivolta ad arricchire di giusti giudizi la storia della patria giurisprudenza». In qualità di giudice raggiunge presto l'ufficio di presidenza della Corte d'appello di Trani, dove Nicola Falconi è stato nel 1871. Cinque anni dopo viene chiamato ad occupare il seggio di procuratore generale della Corte di cassazione di Napoli, che conserva a lungo con onore.
La carriera del Mosca tocca le medesime tappe a suo tempo raggiunte da Nicola Falconi e sarebbe stupido non vedervi un chiaro intento di quest'ultimo nello spianare la strada al cugino minore.
Il Mosca, tuttavia, è un giurista, un cultore del diritto, motivo per cui nel 1896 è già autore di un'opera che per un ventennio sarà adottata in molte università italiane, "Nuovi studi e nuove dottrine sulla colpa nel diritto civile, penale ed amministrativo", pubblicata nella tipografia nazionale di Giovanni Bertero. In questo agile saggio Tommaso Mosca affronta uno dei temi giuridici più complessi, la dottrina della colpa, attraverso «il nuovo principio della causalità giuridica, che non gli studi teorici, ma una lunga serie di osservazioni pratiche mi ha messo in grado di nettamente stabilire».
Nel 1905 il suo interesse nei confronti della politica diventa cristallino, tanto che pubblica un personale emendamento al disegno di legge sulla trascrizione.
La svolta arriva però nel 1909 quando si candida alla Camera dei Deputati nel Collego di Agnone. Sulla scorta dell'autorevolezza di cui gode il cugino, Tommaso Mosca viene eletto, divenendo capo di gabinetto del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti col ministro Emanuele Gianturco, un avvocato che dal 1901 era considerato il salvatore degli interessi di Capracotta, avendo strenuamente difeso in sede giudiziaria gli usi civici del bosco da parte della popolazione locale.
Tra Mosca e Gianturco intercorrono infatti degli strettissimi rapporti personali, tanto che il ministro è il padrino di battesimo di Emanuele Mosca (1902-1963), secondo figlio di Tommaso. Sarà sempre Mosca la voce principale della commemorazione avvenuta a Capracotta il 9 settembre 1912 per inaugurare il monumento in bronzo ad Emanuele Gianturco nella bella piazza che, da allora, porta il suo nome.
In quell'occasione, durante il lunghissimo discorso che abbraccia ogni aspetto della vita e dell'opera del celebre giurista aviglianese, Tommaso Mosca confida che «quando nell'agosto del 1907, seppe di alcuni articoli denigratori, che si pubblicavano contro di me, mi scrisse tutta di suo pugno, fra i tormenti della malattia che allora aveva fatto rapidi progressi, un'affettuosa letterina, che fu come un balsamo al mio cuore addolorato».
Gli «articoli denigratori» a cui si riferisce sono quelli che la stampa d'opposizione pubblica in merito allo scandalo del Palazzo di Giustizia di Roma, per il quale Mosca viene esplicitamente indicato come uno dei «responsabili morali degli atti di corruzione». Nei suoi confronti parte una delle prima macchine del fango che la storia italiana ricordi, a cui segue nel 1913 una relazione della commissione d'inchiesta nominata dalla Camera. Questa indaga sui presunti atti di corruzione e concussione che hanno fatto lievitare la spesa per la costruzione del cosiddetto "Palazzaccio" dagli iniziali 8 milioni di lire ai definitivi 39.
Tra le varie ditte appaltatrici che lavorano dal 1889 all'edificazione del Tribunale di Roma di piazza Cavour, quella a cui viene imputata la maggior quota corruttiva è la Borrelli, che dei 39 milioni spesi dallo Stato ne ha intascati quasi 21.
Tommaso Mosca, assieme ad Alessandro Guarracino, Riccardo Luzzatto e Giovanni Abignente, decide di dimettersi dopo che la Camera ha approvato le conclusioni dell'inchiesta. Tra i principali accusatori, interni alla commissione, vi sono Edoardo Daneo, massone torinese, e Cesare Nava, fascista della prima ora. Non tutti mostrano però la stessa onestà intellettuale: gli altri sette indagati, tra cui Attilio Brunialti e Domenico Pozzi, decidono di restare al proprio posto.
Senza battere ciglio Mosca rimette il suo mandato parlamentare ma, scagionato da ogni accusa, si ripresenta alle elezioni suppletive del 29 giugno 1913 contro Alessandro Marracino di Vastogirardi, già sconfitto da Mosca nel 1909, e Giovanni Piccoli, un valente ginecologo, sul quale le élite di Agnone fanno convergere ogni sforzo. La propaganda antimoschiana a mezzo stampa è agguerrita ma egli accetta la sfida e, a sua volta, dà vita nel giugno 1913 al primo giornale politico-amministrativo di Capracotta, "La Squilla".
Alle elezioni i votanti sono 3.568 - numeri ben più consistenti di quelli di fine Ottocento - che danno al candidato capracottese 1.597 preferenze (44,8%), 1.079 a Marracino (30,2%) ed appena 781 al dott. Piccoli (21,9%). Non avendo raggiunto il quorum si ricorre al ballottaggio ma il 6 luglio, a causa del ritiro degli avversari, Tommaso Mosca si ritrova unico candidato. Su 1.846 voti se ne aggiudica 1.750: un plebiscito del 94,8%.
Il falconismo, insomma, appare più in forma che mai.
Tuttavia la lotta non è finita perché, dopo appena 3 mesi, a ottobre, si tengono le consultazioni della XXIV legislatura, con l'elettorato triplicato in virtù della riforma elettorale del 1912. Alessandro Marracino abbandona presto l'agone lasciando che siano Giovanni Piccoli e Tommaso Mosca a contendersi il Collegio di Agnone. Le elezioni si svolgono in un clima rovente ma anche stavolta, su 6.745 voti validi, Mosca stravince ottenendo 4.631 preferenze (68,7%).
Di pari passo con l'attività politica Mosca continua quella scientifica, giungendo a pubblicare il suo contributo più importante sui rapporti Stato-Chiesa. Sulla "Nuova Antologia" del gennaio 1916 appare infatti un lungo articolo intitolato "Della intangibilità sostanziale e permanente della legge delle guarentigie". Le guarentigie «consistono in alcuni speciali attributi o prerogative di sovranità conferite al Papa in Italia, sebbene egli non sia più Sovrano di Roma, e sebbene risieda in Roma su territorio italiano, [...] attributi e prerogative senza delle quali [...] le funzioni del Sommo Pontefice nel governo della Chiesa cattolica e nelle relazioni di essa coi varî Stati [...] si renderebbero impossibili o sommamente impacciate». Tommaso Mosca dimostra come esse non siano revocabili o modificabili unilateralmente dallo Stato italiano, gettando in qualche modo le basi per ciò che avverrà l'11 febbraio 1929: la firma dei cosiddetti Patti Lateranensi.
Ciononostante, la Grande Guerra e il fascismo certificano la fine di un'epoca, quella dell'Italia liberale, in favore di una dittatura ventennale che porterà il nostro Paese alla catastrofe.
Venerdì 25 marzo 1927, anno V° della rivoluzione fascista, la Camera dei Deputati è stracolma di camicie nere. L'aria è pesante. Il fascismo, dopo l'omicidio Matteotti di tre anni prima, ha gettato la maschera, imprimendo una svolta totalitaria al governo dell'Italia, di cui Benito Mussolini ne è l'indiscusso Duce.
Nella tornata ordinaria di lavori parlamentari, dopo aver discusso circa l'opportunità di convertire in legge il decreto di riforma del regolamento legislativo dell'Opera Nazionale Combattenti, qualcuno si avvicina al presidente della Camera e gli comunica qualcosa all'orecchio. Il presidente Antonio Casertano ferma l'aula e dichiara che l'onorevole Guglielmo Josa ha chiesto di parlare.
La notizia è funesta anche se era nell'aria: Tommaso Mosca, cugino dell'illustre Nicola Falconi, è infatti deceduto nella notte nella sua casa romana.
A quel punto l'on. Josa, futuro presidente del Consiglio provinciale del Molise e camicia nera della prima ora - un molisano che parteciperà attivamente alla vita politica fascista del Molise e di Capracotta - comincia a leggere il suo intervento di condoglianze in morte dell’amico:
Onorevoli colleghi, ieri si è spento in Roma l'onorevole Tommaso Mosca, che appartenne a questa Camera per due legislature inviatovi dal mio Molise. Alto magistrato, portò nell'esercizio del suo lungo, difficile, delicato ministero la forza di una coscienza intemerata e la luce di un poderoso intelletto. Deputato, fu specialmente studioso di problemi giuridici ed economici e si deve citare di lui sovratutto la relazione per il disegno di legge sul bene di famiglia e sulla piccola proprietà terriera, che resta ancora oggi una pregevole monografia dell'importante questione, la quale tuttavia ci appassiona e attende di essere risolta. Tommaso Mosca viveva lontano dalla vita politica da molti anni, ma è morto credendo nel Fascismo ed io, anche a nome dei colleghi del Molise, compio il dovere di ricordarlo alla Camera fascista. Prego la Camera di esprimere il proprio rimpianto alla famiglia dell'estinto ed al comune nativo, Capracotta».
Pietro Fedele, ministro dell'Istruzione, si associa al commiato a nome di tutto l'esecutivo, mentre per la Camera dei Deputati è lo stesso presidente Casertano ad unirsi alle condoglianze, affermando di voler mettere «a partito la proposta di inviare le condoglianze della Camera al comune di Capracotta ed alla famiglia dello illustre estinto».
Quattro giorni dopo, infatti, nella tornata di martedì 29 marzo 1927, Antonio Casertano legge un telegramma giunto alla Camera da Gregorio Conti, podestà di Capracotta: «A nome di questa cittadinanza mi onoro ringraziare vivamente V. E. Governo Nazionale Camera Deputati per commemorazione e condoglianze inviate perdita nostro illustre e beneamato concittadino S. E. Tommaso Mosca. Ossequi».
Nella retorica del regime, insomma, Mosca deve figurare come un fascista, anche se nella realtà non ha firmato alcun programma, non ha aderito a nessuna associazione, non ha promosso alcuna legge, non ha scritto alcun libro, non ha fatto nulla affinché lo si possa iscrivere nell'alveo della cultura fascista. Tommaso Mosca riposa nel cimitero di Capracotta e, a differenza di chi ha voluto dargli la patente di fascista, il modesto epitaffio recita:
Qui
compostavi dal tenero affetto
della Consorte e dei Figli
la salma
di
Tommaso Mosca
che le fulgide virtù dell'intelletto e del cuore
tutte consacrò
alla Famiglia alla Patria alla Scienza
Il suo paese natale, Capracotta, gli dedica la scuola media statale mentre la città di Campobasso un'anonima via cittadina. Negli anni a seguire anche Roma Capitale intitolerà una strada della borgata di Casale Lumbroso al giurista capracottese; stessa cosa farà il Comune di Ortona, in provincia di Chieti.
Francesco Mendozzi