Questa fotografia, scattata dall'architetto capracottese Franco Valente e recentemente diffusa sui social network, riporta in auge un antico presidio religioso di cui si è totalmente persa e traccia e memoria: l'oratorio di San Nicola della Macchia.
Alcuni studiosi locali affermano che il reperto litico, adagiato sino al 2005 in un campo della Macchia al confine con la proprietà Pallotta, sia una pietra erratica, proveniente da un altro luogo, nei cui pressi - ammette Franco Valente - «vi sono mucchi di pietre che vengono da uno spietramento per attività agricole, però tutti sanno che l'area è ricca di sepolture cristiane. Sicuramente povere, ma significative per capire cosa sia successo in quella zona un migliaio di anni fa. Il disegno sopravvissuto è troppo poco per capire il contesto architettonico di cui quel rozzo fiorone faceva parte. Però la regolarità della lapide fa immaginare che vi fosse una chiesa di buona architettura».
L'errare della pietra, a mio modesto avviso, è presto detto: proviene dalla vetta di Monte San Nicola dove, fino al XVII secolo, resisteva un oratorium dedicato al Santo della carità nativo dell'Asia Minore e adottato dalle Puglie. Il culto di San Nicola sulla cima della nostra montagna, dove c'era un insediamento abitativo di tutto rispetto - detto Spinete o Macchia Strinata o Macchia delle Spinete -, probabilmente giunse al seguito dei pastori transumanti che, molti secoli prima dell'istituzione della Dogana, già transitavano sul "tratturo delle pecore" a nord, parallelo al crinale del detto monte: stiamo parlando del XII secolo, per intenderci.
I pochi contributi bibliografici di una qualche autorevolezza su quest'oratorio intitolato al vescovo di Mira sono fondamentalmente quattro: quello di Francesco Saverio Cremonese, all'indomani del rinvenimento della Tavola Osca nel 1848, valido perché ripreso dal Mommsen e dall'Henzen; quello di Antonio De Nino, che nel 1904 effettuò una perlustrazione dalle Guastre alla Macchia alla ricerca di tombe sannitiche; quello di Luigi Campanelli, che da studioso locale, tentò una personale interpretazione dei resti; infine quello di Ivan Rainini, uno dei più validi archeologi italiani, che tra il 1979 e il 1985 certificò l'esistenza di un abitato sannitico a valle di Monte San Nicola in un voluminoso contributo che, per i molteplici aspetti che tocca, analizzerò in altra occasione.
Nell'ottobre del 1848 Cremonese scrisse che «sul vertice di esso Monte della Macchia sorgeva nei tempi andati (e se ne veggono ancora i vestigi) un oratorio dedicato a S. Nicola arcivescovo di Mira; ed io credo che ciò si facesse per mandare in dileguo ogni memoria di falsi Dei annessa a quel luogo». Se egli si limitò a fornire una spiegazione religiosa circa la presenza d'una chiesetta sul vertice d'un monte di quasi 1.600 metri, oltre mezzo secolo dopo De Nino aggiunse che «sullo spianato della vetta, ma più nelle fiancate, sono sparsi qua e là frammenti di tegoloni e di grossi e piccoli vasi di terracotta. La denominazione del santo barese è poi certa prova che una qualche chiesuola sorgesse in quel culmine e di cui resta fra le macerie un'acquasantiera spezzata». Nel 1904, dunque, vi erano ancora molte suppellettili a testimonianza e delle case e della chiesa, reperti che in un secolo sono stati perduti, dispersi, trafugati.
Il nostro Campanelli si rivelò invece semplice e diretto quando ammise che «mi parve di scorgere in esse degli ampi recinti per raccolta di bestiame ovino, anziché resti di abitazioni umane. Queste probabilmente si trovavano sulla sommità stessa del Colle di S. Nicola dove mi vennero innanzi delle sepolture scoperchiate ed ossa umane che le bagna la pioggia e muove il vento». Parlando con i più anziani abitanti di quelle contrade capracottesi - ché, come scherza Lorenzo Di Menna, l'Italia sta tra la Macchia e il Casino! - mi è stato rivelato che era prassi comune ricoprire con molta più terra le antiche tombe che venivano a scoprirsi a causa degli agenti atmosferici, e che da quei luoghi ci si teneva a distanza, per evitare di disturbare il sonno dei defunti appestati.
Ad oggi ripongo tutte le speranze in Bruno Sardella, validissimo archeologo molisano, che da solo sta ricostruendo, con dovizia filologica, la storia e l'urbanistica di un'area geografica vastissima e puntellata capillarmente da siti abitativi, religiosi e militari oramai cancellati dalla sedimentazione della storia.
E di quella pietra fotografata da Franco Valente il 9 settembre 2005 che ne è stato? Ovviamente anch'essa è andata perduta, dispersa, trafugata.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Scuola Tip. Antoniana, Ferentino 1931;
N. Corcia, Di alcune città greche nel Sannio, in AA.VV., Memorie della Regale Accademia Ercolanese di Archeologia, vol. IX, Stamp. Nazionale, Napoli 1862;
F. S. Cremonese, Notizia di una tavola di bronzo con iscrizione sannitica ed altre antichità della stessa data scoperte nelle vicinanze di Agnone, in «Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica», 10, Roma, ottobre 1848;
A. De Nino, Capracotta. Tombe sannitiche con suppellettile funebre, simile a quella della necropoli aufidenate scoperte nel territorio del Comune, in AA.VV., Atti della Reale Accademia dei Lincei, Tip. della R. Accademia dei Lincei, Roma 1904;
W. Henzen, Sulla tavola con iscrizione osca, ritrovata in Agnone, in «Annali dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica», XX:5, Roma 1848;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. II, Youcanprint, Tricase 2017;
T. Mommsen, Die unteritalischen Dialekte, Wigand, Leipzig 1850;
L. Quilici e S. Quilici Gigli, Fortificazioni antiche in Italia. Età repubblicana, Bretschneider, Roma 2001;
I. Rainini, Capracotta. L'abitato sannitico di Fonte del Romito, Gangemi, Roma 1996;
B. Sardella, Il centro fortificato sannitico di Monte San Nicola e l'abitato fortificato medievale di Maccla, in «Voria», VI:1, Capracotta, agosto 2013.