Con estremo pudore scrivo queste note per presentare il profilo di p. Mario Di Ianni, sacerdote missionario del Sacro Cuore, chiamato dal Signore a 84 anni, il 30 giugno 2023 a Roma.
Nato a Capracotta, fin dalla prima adolescenza ha risposto alla chiamata del Signore tra i religiosi missionari, nel collegio di Narni, in Umbria. Ha accolto il magis, il di più della sua grazia, che gli ha permesso di andare avanti nella vocazione, di gioire con semplicità di cuore, di partire e ricominciare sempre tendendo la mano agli altri. Lontano da ogni forma di seduzione dell'effimero, della mediocrità, dell'abitudinarietà e dell'apparenza, ha percorso il suo cammino di formazione con coerenza e estremo rigore. Ha vissuto la propria chiamata con gratuità gioiosa, con semplicità e mitezza evangelica, con gentilezza e rispetto, lontano da ogni tentazione di sentirsi "funzionario del sacro". Si è costruito nella relazione corretta con i suoi educatori e con i suoi compagni, convinto che la relazione è costitutiva dell'essere umano, è essenziale alla fraternità della fede. Abitare il tempo e le relazioni: era il modo di crescere in fraternità, in cammino con gli altri, esercitando il ministero sacerdotale sull'aiuto e sull'ascolto, avvertendo più il noi ecclesiale che l'io autoreferenziale. Ha compreso la profonda unità tra la qualità della vita, la serenità personale e la qualità del ministero, chiamato ad annunciare con la vita un messaggio di salvezza.
Ha vissuto i primi anni della sua vita a Capracotta, «terrazza del Molise», «vetta degli Appennini», con i suoi 1.421 metri di altitudine, dove «il cielo è sempre più blu», ha ereditato la fierezza del montanaro e la tempra degli antichi sanniti. Capracotta, "amata in modo viscerale", gli ha permesso di intessere rapporti sereni con i compagni di gioco e di quartiere, favorendo il confronto, l'amicizia e la dimensione familiare. Ha considerato la fragilità umana come il canale privilegiato della grazia di Dio, come colui che può guarire attraverso le proprie ferite assunte senza negarle. La fragilità accolta gli ha consentito di vivere relazioni vere, all’insegna della misericordia e della compassione e rendere credibile il ministero sacerdotale. La fragilità, che ha avvertito in modo vivo e indelebile, è stata la perdita della mamma Rosa, morta di parto nel 1942. Aveva 3 anni, «era struggente sentirgli dire: non ricordo nemmeno la voce di mia madre», commenta il suo confratello p. Domenico Rosa. Dell'amore materno ha avvertito l'assenza, la nostalgia e il rimpianto, che ha evidenziato in tanti incontri che ha avuto con me. «Beato te, – mi ripeteva spesso, – che hai avuto e sperimentato l'affetto di una madre, che ha segnato un'orma indelebile nella tua infanzia, rimanendo impressa per tutta la vita».
La madre, l'unica forza capace di conquistare il cuore, la tenerezza fatta silenzio. Incanta e attrae, piega e vince, apre e scioglie, è via percorribile sempre, anche quando sembra di smarrire il cammino. L'unica forza che vince ogni ostacolo, fonte di sicurezza e di crescita per la sua infinita comprensione, è la forza irresistibile dell'amore e della dolcezza. Il rapporto e la relazione affettiva crea un'intimità stabile e fedele, che si imprime nell'animo e non si cancella mai. E imprinting unico e irripetibile del rapporto madre-figlio. La mancanza della mamma in parte è stata colmata dalla risposta spontanea alla chiamata di Dio. Il noviziato ad Agrano in Piemonte gli ha permesso di affrontare sacrifici e dure prove, affinando il suo carattere nel cammino di formazione, temprando la sua personalità tenace e determinata. Sembra riecheggiare le parole di Francis Thompson come sintesi di ogni prova: «Quello che ti ho tolto, non te l'ho tolto per tuo male, ma perché tu lo venga a cercare tra le mie braccia». Vale per p. Mario e per mamma Rosa.
Padre Mario ha trovato in Gesù Cristo la sua fonte, la sua pienezza, il suo modello. In questo orizzonte ha collocato la sua "formazione cristocentrica", che costituisce l'asse portante dell'educazione della fede, la misura e la verifica più autentica che ha avuto con in confratelli e i laici. Rapporti improntati ad una amicizia profondamente soprannaturale e squisitamente umana nelle espressioni, facendo attenzione alla persona in concreto. Sempre disponibile a chi chiedeva un aiuto e un servizio, portato a vivere una vita "piena di Dio, piena d'amore". Raccontava spesso le vicende della sua famiglia di carbonai e dei sacrifici e del "sangue buttato" di papà Paolo e delle prove e sofferenze dei suoi fratelli Aldo e Rosa.
Il 18 dicembre 1965 ha raggiunto la vetta del sacerdozio, culminando il suo iter di formazione nel Santuario di Nostra Signora del Sacro Cuore a Roma. Una testimonianza personale e comunitaria tradotta nella vita attraverso la corrispondenza e la fedeltà, anche se non sono mancati momenti di sofferenza. La speranza, anche se umanamente piccola e qualche volta gira a vuoto, è una luce che non si spegne mai. Il tempo del dolore è stato per p. Mario tempo di grazia. Il termine risurrezione indica anche pazienza di ricominciare giorni rinati dall'alto, per trasformare le ferite in feritoie, in brecce sui muri, fessure di domani.
Pasqua è il punto in cui «si annodano il Gesù storico e il Cristo della fede». Il progetto di tutta la creazione è incamminato verso il compimento, pur attraverso le prove della croce e del parto. Il soffrire passa, l'aver sofferto resta. Dalla sofferenza nasce una nuova aurora, la nostra anima ha in sé un'energia che le permette di reagire ad ogni tempesta e di lasciare un raggio di luce sul terreno arido e sassoso della nostra storia.
Gli anni di formazione culturale alla Università Gregoriana e in seguito all'Alfonsianum di Roma, hanno imboccato strade con scelte nette, limpide, serene. Fine intelligenza, ampia cultura e sensibilità pastorale arricchivano la sua personalità, coniugando il rigore dello studioso e la sollecitudine del pastore. Misurato in tutto ha seguito i suoi studi aprendosi alle problematiche ecclesiali, che studiava, approfondiva, scriveva.
Chiamato al ministero pastorale al Collegio di Torvaianica si è prodigato con vigore per l'educazione dei giovani, senza personalismi e formalità, facendo risuonare la sua voce fraterna ed empatica. Lucidità di pensiero e fermezza di decisione hanno caratterizzato il suo servizio ai ragazzi e ai giovani dell'Enaoli di Torvaianica. La consonanza tra la sua tempra di montanaro e la delicatezza dell’educatore lo ha reso disponibile all'accoglienza e all’ascolto, facendo trasparire l'umiltà e la prossimità che l'accompagnavano, con l'attenzione riservata ai più deboli e bisognosi.
Il servizio prestato nella comunità dei Missionari del Sacro Cuore nella casa di corso Rinascimento ha rivelato capacità di entrare in relazione con i confratelli e lavorare con gli altri, ma soprattutto esigenza di comunione, di collegialità, fondata sulla natura stessa del sacerdozio. Educato al pensare e al lavorare insieme, al saper dire noi e non solo io, ha sviluppato la sua formazione non come dato giuridico e disciplinare, ma come valore teologico e spirituale. Ha concepito il suo ministero e il suo servizio come impegno radicale, esigente, esclusivo, che prende tutta la vita. Nel contesto attuale questo servizio radicale si scontra con il clima del consumismo, ricerca del benessere e il lassismo morale, viene riproposto in modo chiaro e vissuto fedelmente. Con il nitore dell'argomentazione e la lucidità di pensiero ha offerto motivi di riflessione mai banali, sempre centrati al cuore delle questioni, specialmente in alcuni temi la cui sensibilità etica è oggi particolarmente vivace e contrastata.
Professore di Teologia morale nella Pontificia Università Urbaniana, ha dimostrato una sicura competenza acquisita attraverso una vivacità e curiosità intellettuale, con i suoi scritti, che hanno scandito il percorso tracciato dal Concilio Vaticano II.
Le questioni di fondo da affrontare erano quella dello statuto proprio della verità morale e quello della identità della morale cristiana. Tutto questo sulla spinta del Concilio Vaticano II che, riconoscendo nella Gaudium et spes l'autonomia delle realtà terrestri, riconosceva l'esistenza di un’etica umana fondata sulla ragione, nella quale la stessa rivelazione affondava per molti aspetti, le proprie radici.
Per p. Mario non solo era l'occasione di continuo rinnovamento dei suoi interessi, ma anche motivo per la coltivazione di amicizie e collaborazioni con molti esponenti della cultura laica per un confronto intelligente e aperto, e anche per significative mediazioni su delicate questioni dell'etica politica, economica e della bioetica. Un teologo morale, con una sua capacità di richiamo e di stima dei suoi alunni, ha rappresentato un punto di riferimento qualificato nel suo campo di competenza, in quel settore impegnativo dedicato e rappresentato appunto dalla riflessione etica. Come docente ha lasciato un'impressione forte motivata dal rigore e chiarezza del suo pensiero, dalla stima sincera della sua umanità e dall'affetto che riusciva a conquistarsi. Colpiva l'autorevolezza di stile, la serietà e l'impegno del suo insegnamento, la spiccata predilezione per l'uso della ragione nelle argomentazioni teologiche, la passione e la generosità del dialogo, la luminosa testimonianza di vita. Esperto dei temi della bioetica ha dato risalto anche a temi dell'etica sociale e pubblica sottolineando la necessità di "rimanere umani", di "non smettere di essere umani", in un'epoca densa di squilibri e incertezze. Il richiamo al senso di responsabilità di tutti e di ciascuno era continuo e perentorio sulle labbra di p. Mario, con l'intento di delineare un modello di cattolicesimo e di Chiesa capace di restituire credibilità ed efficacia alla proposta evangelica. «Un cristianesimo che ricuperi la dimensione trascendente e mistica e faccia propria la radicalità del discorso della montagna», che si incarni in modello di Chiesa, diventa fermento vivo nella società attraverso un'esperienza comunitaria di fraternità e di condivisione dei beni della terra. Una tale testimonianza, frutto di una grande fede e libertà evangelica, la conserviamo tra le cose più preziose che p. Mario ci ha lasciato.
Le pubblicazioni più note da ricordare sono "La verità nel comunicare" (ed. VivereIn), gli "Appunti di metodologia teologica" (ed. Pontificia Università Urbaniana), "Fecondazione artificiale" (Enciclopedia Cattolica, voce), il saggio su "La prudenza", pubblicati su Letteratura Capracottese. «Encomiabile – infine, afferma un suo confratello, – il proficuo lavoro svolto per la Provincia Italiana dei Missionari del Sacro Cuore per la cura, la risistemazione e l'ordine dell'archivio e della biblioteca».
Una nota caratteristica del profilo di p. Mario è la capracottesità. Nato, vissuto e pasciuto a Capracotta, ha conservato nella vita l'impronta di composta fierezza e di dignitosa responsabilità, che hanno plasmato e impastato la sua storia personale. Capracotta "sempre e dovunque", punto di partenza dove è sbocciata la sua vocazione, punto di riferimento nelle sue scelte e nel faticoso cammino della vita, punto di ritorno per trovare riposo nell’amplesso materno dei suoi monti. Anche il dialetto capracottese, parlato con disinvolta padronanza, generava facilità di sentimenti e gusto della sonorità in chi lo ascoltava, facendo assaporare l'anima popolare dei capracottesi. Il sapore di ogni parola nata dalla mente, sviluppata nel cuore, diventa musica sulle labbra, perché porta impresso il sigillo della sincerità. I dialoghi trascritti nelle interviste, raccolte e annotate nel libro "La distruzione di Capracotta del 1943/44", sono una chiara testimonianza. La forma dei dialoghi, diretta e a caldo, nella immediatezza e freschezza dell'eloquio, senza mediazioni, ha reso vivo il dipanarsi cronologico dei fatti accaduti. Ognuno potrebbe aggiungere qualcosa del suo vissuto in quel tragico inverno del 1943-44. Un semplice assaggio di dialetto parlato si scopre nel dialogo con gli zii Annina Di Ianni e Cenzitto Sammarone, alla nascita del figlio Peppino: «Ména (= orsù), Annina, ché una creatura comincia nella stoppa e finisce nella seta»... La profezia si è verificata, il lenzuolo regalato da zia Cenzella, madre di don Carmelo, divisa in tanti pannolini, è stato di aiuto e sollievo, per i genitori di Peppino. La parola dialettale "ména, mó" traduce sollecitudine, solidarietà, saggezza, attenzione, condivisione e fiducia nella Provvidenza. Il dialetto capracottese parlato da p. Mario è l'eco fedele, l'interprete armoniosa di quel vecchio popolo sannita ricco di passioni, sempre nutrito di quell'intima forza morale che produce ancora intelletti robusti e genera buone qualità, come la facilità dei sentimenti semplici e il gusto della bella parola nel suo effetto di sonorità.
Un particolare intervento dedicato alla Madonna di Loreto e pubblicato sul numero speciale di "Voria" nel 2008, mette in risalto la devozione tra verità e leggenda. «Certamente, – scrive p. Mario, – le apparizioni a Valle Sorda sono un tipico esempio di religiosità che è sconfinata nella fantasia e nel mito. Con ogni probabilità i monaci benedettini di Montecassino (la cui presenza nelle nostre zone si evince anche dai toponimi squisitamente benedettini) avranno esortato il popolo di Dio alla devozione alla Vergine Santissima un simulacro già diffuso in altri luoghi d'Abruzzo e ponendolo nella piccola cappella che si trovava nei pressi dell'attuale chiesa. [...] Noi onoriamo Maria nella purezza della fede cercando di togliere tutto ciò che sa di religiosità e di mito». A un capracottese basta richiamare all'orecchio il tinnulo suono della «campanella della Madonnina» per ridestare e riaccendere nel cuore la presenza vibrante della Madonna di Loreto, il ricordo del suo paese con le sue piazze, i suoi vicoli, le sue chiese e le sue montagne.
La sua presenza vigile e premurosa stupisce ancora nel perdurare del tempo per sentire tutti in un comune senso di fraternità, senza discriminazioni tra buoni e cattivi, colti e ignoranti, ricchi e poveri. «Infinitamente giovane perché infinitamente Madre, infinitamente celeste perché infinitamente terrestre»: è questo il mistero profondo di Donna e di Madre.
Un ultimo tratto del profilo di p. Mario è riservato al mio rapporto personale. La comune scelta di vita al servizio del Vangelo, la comune origine capracottese, la schiettezza delle relazioni, l'unità nello spirito hanno armonizzato tutte le diversità. Le nostre azioni erano propedeutiche al bene, al vero, al bello, al santo, come le nostre scelte di vita, nonostante le fragilità, le imperfezioni e le inadempienze. Dio non impone la sua presenza, ma la offre come possibilità di comunione e di crescita, si lascia trovare quando abbiamo bisogno di Lui. L'amicizia sacerdotale matura col passare del tempo, è un rapporto di affetto che fa sentire uniti e porta a sentire il bene dell'amico, è intimità che si condivide con sincerità e fiducia.
Nella vita ci sono momenti di grazia da cogliere e non perdere. L'incontro sereno e felice con una persona causa crescita umana, culturale e spirituale, perché l'amico è anche sacerdote. È una sorta di attimo fuggente, e non a caso attimo deriva da "atomo", perché quantità indivisibile di tempo. I Greci lo chiamavano kairòs, «la migliore di tutte le cose». Il Vangelo definisce kairos «il tempo che Dio ha deciso e attuato con l'avvento di Cristo», tempo favorevole, tempo giusto e opportuno, da non perdere. È il tempo che Dio mi ha regalato con l'incontro di p. Mario. Le concelebrazioni della S. Messa insieme a don Nannino Carnevale nella chiesetta di S. Giovanni, negli ultimi anni, hanno incrementato, rafforzato e santificato il dono dell'amicizia. Quanto fa bene un prete che si fa vicino, non fugge le ferite dei fratelli, «ama la Chiesa così com'è», capisce che «l'amore per la sapienza è ciò che si cerca diventando amici, tutti e due l'uno per l'altro». È il luogo della originale e irripetibile risonanza dell'altro-Dio, da cui veniamo e dei volti con cui con-viviamo, con-dividiamo e con-creiamo il noi: il naturale e il soprannaturale non sono piani sovrapposti, ma fili intrecciati nell'amicizia sincera e fraterna.
Osman Antonio Di Lorenzo