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Un paese sepolto dalla neve


Capracotta sepolta neve
Capracotta d'inverno (foto: G. Paglione).

Capracotta è il pittoresco ed alpestre paese del nostro Molise addossato alla sella risultante in mezzo al gruppo montano del Monte Campo (m. 1.690) e Capraro (m. 1.710), tra le ridenti vallate del Sangro e del Trigno. È uno dei capoluoghi di mandamento più alti d'Italia, a 1.421 metri sul mare. Per quanto ne sia delizioso d'estate il soggiorno dall'aria fresca e balsamica, d'altrettanto la vita vi è penosa e difficile nell'interminabile inverno, sia per le correnti impetuose che lo dominano, sia per le copiose e violente nevicate.

Il paese sorge su balze inaccessibili a nord, investite dalle raffiche furiose della borea gelata che, nei giorni della tormenta costringe tutti a rimanersene tappati in casa. Solo i nostri giovani audaci si recano al Circolo a giocare la solita clamorosa parigina al bigliardo e talvolta anch'essi stentano, a tarda sera, nel tornare a casa, perché affondano fino al collo nella neve minuta e soffice, e il turbinio del nevischio è così impetuosamente vertiginoso che senza tregua accieca gli occhi e mozza il respiro. Se qualche infelice viandante ha la sventura di essere improvvisamente sorpreso dalla terribile bufera nell'aperta campagna vi rimane travolto perdendo miseramente la vita, e purtroppo quasi tutti gli anni si deplorano vittime umane.

Gente forte e generosa che vive fra tanti disagi dovrebbe avere il privilegio di non pagare le tasse o di pagarle ridotte. Ma sì: andatelo a dire al nostro diligente Esattore o all'ottimo amico Ricevitore! Essi hanno la consegna, non di russare, ma di vegliare e di esigere puntualmente danaro per fondiaria, canoni e ricchezza mobile nella miseria stabile!

Nei mesi di gennaio e febbraio scorsi continue bufere di nevischio scatenatesi con inaudita violenza, hanno sepolto Capracotta sotto un altissimo strato di neve (m. 4 a 5). Molti abitanti escono dalle finestre, altri scavano delle profonde buche (in corrispondenza delle porte delle case), che guardate dal nuovo aereo piano stradale sembrano pozzi; sui tetti è accumulata una quantità enorme di neve che ne rende pericolanti le impalcature; molte case ad un solo piano sono completamente sepolte e vi si comunica con gallerie aperte nella neve.

Dopo la caduta di tanta manna celeste, si gira curiosi, in ricognizione pel paese, sui stretti sentieri praticati di recente sulla neve, capaci pel transito di una sola persona: qui si è costretti (come pel passaggio ginnastico sulla trave d'equilibrio), ad abbracciare una persona cordialmente antipatica od anche un nemico; più in là invece, una... bella forosetta che, per mancanza di equilibrio, vi somministra una doccia gelata facendovi cadere sulle spalle la conca d'acqua che porta in testa. Continuando la perlustrazione vi sembra d'esser divenuti giganti, perché potete guardare più o meno indiscretamente dentro le cucine, il cui soffitto è decorato dagli squisiti e recenti salami appesivi; nelle camere da letto, ove la massaia rassetta la biancheria. E la veduta dello strano cinematografo vivente continua e lo sguardo entrando furtivo per le finestre sorprende ragazze che filano alla rocca, che annaspano, che tessono: ma tanta ammirazione è troncata bruscamente da un magnifico capitombolo; vi rialzate e guardando il luogo del disastro vi assicurate che avete inciampato nel braccio di sostegno di un pubblico lampione! Anche alla sera lo spettacolo è fantastico: ombre ravvolte in scuri mantelli e incappucciate come frati camminano cautamente, munite di lanterne cilindriche (una vera specialità del luogo) che un giorno furono soltanto spiritose bottiglie... di cognac o d'anisette; così illuminano lo scabroso sentiero troppo frequentemente accidentato da botole e da bolge infernali.

Ma andiamo un poco in campagna, possibilmente forniti di ski, per non affondare troppo nella neve; il rilievo topografico e quello panoramico non si riconoscono. Muri, macigni, siepi, arbusti, cespugli scomparsi; avvallamenti, fossi, letti di torrenti colmati: ogni tanto s'erge maestoso un baluardo, una vera montagna di neve (in dialetto réglie) alta fin otto a nove metri che attraversa il cammino e che bisogna scalare per passar oltre. Nei boschi le sole cime dei faggi spuntano fuori tutte ricoperte di candidi cristalli: il laghetto di Mingaccio è gelato e nascosto sotto un'enorme quantità di neve.

Perciò il corriere postale è rimasto sospeso per varii periodi di tempo; nell'ultima bufera per ben dieci giorni in cui si è stati segregati dal consorzio civile unitivi soltanto dal tenue filo telegrafico. Negli ultimi giorni dell'isolamento scarseggiano le farine, manca il sale e questa gente per natura svelta ed arguta, minaccia di divenire insipida; ragione per cui come nel periodo critico di un assedio si riducono le razioni di pane e dal rivenditore di generi di privativa non si accordano più di due soldi di sale per famiglia. Alfine l'ira implacabile degli elementi diminuisce un poco e l'Autorità municipale organizza una spedizione, non al Polo nord, ma semplicemente a Carovilli nonché Agnone, la viciniore stazione ferroviara: venti nostri robusti montanari sono requisiti ed insieme al procaccia postale partono per ritirare le poste arretrate e per rilevare alla stazione stessa due quintali di sale.

Il viaggio è oltremodo faticoso: gli uomini di punta si alternano nell'aprirsi un varco nella neve in cui affondano, e per percorrere i 21 chilometri di distanza impiegano la bellezza di una giornata intera. Un'altra ne impiegano al ritorno; ma alla sera, quantunque il cielo sereno e stellato, il vento torna a spirare forte facendo turbinare impetuosamente il nevischio. Si teme per le sorti della carovana ed il Municipio manda rinforzi ad incontrarla, suonano intanto le campane a stormo e la gente accorre numerosa dalla parte dell'eremo della Madonna di Loreto. Finalmente fra impaziente aspettativa giungono i reduci da Carovilli trafelati dalla fatica, colle facce pavonazze e con i ghiacciuoli attaccati ai baffi ed alle sopracciglia. A vedere la lenta e lunga processione di tutti quegli uomini imbacuccati, taluni con sopracalzoni di pelle di capra (in dialetto guardamàcchie), sembra di assistere alla scena pittoresca della migrazione di una tribù di Lapponi o di Samojedi anziché all'arrivo di una comitiva di abitanti di popolato e civilissimo paese dell'Italia meridionale.


Giovanni Paglione

 

Fonte: G. Paglione, Un paese sepolto dalla neve, in «La Provincia di Campobasso», X:6, Campobasso, 17 marzo 1905.

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