top of page

I pastori capracottesi della Maiella


Giovanni Venditti

Giovanni Venditti

di Capracotta

di Rafaele sono pastore Petr.

stato 1893 sino al 1899


La transumanza fu croce e delizia, fu bestemmia in partenza e gioia al ritorno. Il pastore, protagonista di quella migrazione di genti, bestie e culture, ne è il perfetto deus ex machina, almeno nell'immaginario comune. Infanzie giocate a badar pecore sotto il sole e la pioggia: guai a perderne una, guai a ritrovarla azzoppata. Famiglie lasciate incustodite nell'inverno capracottese: «chissà se mamma e tata saranno ancora vivi quando torno»...

In quegli otto mesi di transumanza il pastore organizza, sgobba, guida, suda, custodisce, ripara, tratta, minaccia, subisce.

Ma non esiste pastore senza pecora. E nemmeno esiste il pastore "e" la pecora. Perché il pastore è la sua pecora. Egli è la declinazione appenninica dello zen.

La pezzata, quel piatto topico che, tra invenzione e tradizione, tenterà in seguito di cantarne le gesta, non è che il simulacro di un'era sepolta per sempre, che mai tornerà, e di cui pochissimi esseri umani viventi son testimoni. E per questo dobbiamo rispettarla.

Il pastore, dicevo.

A volte il pastore non sta tranquillo nemmeno quando torna in famiglia. Perché in alcuni casi, durante l'estate, il locato - l'affittuario di una posta pugliese che comprende pascolo e ricovero per greggi e pastori - per un verso o per un altro non partecipa alla scummessa de la Uardata dell'8 maggio e si vede costretto ad acquistare le erbe estive fuori Capracotta, cosicché il pastore riparte alla volta di nuovi lontani pascoli per la monticazione, stavolta a nord.

La presenza del pastore (non solo capracottese) sui pascoli della Majella è scolpita nelle pietre. E la maggior parte di tali incisioni la si trova in alta montagna poiché realizzata da pastori transumanti che occupano i prati più alti, visto che quelli in basso, vicini ai paesi del fondovalle, è riservata ai locali i quali evitano di scolpire il loro nome vicino al proprio centro di residenza.

Qui ho raccolto, grazie alle segnalazioni di Liberatore Di Cesare, Lorenzo Potena e Giovanni Fiadino, due di quelle pietre - preziose, a questo punto - capaci di parlarci di un'epoca lontana e di uomini, spesso bambini, non per forza cristallizzati nelle secolari mansioni di custodia pecorum.

La prima pietra maiellese, scoperta da Lorenzo Potena nel 1985 sul sentiero Tre Portoni ad oltre 2.673 m. di quota, è quella del pastore Giovanni Venditti (1868-1960), capofamiglia di pastori, in quanto fratello di Concezio (1870-1947), zio di quel Giacomo (1901-1992) intervistato nel 1971 dall'antropologa Elisabetta Silvestrini (qui) e prozio di quello stesso Giacomo che oggi guida un'azienda zootecnica in agro di Sant'Angelo del Pesco. Il nome di Raffaele, scolpito da Giovanni sulla pietra, non è, come ci si aspettava, quello di suo padre, bensì quello del suo datore di lavoro, il grande proprietario armentizio Raffaele Petrilli (1848-1912), per il quale lavoravano tanti capracottesi, come ho ricordato in un precedente articolo.


Sebastiano Di Cesare

Sebastiano Di Cesare

di Capracotta

di anni 13

24 agosto 1925


Sebastiano Di Cesare
Sebastiano Di Cesare (1912-1978).

La seconda pietra è quella di Sebastiano Di Cesare, un pastore che nel 1948 appare in tutta la sua bellezza bucolica, ricoperto di pelleccióne, uardamàcchie e strangunèra, persino sulle pagine della rivista del Touring Club Italiano "Abruzzi e Molise", immortalato da Alfredo Trombetta proprio sui pascoli della Majella. Dopo una lunga gavetta sui tratturi d'Appennino e dopo aver imparato a maneggiare latte e sale, Sebastiano si dà alla produzione casearia, divenendo addirittura il primo capracottese a confezionare e distribuire latticini in quel di Londra: il 12 luglio 1961 il giornalista Antonio Perrini gli dedica un appassionante articolo per "Il Tempo".

Quella società pastorale, di cui i pastori erano fieri ma che quasi mai auspicavano per i propri figli, conosce ora l'ingresso di iugoslavi, asiatici, africani. Persone che tuttora ricordano, nei solchi del viso e nell'idioma incomprensibile, l'arcaicità della pastorizia e l'impenetrabilità della vita.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • E. Herrigel, Lo Zen e il tiro con l'arco, Adelphi, Milano 1975;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • E. Micati, Grotte e incisioni dei pastori della Majella, Carsa, Pescara 2000;

  • A. Trombetta, L'abbigliamento dei pastori, in E. Petrocelli, La civiltà della transumanza. Storia, cultura e valorizzazione dei tratturi e del mondo pastorale in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata, Iannone, Isernia 1999.

bottom of page