Un uomo è in compagnia di se stesso quando volutamente elude le folle ingombranti e i luoghi dove si venerano gli idoli del denaro, del potere e della gloria.
Un uomo è in compagnia di se stesso quando possiede coscientemente il nulla e procura con il lavoro delle sue mani il cibo che gli serve per vivere. Il resto, il soverchio, è scoria di tempo destinata al macero.
Un uomo è in compagnia di se stesso quando si acquatta ad ascoltare la voce del vento e ne comprende le non trascrivibili melodie.
È così discreto e nascosto quell'eremo che si incontra percorrendo la strada che sale da Pescopennataro e si getta a Capracotta. Così recondito e umile da non ostentarsi agli occhi di visitatori occasionali che passano distratti. Qui un tempo, un eremita si era ritirato in un anfratto di roccia.
Aveva lasciato un suo braccio al mondo di sotto Gaetanuccio Fiadino. Il mondo che sarebbe quattordici anni dopo stato sventrato da una guerra mondiale.
Quale fosse stato il motivo del suo ritiro in un anfratto del monte San Luca in quel lontano 1903 non ci sarà dato mai di saperlo.
Continuatore di una tradizione di eremiti che annotavano chissà cosa su un diario chiamato retiglie (probabilmente un libro di meditazioni e preghiere)? Anacoreta di un post industriale, divoratore di forza lavoro e dispensatore di ingiustizia sociale?
Redivivo stilita alla ricerca di un'anima massacrata dai processi di produzione?
Doveva certo dedicarsi alla preghiera, Gaetanuccio, per avere motivo di costruire la chiesetta che ancora si rende visibile.
Costruì l'altare e il lampadario di legno con la sola mano che gli rimaneva. Forse celebrava una solitaria messa su quell'altare privo di "pietra sacra", sconosciuto al potere di Roma e alla curia vescovile.
Si intratteneva con il Dio dei sacerdoti privi di tonaca, preti che si resero muti per non bestemmiare. Sacerdoti che non accettarono ordini e non dimorarono sotto gli ori degli altari.
La neve lo seppelliva durante l'inverno nascondendolo alla unità di una patria costruita da sapienti politici circa quarant'anni prima, che al dominio dei Borboni prima, e a quello di Napoleone dopo, aveva sostituito l'arroganza e il ladrocinio dei Savoia.
"Un nuovo unico re per vecchi feudatari e profittatori, per un popolo dominato con la fame e l'ignoranza. Un potere che ne scaccia un altro e si sostituisce al precedente. Che umana miseria!".
Gaetanuccio aveva una capra e un lettuccio fatto di tavole di abete. Il mesto ruminare dell'animale e il suo periodico belare mitigavano l'ululato del lupo, che affamato durante l'inverno aggirandosi nel bosco si soffermava davanti alle robuste tavole che chiudevano l'anfratto di roccia avvertendo l'odore della carne viva.
L'uomo beveva il latte della capra che gli nutriva il corpo e gli imbiancava l'animo.
L'evangelista Luca guidava la penna di gallo nella unica mano dell'eremita, eludendo la colta rozzezza di uomini che guidano civiltà.
La guerra finì e di Gaetanuccio si seppe più nulla. La rigogliosa natura riprese il sopravvento sull'orticello curato e i semi indisturbati trasportati dal vento svilupparono di nuovo erbe e arbusti davanti alla chiesetta che si coprì di verde nascondendosi ad occhi estranei.
Il sentiero nel bosco che portava alla dimora del "romito" lascia ancora trasparire il calpestio di gente del paese che andando per boschi e passando per il pozzo dove Fiadino attingeva l'acqua si soffermava e faceva visita alla cassetta con le ossa dello scomparso anacoreta. Qualcuno dovette averle raccolte dopo averlo trovato morto, mosso non dalla pietà ma da un istinto di venerazione verso l'immensità della solitudine.
Lasciato per anni all'incuria e dopo avere azzannato il bosco di abeti soprani costruendo la strada che da Pescopennataro porta a Capracotta, è oggi visibile e i pochi vecchi che sapevano trasmisero a figli e nipoti il rispetto per quel luogo dove il giorno dieci settembre di ogni anno si festeggia il patrono della montagna, con canti, balli e abbondanti fiaschette di vino.
Gustavo Tempesta
Fonte: G. Tempesta, Fuochista, Youcanprint, Tricase 2017.