Dedico queste semplici parole di un folcloristico canto gergale allo Jancocampo, paese sannitico, impiantato pressappoco sull'attuale sito, dall'originario, valoroso e più potente ed orgoglioso competitore per la nascente e democratica unificazione nazionale, contro il predominio della "Lupa Giallorossa", su i popoli dell'antico stivale. Questo montuoso erbivoro sito capracottese a causa del voluto e forzato diboscamento, avvenuto per la necessaria coltura dei cereali, espande dal magnifico e calcareo poggiato, tutta la sua immensa e idilliaca maestria, sfiorando e carezzando amabilmente sulla bellissima e storica sommità dello spartiacque sangro-verrinico-trignino, che basandosi fortemente sulla parte più torreggiante della "matassa" appenninico-molisana, la bella Capracotta ne svetta solennemente, come una penna d'alpino, tutta la sua magica magnificenza!
Anche se io, forlivese, su questa meravigliosa altura ci sono stato solo qualche volta, per me non ha importanza, perché questa terra è stata fissata nella mia memoria come se ci fossi nato, poiché fin dall'infanzia, nei borghi, sulla piazza, nelle strade, nei campi ed ovunque io ero con i capracottesi, numerosissimi in terra di Forli, prestavo attenzione ad originali e commoventi loro storie, allora transumante e profugo popolo, dopo la totale scomposizione avvenuta durante la ritirata tedesca sui bastioni trasversali appenninici del Sangro, del Volturno e del Garigliano.
Che tormento la vita ed il mondo... io ascolto sempre ed ovunque, adesso come allora, quando da parte dei figli della Tabula Osca, c'era da esporre il patimento, io udivo e comprendevo con tantissima malinconia, ancora le notizie degli sfollati, dei profughi, che uniti ai tribolati di San Pietro Avellana, attraverso il guado di Montedimezzo e Falascuso, e camminando ai chiarori silenziosi della luna e delle stelle, evitando magistralmente il panico delle armi invasive, scesero lungo la mulattiera Pennataro-Castelcanonico ed in molti si riversarono su Forli, terra di nessuno, dove le palle infuocate, continuamente, sorvolando e fischiando sulle case, andavano ad esplodere in direzione di Castel di Sangro e della galleria di Sant'Ilario, mentre nella direzione opposta, si riversavano sul Macerone e dintorni.
Ormai sorpassati i primi ed ancora insignificanti traguardi di difesa - La Barbara e la Viktor - le linee ritardatarie tedesche, che a causa del lungo e cattivo tempo che in quel lontano mese di novembre del 1943, senza fine... imperversava sulla nostra già tormentata zona, il Generale Kesselring non riuscì a completarle e così, con l'arrivo dell'esercito americano-anglo-coloniale-internazionale, nel territorio, il fronte si spostò, qualche chilometro più a nord-ovest del torrente Vandrella, come ribadiva sempre anche mia madre, allora appena ventenne, sulla "Death Valley", così, e con tanta paura, chiamavano la Bocca di Forli ed oltre, i consolidati soldati inglesi del Generale Montgomery, vale a dire: la "Valle della Morte".
Ancora oggi ci tengo a richiamare alla mente, le memorie di mio padre Carlo, classe 1924, che ha sempre esposto con tanta benevolenza e nostalgia e continua con tanto affetto ancora ha rievocarla l'intrepida amicizia, avuta col suo commilitone di prigionia, il capracottese Carlo Giuliano, avvenuta appena dopo l'arrivo degli Americani al campo di concentramento di Fallingbostel, a nord dell'ex Germania Occidentale o Federale, ed evidenzia, tutta la sua felicità ed entusiasmo, che vibrò nei loro petti, fin dall'istante dell'avvenuta liberazione, dopo la lunga, sofferta ed interminabile subordinazione.
Il forlivese Carlo Lilli ed il capracottese Carlo Giuliano, loro insieme come i due popoli d'origine, menzionano i ricordi appena passati della fame, del dolore, dello strazio e della tribolazione, ma forti della speranza ed energici nella passione che, ad occhi aperti ed influenzati dal cuore, volgevano a catinelle la ritrovata libertà, nei tristi e cupi dintorni della distrutta cittadella alemanna, mio padre accenna anche, che l'amico Carlo Giuliano poneva sulla testa, sempre una retina marrone che non toglieva quasi mai.
Quando gli Alleati arrivando sul profilo del valico del Macerone, ed osservarono il vasto orizzonte, che da Monte Campo, passando per il re delle cime centro-meridionali, Monte Greco, ove solenne volge lo sguardo in discesa per Monte Meta, che cede lo scenario del cordone mainardico allo spento vulcano di Monte Cesima, che ne disperde leggermente la catena all'infuocato e profondo Tirreno, certamente l'imponente frontiera li mise paura e li fece tremare, tant'è vero che a Forli ci rimasero fino alla presa di Montecassino da parte del Generale polacco Wladyslaw Anders, che portava fretta per la sua Polonia e che conosceva benissimo tutto il medesimo fronte, da Ortona a Gaeta, avendo, ed anche per un lungo e freddo periodo, dirette le operazioni militari dal territorio capracottese e quello di San Pietro Avellana, ove nelle gelide ed intramontabili notti, il sonno lo stendeva al forzato riposo, in una delle cappelle cimiteriali, a destra dell'entrata, nel montuoso e nascosto camposanto del paese e che nella primavera 1944 a Roccasicura gettò le basi per la costituzione della 111ª Kompani Ochrony Mostòw, istruita dai polacchi come Commando e che successivamente liberò Pesaro ed Ancona; fra gli arruolati vi furono anche tre capracottesi: Caporicci Giulio, classe 1924; Di Tanna Luigi, classe 1913, Croce al merito di Guerra (A.O.I.); Di Luozzo Diodato, classe 1925.
Quest'ultimo, con alcuni forlivesi si arruolò da Forli, ove già risiedeva da profugo, dopo lo sfollamento, si arruolarono anche altri giovani volontari dei paesi limitrofi, tra questi Carmine Pecorelli detto Mino, di Sessano del Molise, allora giovanissimo ed intraprendente e poi passato alla storia con la sua documentata rivista "OP" e successivamente alle misteriose cronache degli anni di piombo, Mino Pecorelli dopo essere stato promosso Lance Corporal, sarà insignito della Bronze Cross of Merit with Swords (Croce di Bronzo con Spade) dal Comandante in capo del II Corpo polacco, generale Władysław Anders in persona.
Dopo Pesaro ed Ancona la Compagnia si scompose ed il piccolo reparto italiano, quasi tutti molisani, sempre secondo i documenti polacchi, sarebbe poi passato alle dipendenze della Brigata Maiella del Magg. Ettore Troilo, che nel frattempo della Liberazione fu anche nominato Prefetto di Milano.
Fu in quest'altomolisano e sofferente scenario di guerra, che i tormentati e angosciati figli di Capracotta e di San Pietro Avellana, che furono accolti a braccia aperte, ed i forlivesi di allora, dico di allora, veramente, aprirono immensamente i loro cuori, tanto è vero, che in parecchi vi rimasero sposandosi, altri per sempre con le loro famiglie, in effetti, l'attuale sindaco, che tutti stimiamo e vogliamo bene, c'è nato e cresciuto a Forli, ma i suoi genitori furono Luciano Sozio e sua madre dal cognome Monaco, puri capracottesi, ubicati nella casa, che sorgeva sul luogo, ove nell'appena dopo guerra, venne, a titolo di silenzio, costruito l'attuale ufficio postale di Capracotta. La buonanima di Luciano ne soffrì molto, quando tornando al suo paese natio, ove la stressante nostalgia lo richiamava, non ritrovò le sue pietre, anche se macerie, ma che in ogni caso lui voleva riprendere e ricostruire.
Teodorico Lilli
Fonte: T. Lilli, Perché da un forlivese un canto per Capracotta?, in «Voria», IV:1, Capracotta, luglio 2010.