È fuor di dubbio che la "Pezzata", tra le pietanze capracottesi, è quella che più delle altre (voccarùsce 'mpanìcce, pane cuótte, sagne lèvete, sagn'e mìccule etc.) conserva la storia, la tradizione e la cultura del nostro territorio.
Capracotta, paese dalle origini pastorali, aveva (oggi un po' meno!) fatto della pecora una vera e propria industria armentizia. Basti pensare che solo la confraternita appartenente alla Madonna di Loreto possedeva agli inizi del secolo scorso circa 16.000 capi di bestiame, la prevalenza dei quali erano pecore. Gran parte della popolazione capracottese era impegnata, in quei tempi, nell'allevamento del redditizio ovino. A settembre inoltrato i nostri Pastori (consentitemi la P maiuscola) ripartivano per "le Puglie" e, unitamente ai loro cari, si ammassavano nei pressi della chiesetta della Madonna di Loreto dove, dopo aver rivolto un'amorevole preghiera alla Vergine Maria affinché li facesse tornare a maggio sani e salvi, si accomiatavano dai loro congiunti piangenti.
«...Partenza dulurosa e vita amara, ma chiù dulurosa è la lundananza!»: così descriveva il rituale triste della partenza il nostro poeta Oreste Conti; d'altronde era noto il detto popolare: "chi vò purtà 'l pecra alla Puglia, ce vò re delore de la propria cuglia".
Il viaggio lungo il tratturo poteva durare anche dieci giorni e non era raro che durante il tragitto qualche pecora si ammalasse o subisse qualche trauma per le asperità di alcuni tratti del percorso. A questo punto si rendeva necessario il recupero e il consumo della bestia (con buona fame dei pastori!). È proprio qui, dalle vicende della traversata dei tratturi, secondo quanto tramandatoci dall'esperienza dei pastori, che nasce la Pezzata. In pratica, i nostri Pastori, facendo di necessità virtù, depezzavano la carne, la deponevano in grossi paioli (caccavo) solitamente utilizzati per fare il formaggio, con l'acqua che necessita e con pochi ed essenziali condimenti, la cuocevano a fuoco lento. La qualità dei pascoli con la varietà di erbe presenti garantiva e garantisce tutt'oggi alla carne di pecora aromi e profumi particolari, tali da renderla una pietanza prelibata.
Una delle curiosità della Pezzata è rappresentata dalla particolarità della sua cottura: rigorosamente lenta. Basti pensare che alcuni Pastori ricorrevano all'uso del maramitte (un particolare paiolo con coperchio a chiusura quasi ermetica) così da far cuocere a vapore la carne, anticipando, di fatto, il metodo di cottura della moderna pentola a pressione.
Giuseppe Bandi, giovane ufficiale disertore della marina austriaca, arruolatosi volontario nell'impresa dei Mille con a capo Garibaldi, divenendone luogotenente, narra che, giunti a Marsala, il Generale, notando un vasto campo di fave, ebbe ad esclamare:
– Oh, oh, con tutti questi baccelli da mangiare ne potremo far di guerre!
«Garibaldi, quasi sessantenne, probabilmente parlava per sé, ma noialtri, giovani poco più che ventenni – commentava tra sé il Bandi – altro che di fave avremo bisogno per sfamarci! Fortunatamente – aggiunge – in serata furono requisite una quindicina di pecore che, cotte alla meglio in grossi pentoloni, ci garantirono la forza necessaria per sconfiggere i Borboni a Calatafimi». Da qui potremmo dire, con orgoglio, che la Pezzata ha contribuito all'Unità d'Italia.
C'è infine da dire che Pastori intransigenti solevano ripetere che la Pezzata doveva essere rigorosamente "nazionale", ovvero contenere come condimento il verde (sedano), il bianco (cipolla) e il rosso (pomodoro).
Quindi, possiamo concludere che la Pezzata è pietanza patriottica e... allora buon appetito e "chi di Pezzata muore, vissuto è assai".
Pasquale Paglione
Fonte: P. Paglione, La Pezzata: la ricetta, fatti, aneddoti e... curiosità!, in «Voria», I:1, Capracotta, luglio 2007.