Il quartiere di San Giovanni, oltre alla fontana destinata all'utilizzo domestico d'acqua situata nei pressi dell'omonima chiesa, tanti anni fa contava un'altra fonte, atta a soddisfare la richiesta d'abbeveraggio degli animali. Era questa adiacente al fabbricato della famiglia di Berardino Carnevale, col negozio di lana B&B, e che, in virtù del nomignolo familiare, divenne il cosiddetto pilone di Trasciòtta.
A quel tempo non vi era l'acqua corrente nelle abitazioni, perciò si usavano come contenitori le tine di rame per l'uso domestico e le conche, sempre in rame, per l'abbeveraggio, riempite alla meno peggio con l'acqua del pilone che ininterrottamente appagava quotidianiamente ogni richiesta.
Quando giro a piedi nel rione sangiovannaro tornano a galla i ricordi della mia fanciullezza e una parte del cervello sembra diventare una cineteca nella quale sono racchiusi gli odori e i rumori d'un tempo e che posso percepire inspirando profondamente e chiudendo per un istante gli occhi. In quel preciso istante, in perfetta sintonia e con invidiabile sincronismo, scorrono nella mia mente le immagini di allora.
Gli odori stallatici presenti in qualche fattoria spediscono il mio corpo evanescente al piano terra dei fabbricati, dove la maggior parte delle persone sopperiva alla mancanza dei termosifoni col calore sprigionato dalle mucche, o il loro alito che veniva usato come aerosol terapeutico contro la pertosse, oppure la stalla che veniva usata nel lungo e freddo periodo invernale come bagno padronale.
Annusando l'odore del pane appena sfornato da qualche panificio i ricordi tornano a librarsi nel cervello e mi conducono nel forno di Pasqualino Di Tella (re Furnàre) che, in qualsiasi periodo dell'anno, mi accoglieva col calore del suo forno a legna e che immancabilmente si finiva con lo spuntino delle 2 di notte: questa era infatti l'ora in cui lui si destava e noi rincasavamo.
Lo sferragliare degli attrezzi di lavoro portano la mia mente a Giovanni Casciero e a suo padre, intenti a ferrare muli, cavalli e asini, e dando il nome allo spiazzo de re Ferrieàre, utilizzato dai ragazzi anche per giocare con un rudimentale pallone. Il rumore metallico dei cuscinetti a sfera logori mi porta invece verso Emilio De Renzis (Ciccióne) che ce li forniva per la costruzione delle carrozze di legno costruite a mano.
Con queste elementari autovetture ecologiche "a impatto zero", con l'incoscienza tipica dell'età e l'adrenalina a mille, si partiva dal serbatoio comunale, quindi si scendeva per la calata delle Croci e, dopo aver abbordato la curva che tante volte ci ha visti sanguinanti e coi vestiti lacerati, si infilava la discesa di Criŝtenèlla dove in fondo la folle corsa, lunga circa 440 metri, si arrestava.
La vita quotidiana scorreva lenta, dettata dalle cadenze stagionali di neve, vento, acqua e sole, sempre attorno al pilone, che quasi imperiosamente faceva notare che lì dove c'è acqua, c'è vita. Il quartiere, con i suoi 400 abitanti, poteva essere paragonato a un uovo che non subiva influenze o condizionamenti esterni, finché non lo si rompeva, lasciando fuoriuscire il suo contenuto: la vita.
Adesso il Rione S. Giovanni sembra il guscio di quell'uovo, ma al di sotto della sua membrana interna protettiva vi è ancora una grande carica di vitalità e di resilienza, e forse sarebbe il caso di riavvolgere una parte di quella pellicola per veder ripristinato il pilone di Trasciòtta e... vedere l'effetto che fa!
Filippo Di Tella