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Polvere di cantoria: l'organo dei bidoni


Il cosiddetto "organo dei bidoni" di Rimini.

E aggiungi ancora un po' d'amore a chi non sa che farne.

[L. Battisti, 1971]


Questa volta la "polvere di cantoria" va in un campo di prigionia...

Il sentire di una comunità e lo spirito liturgico di una nazione si è sempre tradotto nella varietà degli organi realizzati nelle relative chiese e cattedrali.

Il cattolicesimo concepì il canto e la musica come qualcosa di verticale e di trascendente: sulla deriva dettata dal gregoriano, soltanto il coro poteva cantare con gli strumenti che erano di rincalzo. Di conseguenza gli organi rimasero di dimensioni relativamente ridotte, anche negli strumenti più grandi.

Diversamente, la Chiesa riformata, in una concezione trasversale, dichiarò il canto e la musica come costituenti della Liturgia della Parola stessa: l'assemblea doveva cantare e così nacquero gli splendidi corali della Riforma coi relativi preludi, che gli organisti intonavano per segnalare cosa si cantasse in quel giorno, visto che l'assemblea conosceva a memoria le parole ed i motivi, belli ma semplici.

Questo fece sì che gli organi della Chiesa riformata, a differenza di quello che avvenne nella Chiesa romana, assumessero dimensioni poderose e diventassero simboli unificanti delle comunità locali e vanto dei fedeli.

Una concezione rimasta fino ai nostri giorni: se per i luterani l'organo è strumento di preghiera, in altri ambiti, purtroppo, è un accessorio per semplici colonne sonore delle funzioni e perfettamente sostituibile con chitarre, tastiere elettroniche e quant'altro. Da qui anche l'introduzione di melodie profane e poco adatte se non orribili. La locuzione "animare la liturgia" dimostra, a mio avviso - e parlo in termini filosofici e non religiosi - uno scadimento della liturgia: l'anima della funzione sacra è la Divinità stessa. Se una funzione deve essere animata forse deve prima essere "rianimata" l'importanza della liturgia tra fedeli, alcuni sacerdoti e anche svariati vescovi!

Mi ritengo un privilegiato: la cattedrale in cui svolgo il mio incarico tiene molto in considerazione l'importanza di una corretta musica liturgica e della scelta dei brani.

Tutto questo prologo era necessario per raccontarvi come una necessità di preghiera comune ancora più intensa si sia concretizzata nell'"organo dei bidoni".

Nel 1945, tra Rimini e Cervia, venne realizzato un enorme campo di prigionia ad opera delle truppe alleate: il più grande sul suolo italiano e poteva ospitare fino a 150.000 persone, tanto che si calcola che nei due anni di attività ne transitarono almeno 300.000. Erano detenuti perlopiù prigionieri tedeschi, quindi probabilmente luterani, anche se il campo fu comunque multietnico. Loro stessi lo chiamarono Enklave Rimini. Vi sorsero orchestre, giornali, ospedali, cinema, teatri e una università di 60 docenti, chiamati appositamente dalla Germania.

Tra i prigionieri si sentì la necessità di rendere più sentita la preghiera domenicale e quotidiana tramite la realizzazione di un organo a canne.

L'idea fu del sottufficiale Eusebius Schäbung, organista, e dell'organaro Werner Renkewitz. Vi collaborarono architetti, ingegneri, falegnami e semplici operai. La latta dei bidoni servì a costruire le canne metalliche e le ance mentre tutto il legno disponibile fu usato per il somiere, la cassa, i tasti e le canne lignee. Il fil di ferro per le catenacciature mentre il cuoio dei gambali per i giunti e le guarnizioni dei ventilabri.

Le portelle di chiusura sulla facciata furono decorate dal pittore Peter Recker, selezionato dopo un concorso tra i prigionieri, con due angeli in un giardino intenti a suonare un liuto ed un violino. Il sacerdote del campo portava da fuori tutto ciò che nel campo non era disponibile.

Venne così alla luce uno strumento di 502 canne, con tastiera e pedaliera con la seguente disposizione fonica:

  • Manuale: prinzipal 8' - gedackt 8' - octav 4' - flöte 4' - nasat 3' - superoctav 2' - terz 1 3/5' - mixtur 3 fach 1 1/3'.

  • Pedaliera: subbass 16' - bordun 8' - nachthorn 4' - posaune 16'.

Una disposizione tipicamente tedesca e la posaune (ancia forte) al pedale ne dimostra il notevole "carattere". Insomma, non era proprio un giocattolino.

Invece che dai mantici, il vento era generato da un sistema idraulico come nell'antica Roma; altre fonti invece parlano di mantici regolamentari.

In tre mesi l'organo fu approntato e il 13 settembre 1945 alle 20:15 (giorno, mese ed ora della nascita di chi scrive!) si udirono le prime note.

Domenica 15 settembre l'organo, battezzato Jubilate, ma ormai chiamato "organo dei bidoni" od "organo di latta", sostenne il canto di 1.000 coristi durante la messa a cui era presente persino il vescovo di Rimini.

Nella notte di Natale del '45 risuonarono i corali "Kommet, ihr Hirten" (Venite, pastori) e "Nun soll es werden Friede auf Erden" (Ora ci sarà pace sulla Terra).

Sistemato in un capannone diventato chiesa e poi anche auditorium, la Deutschlandhalle, suonava alle funzioni del mattino e della sera.

Al di sopra della consolle a finestra campeggiava la scritta: «Chi sarà mai che un domani, che noi saremo già lontani, su questi tasti poserá le mani, un brivido avvertirà e religiosamente rifletterà sui prigionieri e sul buio durato tanti anni».

Con la Pentecoste del 1947 l'organo fu donato alla curia di Rimini per essere montato in una apposita cantoria della chiesa allora facente funzioni di duomo. Messo provvisoriamente in un magazzino, si racconta come venisse comunque azionato durante le notti di Natale per invocare la pace nel mondo. Questo fino al 1964, quando un incendio lo distrusse in buona parte.

Siamo sicuri che avrebbe fatto questa triste fine qualora fosse stato portato in Germania? A voi la risposta. Mi accorgo però che un sorrisetto sardonico è comparso sul mio viso nello scrivere queste considerazioni.

Su un sito web tedesco dedicato esclusivamente allo strumento, viene peraltro riportato il ritrovamento nel 2005 di alcuni suoi resti e, da tempo, si parla di una sua ricostruzione.

Il maestro Daniele Rossi, organista dell'Accademia di S. Cecilia di Roma, ha affermato: «Questa storia fa venire i brividi: l'ingegno umano unitamente alla fede ha reso possibile un'opera al di là della resa ottenuta. Sarebbe bello che qualcuno si prendesse la cura di ricostruirlo soprattutto a memoria di una guerra terribile». E, aggiungo io, per rispetto verso chi ha realizzato questo sogno.


Francesco Di Nardo

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