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Polvere di cantoria: il primo incarico


La tastiera del Principalone (foto: C. Di Bucci).

Il primo incarico sul "Principalone" fu da far rizzare i capelli e non per la difficoltà dei brani ma per le condizioni in cui versava lo strumento.

L'interno della cantoria era disadorno e una vecchissima vernice bianca, che traspariva sotto cumuli di polvere, uniformava pavimento, balaustra e basamento dell'organo. Il legno del calpestio era usurato e sul lato sinistro consumato, fino ad avere dei buchi, dalle scarpe dei "tiramantici" che in quella sede puntavano i piedi per azionare i "polmoni" dello strumento, smantellati in un restauro degli anni '60.

La smania di generazioni di capracottesi di lasciare una traccia del proprio passaggio aveva riempito di firme ogni punto accessibile dell'organo fino a rovinare i preziosi decori in oro.

Un cavo elettrico a "piattina" di pochi millimetri, proveniente da una spina in bachelite marrone attaccata alle prese dell'illuminazione dell'altare maggiore, costituiva l'alimentazione del generatore del "vento". Magari avesse fatto corso lungo pareti ed angoli! La piattina percorreva trasversalmente il piano di calpestio della cantoria malamente inchiodata. Ovvio che ci si camminasse sopra... alla faccia dei cavi autoestinguenti e sotto sigillo previsti in tali situazioni!

Un interruttore a peretta in plastica rosa sul lato sinistro della tastiera non accendeva un abat-jour ma dava corrente al motore che qualcuno chiamava "puleggia".

Più sofisticato il sistema per accendere la luce del leggio: bastava fermare il portalampade di metallo con la mano sinistra e avvitare con la destra la lampadina a goccia che pendeva da un'altra piattina, i cui chiodi ferivano il bordo dorato della consolle a finestra.

I restauri avevano, come già detto, eliminato i tre mantici (due per la messa ordinaria a cui si aggiungeva il terzo per il "plenum" solenne) e montato un elettroventilatore la cui portata era insufficiente per il "forte", in cui la voce dell'organo, dopo un po', calava miseramente.

Nel basamento, aprendo le ante, i mucchi di spazzatura attestavano come lo sporco della cantoria fosse buttato nell'organo per evitare di fare le scale. La voglia di modernizzare aveva portato ad eliminare l'antica tastiera lignea, sicuramente decorata, e la pedaliera, sostituite con una tastiera di plastica da armonium e dei mezzi pedali moderni in legno dozzinale. Due tappi di legno grezzo chiudevano le "luci" alla base delle paraste di facciata, dove un tempo garrivano le "uccelliere".

Sua maestà il tarlo regnava sui pregiati legni delle decorazioni e i sobbalzi del pavimento, se si camminava in maniera troppo disinvolta, creavano non pochi timori di ritrovarsi sdraiati sul pavimento del presbiterio.

Moderne canne di "viola" avevano preso il posto delle file più acute del "ripieno", sbalestrando la fonica e il corretto flusso del vento.

La stessa "catenacciatura", cioè tutti i tiranti tra tastiera e valvole delle canne (ventilabri), era stata modernizzata con filo di ferro in ossidazione al posto di rame ottonato.

La meccanica delle canne di contrabbasso era stata modificata con un farraginoso sistema a leve e contrappesi, utili solo per indurire il "tocco". Le canne di facciata corrose e bucate dall'acido grasso delle cordicelle di fermo usate al posto dei più costosi ma sicuri nastri di seta. Tocco finale: i calcinacci nelle canne di contrabbasso e le perdite dai "portavento" realizzati a cap...

Iniziava così un calvario di venti anni per concretizzare un serio e filologico restauro... ma questa è un'altra storia... mentre la "polvere di cantoria" mi cominciava ad entrare nel sangue...


Francesco Di Nardo

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