Mercoledì 17 agosto 2005: sembrava un pomeriggio come tanti e invece...
L'appuntamento era fissato per le 15:00 davanti al ristorante "La Traversa" e il piano prevedeva di guadagnare in mountain-bike la vetta di Monte Campo. La comitiva comprendeva, oltre al sottoscritto, Achille Conti d'Angelìtte, Gianpiero Di Rienzo de Martìne e Valerio Patete Trasciòtta. Ero quello che proveniva dal punto più lontano, per cui sarei passato via via a chiamare gli altri. Giunto annieànd'a re viécchie fùrne de ze Pasqualìne, vidi uscire Valerio, che abitava in via della Repubblica, poi scendere Achille in via Pescara, in lontananza ecco arrivare anche Gianpiero dalla fontana di San Giovanni.
Non facemmo in tempo a salutarci che ze Brièle, affacciatosi alla porta dell'ex negozio di alimentari, i chiamàtte da sótte.
– Uagliù, menéte a fàrve na 'óccia.
Accampammo qualche scusa pur di non entrare perché eravamo reduci da un Ferragosto bellicoso, alcolicamente parlando, una di quelle scampagnate che ricorderai per tutta la vita: la gita in bicicletta era un alibi più che una reale esigenza. Tuttavia non ci avrebbe nuociuto fare un po' di sport dopo un Ferragosto del genere!
– Nóne, ze Briè, éma ì a re Cuàmbe – rispondemmo.
– Via ména, ve facéte na ŝtizza e puó partéte – controbatté il Barbiere.
Se una persona più grande di te ti invita a far qualcosa non puoi rifiutare: è una legge scritta nel marmo. È come quando giocavi a calcetto al campo sportivo e arrivavano quelli più grandi. La tua partita finiva, cominciava la loro.
È la legge della foresta, quella che ci ha reso ciò che siamo oggi.
Fatto sta che, con molto imbarazzo e un po' scocciati, entrammo nel negozio di zia Italia e... cazzarola, lì dentro c'erano già parecchie persone, tutte più o meno coetanee di ze Brièle, tutti sangiovannari. Alcuni venivano dall'altro capo del mondo, dal Canada, dalla Francia, ritrovatisi a Capracotta per le vacanze estive. C'era ovviamente zia Italia, e poi c'erano Maria Bidù, Rina de Parìgge, Angelùcce "la Bionda", Pina Trasciòtta, Mario D'Andrea, Aurora e Antonia Sozio, ecc.
Proprio in quel momento si trovò a passare anche mio fratello Alessandro e ovviamente fu invitato anche lui ad entrare. Ci fecero accomodare tutti e lo spettacolo ebbe inizio.
– Ità, pìglia re uallùcce! – gridò alla moglie il padrone di casa.
Re uallùcce era un recipiente a forma di "galluccio" in cui ze Brièle travasava il vino bianco per i pasti. Quel pomeriggio noi amici tracannammo molti gallucci. E altrettanti ne bevve ze Brièle coi suoi compagni tanto che, dopo un'oretta, canti e balli erano all'ordine del giorno. Non esisteva più alcuna differenza anagrafica, tutti ballavano con tutti, il Barbiere intonava ariette popolari mentre uno stereo sgangherato suonava tutt'altre canzoni.
La confusione e i fumi dell'alcol erano tali che nemmeno ci accorgemmo dell'arrivo di Ciccìlle, giunto lì per mangiare. Zia Italia, infatti, si occupava anche dell'inseparabile amico di suo marito, che lavorava all'ufficio di collocamento di Isernia e viveva da solo in via San Giovanni.
Ricordo che dopo aver mangiato con gusto la pastasciutta, zia Italia gli servì un piatto di carne arrosto e insalata, al che Fiorenzo chiese:
– Ità, dàmme l'acìte ca l'aja ŝturdì s'arruŝte!
Il padrone di casa, a proprio agio quando si trattava di calcare la scena, cantò per intero due canzoni lunghissime e piene di veloci scioglilingua. La prima era "La zita", quella di «che si mangiò la zita la prima sera...». Della seconda ricordo invece che ogni strofa aumentava di lunghezza, per cui cominciava con «mi incappellai», poi «mi incappellai, mi ingiacchettai», quindi «mi incappellai, mi ingiacchettai, mi incravattai» e via dicendo fino all'infinito, con ze Brièle che, al termine della maratona canora, z'abballàtte ne biéglie beccheróne de vìne.
Eravamo entrati in quel locale alle tre di pomeriggio, ne uscimmo alle otto di sera. La gita a Monte Campo era presto andata a farsi friggere e lo sforzo che avremmo dovuto sopportare per pedalare tanti chilometri in salita era stato sostituito dalla lunghissima zulla con ze Brièle, a suo modo faticosa anch'essa.
Faticosa e indimenticabile.
Francesco Mendozzi