«Come diceva Aristo... Momento: chi viene prima, Aristotele o Platone? Che dite? Platone prima e Aristotele dopo? Ah, ecco... No? Prima Aristotele? Chi viene dopo? Plato'? Vabbe', da vecchio professore di filosofia vorrei...». Era il novembre del '93: al popolo democristiano sgomento per la catastrofe elettorale delle comunali che avrebbe aperto la strada al disfacimento, appariva improvvisamente, schiantandosi sulle citazioni, Clemente Mastella, lo statista di Ceppaloni: «Voglio offrire una speranza: alla segreteria della Dc mi candido io».
Macché: risatine. Sbuffi. Bocche aperte per lo sbalordimento come alla vista di un musso volante: questa poi! Sempre così. Come fosse destinato a restare per l'eternità un seminarista interdetto alla casula e al piviale. Anche quando, tredici anni dopo quella strepitosa autocandidatura plato-aristotelica alla leadership, l'hanno fatto Guardasigilli: questa poi! È rimasto sorpreso lui pure, stavolta: «Non me l'aspettavo». Nel cesto del governo aveva messo gli occhi su un frutto meno grosso: «Ho chiesto la Difesa e non transigo». E come i radicali gli risposero che quella giusta era invece la Bonino che «è stata in Afghanistan, a Nassiriya e in Darfur più di quanto Mastella sia stato a Ceppaloni» risposte stizzito: «Ho l'esperienza giusta per questo incarico». E guai se gli avessero offerto l'Istruzione! «Non ci provassero, si beccano l'appoggio esterno». Così, siccome la Difesa proprio non gliela volevano dare, gli hanno rifilato la prestigiosa rogna che nessuno si voleva pigliare: il ministero di via Arenula. Prodi assicurò: «Vedrete, sarà una bella sorpresa».
Non sapeva niente di giustizia? Eeeh! Avrebbe imparato. Del resto, è sempre stato l'intellettuale della famiglia. Lo ha spiegato in una mitica intervista a Flora Lepore di "Chi": «Mi ricordo che quando ero bambino e si ammazzava il maiale ognuno a casa, papà, mamma, i cugini, aveva il proprio compito prestabilito. Fra i miei io ero "l'intellettuale". E così alla fine tutti si chiedevano: e Clemente che fa? "La coda!" e mi davano il compito di tenere alzata la coda del maiale. Una cosa a rischio per via degli ultimi spruzzi della povera bestia...». Ne è mai rimasto vittima? «Eeeh!». Figuratevi dunque se può impressionarlo qualche schizzetto giudiziario.
La verità è che questa diffidenza che sente intorno, difficile da rimuovere nonostante il consenso ai suoi primi atti da Guardasigilli, è colpa di quell'immagine da guaglione che si trascina da decenni. Cioè da quando De Mita, che allora descriveva come «un padre paziente e geniale», lo portò dai monti di Benevento a Roma, facendolo deputato, nominandolo giovanissimo responsabile dei rapporti con la stampa, in grado di influire sulle nomine dei direttori Rai. Un'immagine che Clemente non è riuscito mai a togliersi completamente di dosso. Neppure mettendosi in proprio come fece il giorno in cui, per dare vita all'Udr con Francesco Cossiga, ruppe con "Pier" Casini, il Cip con cui faceva coppia fissa nella parte di Ciop.
È vero che si trattò, in termini elettorali, della scissione di una molecola. Ma sul piano degli affetti fu una rottura epocale come quella tra Bibì e Bibò, Palla e Pertica, Pippo e Pluto, Lucky Luke e Ran Tan Plan, il cane sceriffo più stupido del West. Solo un anno prima, Ciop aveva detto: «Noi in polemica? Macché: siamo così amici che io potrei chiamarmi Pierferdinando Mastella e lui Clemente Casini». Oppure, con un travaso dal gerundio al participio, Pierferdinante Casini e Clemando Mastella. Uniti e sorridenti come i gemelli siamesi Eng e Chang, che pur essendo appiccicati al torace si sposarono con due sorelle e ci fecero insieme tante ammucchiate (caste) da avere in tutto 22 figli.
Indissolubili, parevano. Insieme avevano fondato il Ccd, insieme organizzavano gli incontri di settembre a Telese, insieme si erano installati dopo la vittoria del '94, col tovagliolo al collo a colazione, pranzo e cena, a casa di Berlusconi, da dove uscivano, scrisse Michele Serra, «satolli come colombe ripiene e pronti, ancora con lo stuzzicadenti in bocca, a cercare giornalisti amici ai quali parlar male del padrone di casa».
Quando emerse l'ipotesi d'una frattura, l'angoscioso interrogativo sommatosi ad altre domande di fine millennio (chi sarà il prossimo papa? fin dove avanzerà il Sahara? quanto pioverà ancora col Niño?) tolse dunque il sonno agli italiani, Mastella, certo che il Polo fosse finito irrimediabilmente, voleva che il Ccd se ne andasse e si sciogliesse dentro l'Udr, mentre Casini, che pure era stato il primo a parlare del suo schieramento come di un "pollaio delle libertà" (fornendo così a Marco Travaglio il titolo per un libro esilarante), non era convinto della necessità di un passo così traumatico.
Dicono i maligni che in realtà dietro la frattura fra Cip e Ciop, più che il nocciolo di una sofferta scelta politica, ci fosse la spartizione delle noccioline. Tagliati fuori dal governo da tre anni, che per un dc sono un'era geologica, i due erano diventati ogni giorno più insofferenti. Certo è che Clemente, in linea con l'idea che «la politica non può essere testimonianza a oltranza» ma debba incarnarsi nella poltrona (idea comune a quasi tutti ma che lui ha il torto di dire esplicitamente), a un certo punto strappò. Rovesciando addosso all'ex amico, colpevole di aver tradito lui e pure la legittima consorte mettendosi con Azzurra Caltagirone, l'accusa più infamante: «Predica certi valori e poi non tiene insieme la famiglia!». Ciò che proprio gli seccava, ripete ancora oggi, era di aver messo la sua «testa politica» e il suo bagaglio elettorale «al servizio di un leaderino che porta i voti di "io, mammeta e tu"».
E di essere una capoccia, almeno politicamente, il nostro Ciop è convintissimo. Per levatura culturale: «Non vorrei che la piega prendesse una piega di natura ideologica». Profondità intellettuale: «Colombe sì, fessi no». Capacità di analisi: «Mo' vi spiego il maggioritario: c'è un effetto dal lato ludico della gente, che avendo la contrapposizione vuole scegliere da una parte e dall'altra, vuol vedere questo effetto ludico come si gioca, quindi sceglie quello di destra o quello di sinistra». Distacco per il potere: «Berlusconi al governo non mi ci voleva, ma io avevo portato quattro senatori campani. Così gli ho detto: "Silvio, io in 'sta mmierda 'e governo tue non c'ientre. Ma tu 'o governo non lo fai"».
Ogni tanto, quando parla, va in cortocircuito. E si avvita in ragionamenti che, sbobinati, suonano alla lettera così: «La nostra prudenza è determinata dal fatto che noi stessi abbiamo valutato e credo che tutto ci si può dire evidentemente, anche per quello che riguarda gli altri, che abbiamo tanta prudenza anche perché abbiamo visto, sperimentato, attraversato, proseguito in maniera metabolica tanti processi per i quali probabilmente non soltanto la prudenza ma il grado di comparazione rispetto a quello che è accaduto anche agli altri, ci porta non a diffidare, ma a registrare una forma di decelerazione...».
Se lo prendi in giro ti manda biglietti con scritto: «Sei inutilmente stronzo». Dieci minuti dopo però piò darti una manata sulla spalla e invitarti a bere un caffè. E anche i suoi peggiori nemici devono dargli atto che, a differenza di tante insopportabili chiocce vanesie e permalose e vendicative del Polo e dell'Ulivo, non è tipo da portare rancore. Di più: nella sfrontatezza con cui parla di poltrone, potere, raccomandazioni («Un peccato veniale. Diciamo la verità: per decenni sono state il modo per riequilibrare le ingiustizie sociali»), ministeri o sottosegretariati, c'è un candore che fa di lui un politico più onesto e trasparente di tanti altri.
Sandra, la bellissima mugliera, dice che è «il più grande statista del mondo». Lui, grato, provò nel 2001 a portarsela alla Camera, candidandola nel collegio quasi sannita di Capua-Capodimonte. Lei mise a punto una strategia geniale. Chiosco di verdura: «Buongiorno, sono Sandra Mastella: ma che bei peperoni!». Banco di salumeria: «Buongiorno, sono Sandra Mastella: ma che profumo 'ste salsicce!». Autofficina: «Buongiorno, sono Sandra Mastella: ma che meraviglia questo ponte sollevatore!». Scuola elementare: «Buongiorno, sono Sandra Mastella: ma quanto so' teneri questi disegni dei bambini!». Quando proprio non aveva un chiodo cui aggrappare il suo entusiasmo, si elevava al sublime: «Ma che bella luce c'è qui!».
Il meglio lo dava a tavola, nei ristoranti sparsi per le contrade: «E quant'è bbuona 'a caciottina co 'a pimpinella?». E tutti in coro: «Mmm! Che bbontà!». «E gli strascicati coi pomidoretti?». «Mmm! Che bbontà!». «E 'a pezzata di Capracotta coi pezzi di pecora e la cipolla, le patate, l'alloro e gli odori cotti insieme lentamente lentamente finché diventa una specie di purè?». «Mmm! Che bbontà!». E spiegava di voler recuperare, oltre al voto degli indecisi, le ricotte e la pasta sfoglia, le salsicce matesine e il pecorino con le erbette e tutti quei sapori che stanno tra la vecchia dispensa infarinata di zi' Teresa e la filosofia patinata dello Slow Food.
Perché Alessandrina («Così mi chiamo: il segretario comunale era fissato coi diminutivi e le neonate erano registrate tutte così: Franceschina, Carmelina, Assuntina...») quando ha davanti un piatto non mangia: decolla in estasi mistica. Si strugge per i garganelli al basilico, si commuove per gli stringozzi col cinghiale, si scioglie per le mozzarelle nelle anfore di creta, si sente battere il cuore a sorseggiare il Pallagrello «che fu cantato già da Tito Livio e al Vinitaly è stato premiato». Ed è tutta un palpito, un sospiro, uno schiocco di lingua: «Mi voglio battere perché queste nostre cose buonissime, come i torroncini di San Marco dei Cavoti, che infatti hanno ribattezzato "mastellini", abbiano ciò che meritano. La Toscana non vive pure sul pecorino di Pienza?».
Per una vita, ha raccontato, l'hanno chiamata «l'Onorevola, con la a finale» solo per proprietà transitiva. Lei badava, spiegò a Camillo Langone del Giornale, alle adunate elettorali: «A mio marito per i 25 anni di matrimonio non ho chiesto l'anello col brillante, ma una cucina da ristorante, professionale, per poter organizzare grandi cene dove tutto viene fatto in casa, anche il pane». Lei si faceva carico di precisare com'è la leggendaria piscina della villa ceppalonica: «Non somiglia assolutamente a una cozza. È a forma di conchiglia di san Giacomo o capasanta». Lei ricostruiva la sua storia d'amore con Clemente: «Fu in chiesa una notte di Natale. Io recitavo nel presepe vivente con le altre Figlie di Maria e lui, avendo una bella voce, cantava "Adeste fidelis"». Lei coltivava il collegio elettorale: «È Sandra che tiene per me i contatti con la gente comune. Da lei capisco quello che pensa. Va a comunioni e matrimoni. Cinquanta regali solo in giugno. Ci vorrebbe un'indennità supplementare per i deputati del Sud».
Lei si assunse il compito in un'intervista a Giancarlo Perna, con un coraggio che le va riconosciuto, di troncare pubblicamente le chiacchiere su quel birbante del marito: «Una sera ricevetti proprio qui, a Ceppaloni, una telefonata. Era anonima, ma so chi fu. "Clemente vive a Roma con una donna". Mi precipitai in auto e alle 2 di notte ero alla porta di casa nostra sul lungotevere Flaminio. Sentivo la tv accesa. "E ora che faccio? Se è solo, passo per pezza. Se c'è una donna, si sfascia tutto, matrimonio e famiglia". Stetti lì dieci minuti, poi me ne andai, senza voler sapere. "Di' un po' Clemente, ma la tenevi la donna in casa?". "Ehhh..."».
Va da sé che una donna così non poteva che crescere. Le tappe le racconta lei stessa nel suo sito internet, dove spiega che «accanto a Clemente, cresce l'amore per la politica e si approfondiscono i sentimenti di solidarietà verso il prossimo»; la presidenza del CdA del Comitato provinciale della Croce rossa di Benevento, la poltrona di commissario straordinario della Croce rossa campana, la presidenza del X Centro mobilitazione Campania, Molise e Calabria, il ruolo ambitissimo di amministratore dell'azienda di cura, soggiorno e turismo di Capri. Fino alla candidatura alle regionali e alla nomina a presidente del consiglio campano. Era il 24 maggio 2005, martedì: «Per gustare l'happy end, tuttavia» scrisse sul Corriere Enzo D'Errico, «bisognerà pazientare fino a sabato, quando il sindaco di Ceppaloni (sempre lui, Clemente Mastella) accoglierà in comune il nuovo presidente del consiglio regionale (sempre lei, Sandra Lonardo) impegnato nella sua prima trasferta ufficiale».
«Embe'? Anche Hillary Clinton è la moglie dell'ex presidente americano e mica qualcuno avanza dubbi sul suo talento politico» sbuffò davanti a qualche sorrisetto. Tutto guadagnato. Per questo lei è contraria alle quote per garantire l'accesso delle donne in politica. Sciocchezze: «Non è con le quote che si risolve il problema. Insomma, io ce l'ho fatta. Sono presidente di un'assemblea regionale. E nella mia vita devo tutto a due persone: mio marito, Clemente Mastella, e il mio presidente di Regione, Antonio Bassolino. Mastella poi è da sempre per le donne, quando c'è la possibilità lui le mette sempre». Oddio, è vero che su 17 deputati e senatori eletti il 9 aprile del 2006 di donne nell'Udeur ce n'è solo una. Ma so' sottigliezze.
Ogni tanto qualcuno le fa la domanda di sempre: che ci ha trovato una donna così bella, elegante, sofisticata, newyorkese cresciuta a Long Island, in Mastella? Butta indietro i capelli come negli spot degli shampoo («Cosa mi pesa della presidenza? Be', mi manca andare dal parrucchiere, oramai lo devo far venire a casa») e risponde come Jessica Rabbit parlando del suo coniglio Roger: «Mi fa ridere. Clemente è molto simpatico. Ha una dialettica meravigliosa. È affettuoso. Telefona venti volte al giorno ed è capace di uscire da un consiglio dei ministri per chiamarti se sa che sei sola. E poi era bellissimo».
Per amor suo, ha raccontato Aldo Cazzullo, arrivò al matrimonio come succedeva una volta, senza aver mai fatto con lui nepure una gita con pernottamento fuori casa: «Clemente mi ha avuta illibbbata». Da quel momento, ogni volta che incontra il cronista depositario della confidenza, gli sbatte gli occhioni belli e si lagna: «'Nzomma! Questa storia dell'illibbbata! Me la ritrovo continuamente dappertutto!». Cazzullo, carogna, l'ha invitata a mandare una lettera di smentita. Mai spedita, mai arrivata. Come mai è arrivata la rettifica alla confidenza sulla canzone che marcò il lolo amore. Una canzone bellissima che in qualche modo, giacché la politica è anche distribuzione di poltrone, era premonitrice: "A chi"?
Gian Antonio Stella
Fonte: G. A. Stella, Avanti popolo. Figure e figuri del nuovo potere italiano, Rizzoli, Milano 2006.