È stato detto dalla radio che ottanta carbonai sono restati bloccati in un bosco nei pressi di Carovilli (Molise) a causa delle eccezionali nevicate, e che per essi, tormentati spesso da bufere di inaudita violenza, si son dovuti approntare soccorsi d'urgenza: un fatto sempice di cronaca anche se ricolmo di significato umano e sociale, anche se sta lì nudo e crudo, a dimostrazione di un dramma collettivo che quassù, nell'Alto Molise, si ripete spesso, da sempre, senza che esso sia mai stato di insegnamento ad alcuno.
Perciò siamo andati a discutere dei carbonai, di questa gente veramente povera e veramente laboriosa che sa tanto essere felice nell'evidente disagio e nella costante rinunzia, con Cicciotto e Francesco "Passarella" che dei carbonai conoscono vita e miracoli.
La conversazione con questi nostri buoni amici si rende subito interessante. Cicciotto ha l'abilità di porci immediatamente nell'ambiente dei carbonai. Una comunità come tante altre: uomini, donne, vecchi, bambini; e tante capanne nel bosco, e fra queste alcune galline, delle capre, qualche maialetto. In ogni capanna una famiglia di carbonai. A volte la comunità è data da 40, da 50 e anche da 60 famiglie.
Questa capanna è del "Caporale". Il Caporale è il capo dei carbonai. Ma non è un capo dispotico. Ha le funzioni del pater familias dei carbonai. Ed è il Caporale perché di tutti è il più esperto. E l'esperienza, si sa, il più delle volte è madre generosa di saggezza. Naturalmente la moglie del Caporale dei carobnai è "la Caporale" dei carbonai.
Abbiamo già scritto che questa è la capanna del Caporale: è graziosa, anche civettuola, pur se fatta solo di tronchi, di rami, di creta e di foglie. È lunga tre metri e mzzo, è alta tre ed è larga un metro e cinquanta. La facciata principale ha la porta proprio al centro ed è fatta di tronchetti uniti l'uno all'altro nella misura più o meno giusta e con ordine approssimativo. La porta è aperta e noi entriamo nella capanna del Caporale. Nel bel mezzo vi è la focagna che serve a scaldare e a cucinare. Verso le pareti laterali, distesi su vecchie tavole, a destra e a sinistra della focagna vi sono dei pagliericci, due di qua e tre di là. Questa a sinistra sono del Caporale e della Caporale, quelli di destra sono dei loro tre figlioli. Dietro la focagna c'è una specie di pollaio con alcune galline. Dietro al pollaio sta una rustica credenza: vi si notano dei piatti, una bottiglia, qualche tazza, alcuni bicchieri. In alto, sulla credenza, proprio al centro, sta un vecchio orologio a sveglia. Di qua e di là per la capanna, appesi al soffitto, alcuni filari di peperoncini secchi, e qualche scerta di cipolle. Nell'insieme c'è dell'ordine.
Tutte le altre capanne son fatte così.
Messe lì, nel fitto bosco, danno l'idea all'osservatore che passa di un pittoresco villaggio di antica tribù.
Vorremmo trattare della vita in genere di questa povera gente, ma verremmo meno allo scopo di questo nostro articolo scritto per "La Vita dell'ONMI" che è quello di riferire come oggi (ed è un progresso rispetto a ieri) la moglie di un carbonaio dà alla luce un bambolotto che molto probabilmente sarà un carbonaio. È questo un momento senz'altro importante anche lì, in mezzo al bosco, tra i carbonai. Bisogna però precisare che questa importanza dura poco, poche ore, perché tutto finisce lì, nel parto. Ma sono poche ore di intensa emozione perché tutta la comunità le vive con grande passione.
Corre Filomena a chiamare Concetta la Caporale: Maria Fraccalira si lamenta, si lamenta assai perché i dolori son forti. E la Caporale interrompe immediatamente la sua occupazione e va a passo agile verso la capanna di Maria Fraccalira, seguita da Filomena che sembra alquanto emozionata. Concetta dimostra dignità ed orgoglio: evidentemente è consapevole della grande responabilità che è solo sua. Passano le due donne davanti alla catozza attorno alla quale lavorano alcuni uomini vestiti di rattoppi e bradelli, neri come il loro carbone, che cercano di mascherare il loro turbamento derivante dai lamenti di Maria che giungono sin lì, alla catozza, con una nota caratteristica canzone: "Amore mio ti voglio arricchire / e come un cane voglio lavorare".
C'è tanta amarezza in questi versi.
Ancora un poco più là un nugolo di frugoletti cantano e giocano. Intanto la nostra Caporale arriva presso la capanna di Maria Fraccalira. Vi trovano quasi tutte le donne della comunità in atteggiamento ansioso. Concetta ordina alle giovani e a qualche ragazzo di allontanarsi e chiama in suo aiuto solo due donne maritate, Carmela Cella e Rosaria Di Filoteo. Dentro la capanna sta già in attesa la Coronaria. Lascia Filomena a guardia della capanna, proprio all'ingresso, perché nessun'altra persona possa entrare.
Ed è qui che comincia l'opera esperta e pietosa della nostra benemerita Caporale. La prima cosa che fa, entro la capanna, è quella di dare a Maria Fraccalira, che pure ha tre figli, fiducia e sollievo con un largo e generoso sorriso e con una adatta buona parola. Poi si lava le mani aiutata da Rosaria che le versa dell'acqua con un vecchio maniero, mentre la Coronaria le appunta dietro, alla gonna, una pesante tovaglia. Quindi si avvicina frettolosa a Maria Fraccalira che si dimena e grida che sta per morire: le doglie infatti si intensificano e sono frequenti. La nostra Caporale scopre, guarda, tocca, sorride e ricopre. Manca poco, ma la Caporale ha lo stesso il tempo di raccontare una storiella allegra, una barzelletta che avrà raccontato diecine di volte, quella stessa barzelletta che aveva sentito raccontare da donna Clorinda, la vecchia levatrice del suo paese, quando lei, Concetta la Caporale, quell'anno ebbe la fortuna di partorire in paese nella casa della sua amica. Ridono. Più di tutte ride la stessa Concetta. Maria pure sorride. Filomena che sta di guardia all'ingresso della capanna, fa capolino e si fa ripetere da Carmela Cella la storiella allegra.
La Caporale, seduta presso il giaciglio di Maria su un rozzo sgabello di faggio, tiene costantemente la mano sotto una sdrucita coperta militare sul ventre della partoriente per sollecitarne le doglie. Maria Fraccalira ha sete, molta sete. Ma Concetta le consente solo qualche sorso di acqua perché teme molto vomito.
– Una volta – racconta – la creatura dentro stava bene. Poi la madre volle bere assai e tutta quest'acqua si mise sullo stomaco. Cominciò subito un vomito violento e la creatura cambiò posizione e prese un atteggiamento irregolare perché si era rivoltata dentro tutta quanta. Si fece in tempo a chiamare il medico perché il paese era a pochi passi dal bosco. Il Dottore – racconta sempre la nostra Caporale – rimise le cose a posto e tutto, grazie a Dio, andò bene. Ma dovette tirare la creatura per i piedi, uno alla volta, e poi venne fuori il corpicino, e poi le braccia, e fu fatica quando si giunse alla testa. Certo, se non ci fosse stato il medico, lei Concetta la Caporale, che ci poteva fare? La creatura sarebbe morta e forse anche la madre. E tutto questo per quell'acqua che la donna aveva bevuto e che aveva provocato quel brutto vomito.
A tanto sentire Maria rifiuta un altro sorso d'acqua e dice che non ha più sete.
Intanto le doglie si succedono con più frequenza e una intensità maggiore. Ed è qui che Concetta alza la logora coperta che ricopre Maria, guarda e si accorge che non c'è tempo da perdere. Ed è pure a questo punto che Rosaria Di Filoteo si accorge delle galline che stanno dietro la focagna e che potrebbero dare fastidio. E nello stesso istante che Concetta, eccitata, quasi sorpresa dal precipitare dell'evento, grida:
– Méne, méne, jècche mó nasce!
Rosaria Di Filoteo, rivolta alle galline, fa:
– Sció, sció, sció – e accompagna il caratteristico verso con le mani.
Le galline, spaurite, si mettono a stramazzare per la capanna. Rosaria le insegue aiutata dalla Coronaria. Maria si lamenta sempre di più. La nostra Caporale è alquanto risentita per questa inopportuna situazione che si è creata nella capanna e, accigliata, invita Carmela Cella a starle vicino. Una gallina, stramazzando, va a sbattere contro la rustica credenza che all'urto traballa. Cade la vecchia sveglia ma fortunatamente non si rompe. A tanto frastuono entra pure Filomena e con Filomena alcune altre donne.
– Jatevénne, jatevénne, – grida la Caporale – jatevénne.
Finalmente le galline, una dopo l'altra, velocemente, prendono la porta volando fuori. Rosaria e la Coronaria, sudate e mortificate, si avvicinano alla partoriente. Rosaria le si pone dietro e la sostiene per le spalle e la testa, Carmela la tiene per le mani, la Coronaria si pone al fianco della Caporale. Maria, gridando, si dimena sul pagliericcio con molta scompostezza. Ma è tenuta stretta validamente dalle sue due amiche. Concetta la rimprovera e le ordina di stare ferma se no «no' nasce».
A questo punto quella sofferente improvvisamente s'arresta, trattiene il respiro, sgrana gli occhi, i muscoli del suo ventre si contraggono fortemente e la sua faccia assume il volto del dolore insostenibile. Quindi ha la forza di rompere le catene della sua tortura con un potente grido duro e rozzo.
Poi si accascia subito serena e sfinita, fra le braccia di Rosaria. Intanto la Caporale, che tempestivamente si era accostata a Maria con molta premura, ha già amorevolmente accolto nel suo grembo capace quel tenero bambolotto. Ha già legato e adesso taglia.
Il primo vagito di Rocco (così si chiamerà per onorare la memoria di uno zio di Maria morto in guerra) è confrontato con la voce robusta e irosa di Angelomaria, il carbonaio padre, quand'ha la nuvola.
La nostra Caporale si allontana dal pagliericcio e si porta dall'altra parte della focagna per il bagno che è fatto in quattro e quattr'otto. Lo asciugano e quindi sistemano Rocco in un grosso panno caldo e poi lo avvolgono in una lunga, spessa, larga fascia variopinta. Ma non è finita l'opera pietosa della nostra Caporale: è il momento degli scongiuri col dito. Per questa cerimonia è chiamata anche Filomena. È sempre Carmela che tiene tra le braccia la creatura. La Coronaria ha già preparato un piatto contenente dell'acqua. Questo piatto è attraversato per due versi da due fili di cotone nero.
È il piatto più importante, perciò poggia sul neonato. In un altro piatto che tiene in mano Filomena vi è dell'olio. Rosaria guarda compunta. Concetta la Caporale invita Filomena ad accostarsi di più col suo piatto d'olio. A questo piatto si avvicina con la bocca quasi a toccarlo e vi fa cadere fiumi di parole incomprensibili. Di tanto in tanto alza la testa e mai gli occhi di Concetta hanno tanto brillato. Quindi poggia il suo pollice nel piatto dell'olio. Si sposta poi sull'altro piatto col pollice alto e steso, mentre le altre dita della mano destra sono tenute chiuse a pugno. Il momento è emozionante perché alcune gocce di olio cadono nel piatto che contiene acqua e fili neri. Subentra un'attesa di pochi secondi, quindi Filomena, Carmela, la Coronaria e anche la nostra brava Caporale gridano di gioia: le gocce d'olio si sono aperte nel piatto dell'acqua e i fili neri si sono mossi: l'annunzio che ogni eventuale malocchio è stato scongiurato e che nella vita sarà fortunato. Concetta prende da Carmela la creatura e si avvicina a Maria che accoglie quel figlioletto tra le sue braccia e nel suo seno con un radioso sorriso.
Ma la nostra Maria ha bisogno di un paio d'ore di riposo perché forse stasera stessa dovrà levarsi da quel pagliericcio per accudire alle solite faccende della sua famiglia e del bosco. Perciò Concetta si avvicina ancora a Maria, riprende Rocco e dicendo, sorridendo: «Dio lo benedica», lo sistema nella piccola culla posta vicino al pagliericcio di Maria e che Maria stessa aveva preparato qualche giorno prima con i rami raccolti nel bosco.
Tutte se ne vanno e la Caporale per ultima. Maria intanto può godere di poche ore di riposo.
Angelomaria, come vede uscire le donne dalla sua capanna, gioioso vi entra per felicitarsi con sua moglie. Ma ne esce subito dopo perché sa che fuori ormai è atteso da tutti quanti nei pressi della catozza per la bevuta. E corre ridendo e saltando, e facendo bella mostra di due grossi fiaschi.
Alla catozza s'arresta. Gli fanno subito festosa corona tutti quanti, anche i ragazzi. E anche per i ragazzi c'è da bere. Pure Cicciotto e Francesco Passarella sono invitati a bere due grossi bicchieri di marsala, e ciò fanno volentieri alla salute del piccolo Rocco.
Il marsala finisce subito, ma si continua col vino fino a notte.
Durante Antonarelli
Fonte: D. Antonarelli, Quando nel bosco nasce il figlio dell'uomo, in «La Vita dell'ONMI», Roma, marzo 1956.