In un bell'articolo pubblicato su Progetto Alchimie, la tarantina Valentina Pellegrino ci dice, fra le altre, due cose. La prima: ci sono donne che amano e conoscono il calcio al punto da capire persino la regola del fuorigioco («Le donne non capiscono nulla di calcio. Almeno quanto gli uomini non capiscono nulla di donne», così la giovane autrice smonta il luogo comune dell'incompatibilità fra gentil sesso e offside). La seconda: ci sono dei tarantini che hanno smesso di andare al campo da quando è morto Iacovone. C'è chi, come suo padre, molti anni dopo ha provato a tornare, rinunciando però per troppa malinconia, e c'è chi invece è rimasto fermo nel suo proposito senza neanche un ripensamento. Senza per questo disinteressarsi del Taranto, ma continuando a tifare "a distanza". A occhio e croce, non devono essere pochi quelli che hanno compiuto questa scelta.
La morte di Erasmo Iacovone è stata la nostra piccola Superga di provincia. Mai - se non appunto nel caso della tragedia del Grande Torino - un club calcistico aveva visto il punto più alto della propria storia stroncato da un imponderabile evento luttuoso. Se poi si aggiunge che i tardi anni '70 rappresentano il picco della Taranto contemporanea anche al di fuori dei campi di gioco - con l'industria che regalava benessere e non aveva ancora svelato il suo lato oscuro - risulta chiaro il fortissimo valore simbolico della scomparsa del centravanti di Capracotta. E si comprende un po' di più l'atteggiamento di chi ha tirato (calcisticamente) i remi in barca, nella convinzione che niente sarebbe più stato come prima.
Ma anche il Torino - club passionale e disgraziato come il nostro Taranto - ha costruito nuovi miti dopo quello di Valentino Mazzola e compagni. Perché allora qui c'è chi è ancora fermo a quella notte del febbraio 1978? Quanto è romantica questa continua negazione del presente, e quanto è invece sintomo di immobilismo mentale? Il perdurante affetto per quel ragazzo dal sorriso buono è una delle cose più nobili e commoventi del tifo tarantino. Ma la memoria di Iacovone va onorata anche guardando avanti, e magari riempiendo un po' di più gli spalti dello stadio che porta il suo nome.
Piccola digressione autobiografica: l'articolo di Valentina Pellegrino è corredato da una stupenda foto in bianco e nero, fornita da Francesco Maggio, in cui si vede Iacovone che stacca di testa in Taranto-Ascoli del 31 dicembre 1977. Sullo sfondo, un muro di teste: gli spettatori che affollavano - allora sì - gli spalti del Salinella. Fra quelle teste, c'era anche la mia. Quel Taranto-Ascoli, sestultima partita giocata da Erasmo Iacovone, fu per me, bambino, la prima volta in uno stadio. Domenica scorsa lo scrittore Francesco Piccolo ha raccontato a "Che tempo che fa" che il gol di Sparwasser con cui la Germania Est batté i "cugini" occidentali nei mondiali del 1974, ha in qualche modo fatto sì che la sua vita prendesse una certa direzione. Io non arrivo a tanto, ma mi piace pensare che questo incrocio di striscio fra il grande mito rossoblù e il mio rapporto con il calcio abbia rappresentato una sorta di benefico imprinting.
Giuliano Pavone
Fonte: http://www.giulianopavone.it/, 7 novembre 2013.