Nacqui a Roma d'autunno, l'8 ottobre 1984, ma per le vacanze natalizie, ovviamente, i miei genitori mi portarono a Capracotta, dove avrei ricevuto il battesimo. L'inverno del 1984-85 fu particolarmente tremendo a Capracotta, e il saggio don Geremia Carugno non poteva permettere che un neonato uscisse con quel tempo per essere portato in chiesa: il mio battesimo venne dunque rinviato a data da destinarsi.
Proprio in quei giorni giunse in paese anche don Alfredo De Renzis che - guarda il caso! - era lo zio della mia madrina. Don Geremia parlò col suo collega e assieme decisero che il primo Sacramento me lo avrebbe dato l'indomani (il 31 dicembre) proprio don Alfredo tra le calde mura domestiche, portando letteralmente la Chiesa in casa mia, visto l'imperversare della bufera.
Mia madre, persona dotata di uno sconcertante senso pratico, organizzò tutto in quattro e quattr'otto.
Non appena saputo che il giorno dopo mi avrebbero battezzato, decise di organizzare un rinfresco per la comare, i parenti e gli amici che sarebbero venuti a far visita, e siccome suo fratello Giuseppe (Peppìne de Ciòcce) si recava per lavoro ogni giorno ad Agnone, pensò bene di delegare lui all'acquisto dei dolci necessari per la buona riuscita dell'evento.
Quel pomeriggio, mio zio stava facendo la passatèlla nel bar de La Traversa, il locale simbolo dei giovani sangiovannari degli anni '80-'90, e mamma gli si avvicinò per chiedere:
– Peppì, addumàne ema vattieà Frangésche. Quand'arvié da Agnóne accatta quàttre chile de pàste mìscte.
– Vabbuó – tagliò corto Peppino, tutto preso dal "padrone e sotto".
– Peppì, me sié sendùte? N'è ca puó te ne scuórde?
– Lucì, nen te n'encarcà. Ce penze ije – fu la lapidaria risposta di zio.
Mio zio è un uomo con un innato senso del buonumore ed è estremamente affidabile: tuttavia, non sopporta le persone pedanti, quelle che ripetono cento volte la stessa cosa. E così, conscia del carattere di suo fratello, mia madre tornò a casa sicura che egli avrebbe svolto la masciàta con premura e diligenza.
Arrivò il giorno del battesimo e la neve non cessava di cadere.
Don Alfredo entrò in casa e, in assenza dell'abitino battesimale, mia madre sfilò in fretta e furia un panno bianco da qualche stipo, col quale venni avvolto per ricevere l'acqua santa che mi avrebbe accolto nella comunità cristiana. Terminata la funzione religiosa, mamma andò a casa di mia nonna, dove viveva zio Peppino, per prendere in consegna i quattro chili di dolci agnonesi.
Non appena entrò in cucina, nonna Rosa, sorridendo sommessamente, la avvisò:
– Lucì, nen t'arrajà.
– Ch'è succiésse? – chiese mia madre.
– Nen te la piglieà – ripeté mia nonna.
– Scì, ma se pò sapé ch'è succiésse?
A quel punto, tutti scoppiarono a ridere.
Sul tavolo della cucina erano infatti disposti gli acquisti che zio Peppino aveva fatto ad Agnone per la mia festa di battesimo. Ma, invece di quattro chili di paste miste, c'era mezzo chilo di rigatoni, mezzo chilo di zita, mezzo chilo di spaghetti, mezzo chilo di bavette, mezzo chilo di fusilli, mezzo chilo di bucatini, mezzo chilo di farfalle e mezzo chilo di tortiglioni. Zio Peppino aveva comprato quattro chili di "pasta mista".
E non riusciva a capire perché tutti ridessero.
Francesco Mendozzi