Giovanni Venditti (detto de Cuncèzie), quarto di sei fratelli e una sorella, nato a Sant'Angelo del Pesco, emigra molto giovane prima in Germania poi in Svizzera dove lavora come muratore. Animato dalla voglia di apprendere, all'attività pratica aggiunge lo studio. Frequenta corsi serali, studia la lingua, le tecniche di costruzione e la lettura dei progetti. Dopo aver acquisito una bella esperienza all'estero torna in Italia e subito rileva un negozio alimentare a Capracotta e parallelamente costituisce l'impresa edile. Versatile, coraggioso, operativo. Il suo approccio con le persone è cordiale e disinvolto, ha sempre una battuta pronta per chicchessia, ma talvolta nelle divergenze, quando il confronto supera la soglia, è lesto anche nel ricorrere alle mani. Affronta qualsiasi difficoltà, senza paure né freni e talvolta si trova coinvolto in avventure difficili nelle quali riporta anche danni fisici.
Ho conosciuto Giovanni nella sua arte del dire una notte tiepida di agosto, in piazza, ove c'è un folto numero di giovani nottambuli radunati davanti allo Sci Club, lui al centro che con i suoi racconti intrattiene noi tutti attenti all'ascolto. Racconta avventure per lo più vissute da lui, si esprime con un linguaggio insieme serio e ironico, nella sua lingua italiana frammista a cadenze dialettali capracottesi e santangiolesi. Il suo parlare caratteristico attrae ed affascina. I fatti, talvolta anche drammatici, colorati da una buona dose di fantasia, diventano storielle divertenti e umoristiche. Quella che ricordo, tra le tante raccontate quella notte, è la vicenda dell'asina trainata dal camion.
Giovanni, che abita in via Nicola Mosca, al mattino torna a casa per la colazione e parcheggia il camion accostato al muro prospiciente la sua abitazione. Consumata la colazione, scende in strada, mette in moto il camion e riparte tranquillo. Non fa molta strada, poco oltre piazza Cacaturo vede Ciccióne (Francesco De Renzis) che al suo passaggio agita velocemente le braccia e urla:
– Ferma! ferma! ferma!
Giovanni non comprende cosa stia accadendo ma, visto l'allarme di Ciccióne, ferma il camion, scende dal mezzo e vede, legata al suo autocarro, un'asina che a sua volta ha un asinello legato al basto. Giovanni, uscendo da casa, non si è accorto affatto della presenza delle due bestie, ma non impiega molto per capire chi imprudentemente le avesse legate al suo camion 'Ndunìne de Nigghióne (Antonino Paglione) che abita accanto a casa di Giovanni e che, tornato dalla Guardata, dove ha portato le sue mucche al pascolo, ha legato la sua asinella dietro il camion di Giovanni ed è salito a casa ritenendo che i due somari fossero ben protetti.
Giovanni in piazza mima prima i gesti di Ciccióne che si agita e poi, con le mani a pugni chiusi, le lunghe e robuste braccia distese, imita e descrive l'asina:
– L'àsena z'è mbundàta che le zambe d'annieànde e che re presùtte ŝtriscia pe la via, lassa re signe de re fiérre e re presùtte è deventàte rùsce come nu melóne.
L'asinello, invece, legato al basto della mamma, trotterellando segue. Il tutto è condito da Giovanni con apprezzamenti e battute. Noi si ride a crepapelle. Tanto mi ha colpito la recitazione di questa storiella da parte di Giovanni che altre volte gli ho chiesto di raccontarla, ma lui ogni volta tira fuori altre comiche avventure. La sua capacità di racconto è sempre efficace e raccoglie intorno a sé persone che con simpatia lo ascoltano.
Ed ecco tre storielle dal suo vasto repertorio e spiritose conclusioni.
Le tegole su un tetto spiovente
Giovanni ha eseguito un lavoro sul tetto di un signore e a fine opera c'è da trarre il saldo del conto. Giovanni rivendica un compenso che secondo il cliente è eccessivo. Il proprietario, per la trattativa, coinvolge un impresario amico. Questo tecnico cerca di indebolire le tesi di Giovanni ipotizzando difetti sul lavoro eseguito e gli obietta l'aver fissato con le viti le tegole sullo spiovente del tetto quasi verticale. E Giovanni di rimando:
– E ch'éva reŝtrégne ru pòpule pe mantené chesse téule!
Il conciliatore
C'è stato un tamponamento tra due auto sulla strada, in discesa da Prato Gentile, nei pressi del Giardino di Flora appenninica. Il conducente della vettura che ha tamponato non si ritiene responsabile e attribuisce pretestuosamente la colpa al ghiaccio che è sulla strada. Ovviamente i due conducenti non trovano l'accordo. Giunti in paese invitano Giovanni a dirimere la vertenza perché esperto di incidenti e controversie. Chiedo a Giovanni com'è finita la controversia tra i due automobilisti. E lui:
– Quìre ch'è tampunàte è nu suggètte curiùse, e pepìng e pepàng... nen vò capì ragione e a nu ciérte punte me dice: "Mó ema ì a vedé addó ŝtà la curva". E ije: "Ch'éma ì a védè addó ŝtà la curva: chéla ŝtà a addó ŝtéva!".
La corda agli operai
Un mattino d'estate sento da lontano Giovanni urlare dal suo cantiere. Vado da lui perché devo parlargli. Dal basso dirige gli operai sulle impalcature, io sono accanto a lui e mi parla con tono normale, ma all'improvviso cambia tono, urla e dà ordini agli operai che si muovono a rilento. Continua così l'alternarsi del tono di voce, regolare con me, urlato e perentorio con gli operai. Io a un certo punto gli chiedo:
– Giovanni perché urli tanto agli operai?
E lui mi risponde:
– A chisse j'éra dà la corda la matina!
Giovanni e la neve
Giovanni, in quanto impresa edile, è dotato di diversi mezzi meccanici, camion e ruspe. Ruspe diverse, aggiornate negli anni, che nell'invernata adopera per lo sgombero neve. A dicembre, infatti, chiusi i cantieri, stipula il contratto con la Provincia. Lavoro che svolge per ben 34 anni a partire dal 1964. E qui si mette in luce un altro aspetto della sua personalità: la generosità. È sensibile alle nascenti piccole iniziative turistiche invernali del paese, è tra i 20 componenti il comitato promotore della Valturicap. Per ben due volte invia, gratuitamente, un suo operatore con ruspa a Jaccio della Vorraina per trasportare i componenti della prima manovia, e al prato di Conti per sistemare la pista della seconda manovia.
A Capracotta la viabilità invernale, almeno fino agli anni '80, è sempre un grosso problema. Comunemente si ritiene che le difficoltà derivino dalle strade poco agevoli, dai mezzi della Provincia non sempre efficienti e dalle solite bufere ritenute inaffrontabili, ma non si pensa alla capacità degli operatori ed alla loro organizzazione. Spesso c'è disaccordo tra Comune e Provincia sugli interventi da effettuare. La guida dei mezzi è affidata ad autisti poco avvezzi alla neve, mal equipaggiati e comandati da cantonieri anziani, col sacro terrore della neve, non molto disposti ad uscire.
Giovanni, e con lui i Di Menna, giovani, infaticabili e coraggiosi, hanno il merito di assicurare l'apertura delle strade quasi sempre, anche in occasione di tormente di neve ritenute impossibili. Viaggiano con i loro mezzi ininterrottamente, giorno e notte, liberano le strade in corso di nevicata, evitano così la formazione di muraglie difficili da sfondare. Giovanni ha una sua idea sui requisiti di chi deve svolgere tale impiego:
– Éra tené la salute e éra fa l'amore che quire tipe de meŝtiére, se nen sié fidanzàte che la nève è mèglie che te mitte da parte!
Nel corso delle invernate interviene in qualsiasi ora e in ogni luogo là dove ci sono persone in difficoltà sulle strade innevate e non si risparmia in prestazioni faticose e risolutive, spesso non remunerate. Talvolta sgombera, a suo rischio, strade rurali non rientranti tra quelle convenzionate. Qui ha luogo parte del suo nutrito repertorio di avventure. In sintesi ne raccontiamo due particolarmente impegnative.
Che fine sié fatte?
Il 25 dicembre 1970 Clipper è finito con la ruota anteriore sinistra fuori strada in località Montagna. In tutta la giornata del Natale c'è una mobilitazione generale e un gran da fare per rimetterlo sulla strada. Vengono impiegate tutte le forze possibili, da quelle umane a mezzi di ogni genere di cui si dispone: un'autocorriera, una ruspa di Giovanni, quattro bulldozer dell'Esercito giunti da Caserta. Si lavora fino alle ore 11 di sera e non si riesce a smuovere minimamente Clipper dalla sua scomoda posizione. L'indomani, giorno di S. Stefano, Giovanni, Ennio Di Nucci, Elio Paglione e altri cantonieri partono alle cinque del mattino con ruspa, traverse di ferrovia, binda. Lavorano per una intera giornata. Intorno a mezzogiorno ricevono la visita dei pompieri da Agnone, i quali rimangono un po' a guardare e ripartono. Alle 23 circa finalmente riportano Clipper su strada. Intanto quel giorno Maria Paglione, moglie di Giovanni, alle ore 10 del mattino ha dato alla luce il suo secondogenito Stefano. Giovanni torna a casa a mezzanotte e finalmente conosce il neonato. Inevitabilmente giunge il rimprovero di tutta la famiglia:
– È nato tuo figlio, che fine sié fatte tutta na jurnata?
L'avventura che segue mi è presentata da Giovanni con questa affermazione:
– Chi ara cumannà ara sapé cumannà pecché se nen sà cumannà è meglie che ze fa cumannà!
È accaduta nell'inverno del 1979 a Sant'Angelo del Pesco ed è riportata così come raccontata dal protagonista.
Maresciallo dei pompieri a tempo
Io torno a casa juŝte a mezzanotte, mia moglie mi dice:
– Ha chiamato l'ingegnere capo della Provincia, lo devi richiamare urgentemente.
Chiamo l'ingegnere capo:
– Ingegnere, io so' Venditti.
– Venditti tu mi devi fare un favore, ti faccio parlare col prefetto.
– Il prefetto? Per fare che cosa? Che gli debbo dire al prefetto?
– Devi fare un piacere, a Sant'Angelo sono due giorni che non si passa, stanno un sacco di macchine buttate in mezzo alla strada perché un autotreno si è messo di traverso, me lo devi andare a tirare.
– No! – dico – ingegné, nooo...
– Ti passo il prefetto.
– Senta, lei deve fare 'sta gentilezza, quello che costa costa.
Devo andare, ma parto con la Golf, non con la ruspa, perché devo vedere il caso. Vado, mamma mia! Quando arrivo lì tutta gente che mi conosce, della zona, di Chieti, di Pescara. È venùte lu diàvule, è venùte lu diàvule eehh! Mó con questo usciamo. I carabinieri:
– È arrivato Venditti! Ecco!
Fa 'na bufera di fine di mondo. Non potevi scendere dalla macchina che ti scapicollavi! Gelato! Cinque gru dei vigili del fuoco, credo tre di Castel di Sangro e due di Agnone. Dico:
– Ma scusate marescià, qua vu tenete cinque gru dei vigili del fuoco e aspettate un mezzo pesante, ma che ve credete che ciò io? No! No! Io mó telefono e non faccio venire più il mezzo!
– Ma io devo rendere conto al prefetto, lei è venuto o non è venuto?
– Senti, se tu permetti, qua i pompieri hanno l'attrezzatura o non ce l'hanno?
– No, questi hanno paura perché come agganciano la macchina la gru si alza. Allungano il braccio da lontano e un po' che alzano no! Rimettono giù. Signor Venditti adesso dipende da lei, qua che cosa dobbiamo fare?
– I vigili del fuoco sono attrezzati?
– Vieni, io ti faccio parlare col maresciallo dei pompieri.
– Ditemi tutto, parlate con me.
– Marescià, qua pe' caccià 'sta macchina non ci vuole nessun mezzo. Le macchine le puoi rimandare in sede, lascia solo gli operai qua.
– Ma per fare che cosa?
– Per cacciare la macchina!
– Ma sai che fai ridere?
Ci sta Fantini di San'Angelo, ch'è nu piézze de delinquente. È une ch'ha fatte il trasportatore 'na vita, è bravo, viene vicino a stu marescialle e dice:
– Fa' fa' a Giovanni ca quiste è nu diàvule!
Allora io dico:
– Tenete le binde e i pezzotti?
– Sì, sì!
– Cominciate a portà binde e pezzotti qua, marescià, però a una condizione, che per due ore devo fare io il maresciallo.
Il maresciallo dei pompieri effettivamente si offende.
– Tu puoi fare quello che vuoi, però devi chiedere al prefetto se ti fa fare il maresciallo.
– Carabiniere chiama il prefetto e digli che se mi dà il permesso per due ore di fare il maresciallo la macchina sta fuori, sennò mó me ne vado!
– Sì, sì! Altro che permesso, basta che lei è in grado!
– Allora fai fare a me!
Si avvicina uno di questi, il filosofo napoletano:
– Nuovo capo dimmi tutto, ch'avimma fà ccà?
– Cominciate a prendere sei binde e pezzotti.
– E mettimme accoppe e iamme avasce! Noi so' due giorni che mettiamo i pezzotti, mettiamo la binda e se ne vanno sotto.
– Mó tu per due ore devi fare quello che ti dico io! Dopo due ore chiedi ordine al tuo comandante e te ne vai a fare come ti pare!
Inizia l'operazione recupero. Il metodo di Giovanni, già sperimentato altre volte, funziona. Alle sei del mattino il camion è in piano sopra a quei pezzotti, può ripartire. Ed ecco il via di Giovanni al camionista:
– Metti in moto, esci fuori!
È un autotreno carico di stivali, quando me ne accorgo dico all'autista:
– Lassamene ddù.
– Sì, sì, sì!
Parte quiŝt'autotréne, nen ze ferma cchiù. Aje ancora avé re steviàle, m'ara paà ru prefètte, m'ara paà ru 'ngegnére cape. Ogni volta che vaje a Pescara a n'officina ce ne sta une, quanda me véde ze métte le mieàne accuscì (si regge la testa) e dice:
– Ddù juórne a Sant'Angelo del Pesco... se nen menive tu ŝtavame ancora lòche.
Il cuneo impazzito
Giovanni deve rimuovere i pattini di acciaio usurati dalla base del vomere della sua ruspa sgombraneve. Inizialmente lui regge il cuneo da inserire nella sede e il giovane nipote Elio percuote fortemente con un pesante martello. Dopo un po' Giovanni dà il cambio al nipote e comincia lui a percuotere con altrettanta forza. Il cuneo appena conficcato è lasciato libero e, a seguito di un colpo violento di Giovanni, rimbalza come un proiettile finendo nella sua bocca. Gli rompe tutti i denti di prima fila e scardina dagli alveoli quasi tutti gli altri denti del retro della bocca. Il colpo è micidiale e doloroso. È soccorso subito dal medico di famiglia, trascorre la notte nel suo letto con forte perdita di sangue e dolore. L'indomani è ricoverato in una clinica abruzzese specialistica. Torna a casa nel periodo natalizio. Io e il suo compare Diodato gli facciamo visita, ci racconta l'incidente e conclude:
– Dìve na botta, èrane passàte na ventina de menùte e chéla zéppa partètte!
Nonostante la drammaticità dell'infortunio lui, nel raccontare, rende la sua storia quasi claunesca e ci fa ridere anche questa volta.
Michele Potena
Fonte: M. Potena, Quiste è nu diàvule!, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. V, Proforma, Isernia 2014.