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Il racconto di un legionario


Gino Mainardi

Cremona, 31 dicembre.

Nuove rivelazioni sulle condizioni di vita delle popolazioni nell'Italia invasa dagli alleati, vengono riferite da "Regime Fascista" di stamane da un legionario fuggito una decina di giorni fa dall'Italia meridionale, attraverso il massiccio della Maiella. Il legionario Gino Mainardi, già segretario politico di Castelmorano, volontario in Libia e in Africa Orientale e combattente in Jugoslavia e in Sicilia, si trovava il 10 settembre a Rogliano, sulla linea Catanzaro-Cosenza, allorché venne preso perché fascista e inviato a Taranto, dove fu messo in un piccolo campo di concentramento insieme ad altri quaranta camerati.

Due primi tentativi di fuga furono senza successo, perché il Mainardi venne ripreso dalla polizia e portato al Distretto. Quivi regnava il più spaventoso disordine. All'arrivo degli invasori tutti gli uomini validi e non validi si erano dovuti presentare entro le 48 ore pena la fucilazione o la deportazione. Le classi dal 1912 al 1924 sono state chiamate alle armi e gli uomini inviati a Bari, dove avveniva il concentramento generale. Ma gli ufficiali erano abbandonati a se stessi, i soldati senza vitto, senza alloggio, senza scarpe e senza divise. I pochi coscritti che risposero alla chiamata si videro adibiti alla riparazione delle strade e a rifar i ponti, e trattati in un modo così bestiale che la maggior parte di essi si diede alla macchia. Da allora le chiamate rimasero senza eco.

A Morrone del Sannio un parroco ottantaquattrenne ospitava per otto giorni tutti i militari fuggiaschi. Egli raccontò che gli inglesi avevano grandi compagnie di varietà e che, quando non trovavano locali adatti, requisivano le chiese, come era appunto successo a lui, che dalla chiesetta era riuscito a portar via appena in tempo i dipinti e gli arredi sacri prima che ne prendessero possesso le orchestre di jazz e le girls.

In quella località erano accantonate truppe canadesi, che non dissimulavano di odiare gli inglesi e di essere arcistufi di una guerra di cui non vedono assolutamente l'utilità per il loro Paese. Anche le truppe indigene si manifestano molto stanche, perché gli inglesi le mandano sempre in prima linea, a sferrare i primi assalti.

La terza volta il legionario riuscì a passare attraverso le linee opposte. Il 18 dicembre era a Capracotta, il 19 sulle pendici meridionali della Maiella, ed il 20 raggiungeva gli avamposti tedeschi. Le condizioni della popolazione nei territori occupati, ha riferito il Mainardi, sono terribili. Siccome le truppe di occupazione sono pagate lautamente, e vaste sono le requisizioni di generi alimentari, i prezzi son saliti ad altezze paurose. Un litro di vino si paga 100 lire, il grano nelle provincie di Avellino e di Napoli è a 6.000 lire il quintale, il pane di contrabbando costa 120 lire il chilo, ed è spesso indispensabile ricorrervi, perché la razione di rado supera i 50 grammi giornalieri.

Nulla si importa per i bisogni della popolazione civile. Mancano totalmente fiammiferi, tabacchi, sale, che non si ottengono nemmeno ai prezzi più esosi. Si fanno indumenti con le lenzuola tinte. Nessuna linea di trasporto funziona se non per i militari occupanti. Sono stati riattivati solo le strade, i ponti e le ferrovie di interesse bellico, sicché intere plaghe sono tagliate fuori dal mondo e abbandonate nella loro miseria.

Le scuole sono tutte chiuse, la posta non funziona, sussidi e pensioni sono totalmente sospesi. Bimbi vengono inviati nell'Unione sovietica, uomini e donne arruolati per i campi di lavoro dell'Africa Settentrionale e dell'America. Tutti deprecano l'orrendo modo di combattere degli anglo-americani, che sono capaci di cannoneggiare e bombardare per giorni e giorni un povero villaggio già evacuato dai tedeschi, pur di non rischiare di incontrarne qualcuno.

 

Fonte: Il racconto di un legionario fuggito attraverso la Maiella, in «Corriere della Sera», Milano, 31 dicembre 1943.

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