I tedeschi erano arrivati da pochi giorni a Capracotta, decisi a rimanerci per i loro sporchi affari. La festa della Madonna di Loreto era finita ma la letizia di quei giorni non era rimasta in cuore alcuno.
La presenza dei nazisti in paese era una spada di Damocle, un macigno che pesava sulle esistenze di ogni cittadino. I crucchi, infatti, stavano provvedendo a requisire, casa per casa, ogni ben di Dio. E non cercavano soltanto alimenti utili al proprio approvvigionamento, no, cercavano soprattutto gli uomini, i capracottesi maschi che non erano al fronte: i capifamiglia, i soldati in licenza, i giovani riformati e i non più giovani.
Furono tanti i capracottesi che, certi di subire un rastrellamento nei locali dell'asilo d'infanzia e di finire chissà dove in qualche campo di lavoro, si diedero alla macchia. Qualcuno scappò verso il Verrino, in direzione di Agnone, qualcun altro verso il Sangro, giù ai casolari che ancor oggi è possibile ammirare dal belvedere.
Proprio lì sotto, precisamente presso la cosiddetta masseria di Maone, incuranti degli eventi che stavano destabilizzando il paese, vi erano Silvio Cacuàcce Paglione, e Costanzo Sozio. I due si stavano cucinando una bella pecora, un po' al brodo e un po' arrosto.
Ad un certo punto videro sopraggiungere un fiume di gente: altri non erano che quei capracottesi che stavano tentando di evitare il rastrellamento nazista. Ma Silvio e Costanzo, ignari di tutto, avevano paura che la loro pecora non sarebbe bastata per tutte quelle bocche affamate e così il primo, combà Cacuàcce, celebre per la sua furberia, convinse Costanzo a fingersi un soldato tedesco, così da spaventare tutti.
Molti pastori, infatti, a quel tempo portavano il paŝtràne, un cappotto del tutto simile a quello militare. Al sopraggiungere di quella marmaglia, fu allora facile per Costanzo gridare con tono soldatesco qualche parola in finto tedesco. La tensione, che già animava quei poveri fuggiaschi, divenne terrore puro e così si dispersero in men che non si dica.
A Silvio e Costanzo non rimase altro che gustarsi la pecora in santa pace.
Francesco Mendozzi