Scrivere di civiltà italiche preromane, da Padova, fa un certo effetto poiché questa è la città che ha dato i natali a Tito Livio, il più grande tra gli scrittori di Roma caput mundi. Antonino Di Iorio, tra i suoi libri scrive che Roma celebrò 30 trionfi sui Sanniti, che adoravano 17 divinità, minuziosamente riportate nella Tavola Osca.
Quest'estate, con colti soci del club eclettico "Ragno" di Bojano (CB) ho rivisitato il Tempio di Campochiaro (CB) dedicato ad Ercole: lo avevo visto, una prima volta (ma dal versante nord, accompagnotovi dal cultore di storie patrie bojanesi, Michele Campanella) una ventina d'anni fa. Sia la prima volta che la seconda (accompagnatovi dal dr. in Criminologia ed appassionato di Archeologia, A. G. Del Pinto), oltre alla maestosità dei reperti archeologici (li ho dovuti ammirare da lontano poiché, era orario di chiusura e festivo domenicale) il Tempio, mi ha sorpreso piacevolmente. Esso è dominato quasi come una corona, con il viso libero dal bosco, rivolto a nord, dalla natura maestosa del bosco di faggi del Matese settentrionale. Sembrava di scorgere tra il Tempio culturale e il Tempio naturale una simbiosi armoniosa.
La prima volta che vi andai mi accarezzò il viso un fresco venticello o brezza di monte quasi all'ora dell'imbrunire che mi rimandò, con l'immaginazione, ai sacerdoti politeisti del Sannio che là celebravano la divinità di Ercole insieme alle altre 16 riconosciute nella civiltà preitalica dei nostrani Sanniti. Con l'imperatore Costantino termina il politeismo anche di Roma, caput mundi, ed inizia l'epoca del monoteismo cattolico, siamo nel IV sec. d.C. anche se in Armenia 50 anni prima dell'editto costantiniano c'era stata la scelta monoteista giudaica.
Ma torniamo a Campochiaro, dove nel 1600 il famoso naturalista francese Tournefort, ospite dei locale baroni fratelli, Fabio e Giovanni Colonna, scoprì la pianta erbacea appartenente alle Scrufolariacee e la classificò Veronica campiclarensis. Dunque Campochiaro, da campo clarus, dove si seppellivano i morti, forse del vicino Santuario di Ercole, si fregia di non poche rarità naturali (pozzo della Neve, altre grotte da primato, fossili paleontologici e archeologici antichi e medievali come i cavalieri longobardi sepolti sui cavalli rinvenuti quasi 30 anni fa durante il mio periodo d'insegnamento a Campobasso) e culturali (Tempio di Ercole, architettura delle fontane con mascheroni cantati da E. Spensieri, chiesette graziose, patrimonio artistico, emigrati di valore, ecc.).
Ma riveniamo al locale Tempio di Ercole, eretto dai Sanniti sia prima che dopo la battaglia di Canne, che pare non vide il favore delle divinità romane tra cui anche il nostro Ercole, per cui si eresse ancora più solido il suo tempio esistente già a Campochiaro, almeno dal IV sec. a. c.. Il culto di Ercole a Roma ricalcava il mito greco di Eracle, con alcune aggiunte e specificità. Ercole era venerato il 12 agosto e aveva gli epiteti di Invitto, Vincitore, Custode. Spesso il culto era associato a fonti e specchi d'acqua.
A Campochiaro il 12 agosto si dovrebbe ricordare di più Ercole ed il suo tempio poco visitato e spesso chiuso nonché con cartelli stradali fuorvianti il sito stesso. Il mantovano Virglio nel libro VIII dell'Eneide scrisse di Enea a Pallanteo, dove regna il re Evandro, che sta celebrando un rito in onore di Ercole. Dopo il banchetto seguito alla cerimonia, il re racconta a Enea le origini di quel rito. Ercole, di ritorno dalla Spagna con la mandria dei buoi catturati da Gerione, fa sosta nel Lazio, a quel tempo infestato dal mostruoso Caco, che ruba la mandria di Ercole e la nasconde nel suo antro; l'eroe, irato, lo scopre e lo uccide. Gli abitanti del luogo, grati per essere stati liberati dal flagello, gli dedicano un rito, testimoniato ancora ai tempi di Virgilio dall'ara massima di Ercole Invitto, situata nel Foro Boario, da cui partivano i cortei trionfali.
Perché il 12 agosto non si inizi una bella scampagnata al Tempio di Ercole di Campochiaro con pranzo di prodotti locali come Boletus edulis o porcini, Lepiota procera o mazze di tamburo, fragoline di bosco, insalata condita con l'ottimo origano di Campochiaro e per i non vegetariani agnello alla brace con patate o cipolline locali? Non ci vuole affatto il solito fondo erogato da qualcuno, basta ripetere massime locali: "Alla montagna chi porta magna".
Ercole fu il primo mortale che riuscì a diventare Dio, nei sarcofagi romani sono frequenti le raffigurazioni delle 12 fatiche, quale simbolo delle prove che deve affrontare il defunto per raggiungere l'immortalità. Invece nel piccolo fiume Lete, situato a Letino sull'alto Matese, bastava bagnarsi per purificare i peccatucci terreni, prima di andare nel Paradiso, dove Virgilio fa incontrare il padre Anchise ad Enea, e Dante vede nel venticello carezzevole, come al Tempio di Campochiaro che ho notato io, il volto della sua amata donna ideale del "dolce stil nuovo", Beatrice, nel bosco di faggi che circonda il piccolo fiume Lete o fiume dell'oblio. Tale fiume è situato, a mio giudizio interpretativo della descrizione virgiliana e dantesca, nell'alta valle del Lete in territorio di Letino come scritto nei due libri, disponibili presso il Club "Ragno" di Bojano.
Il filosofo greco Seneca scrisse le tragedie "Hercules furens" e "Hercules Oetaeus"; nella sua satira "Apokolokvntosis" sulla morte dell'imperatore Claudio, immaginando ironicamente che Ercole avesse avuto il ruolo di portinaio e buttafuori dell'Olimpo. Come i nostri Sanniti nella Tavola degli Dei di Capracotta, detta impropriamente di Agnone, si ispirarono alla divinità di Ercole così alcuni imperatori romani si ispirarono ad Ercole: Commodo che amava combattere nell'arena, vestito come il semidio e Massimiano Erculio, che diceva di essere suo discendente e aveva una guardia del corpo dedicata, gli Herculiani.
Numerose sono le leggende che hanno Ercole come protagonista e numerosi sono i suoi figli, protagonisti a loro volta di ulteriori miti. In Romania ricordo di aver visto e sentito raccontare del mito di Idra in lotta con Ercole nella valle dell'affluente del piccolo fiume che riempie il lago di Cincis, che raffredda gli altiforni di Hunedoara, città dell'acciaio, da cui, fornace di Govasdie, partì la lega ferro-carbonio o acciaio per edificare un piede della Torre Eiffel di Parigi. Sembrava di intravvedere, così lontano dalla colta Padova, Ercole combattere strenuamente con i tanti tentacoli dell'idra.
Secondo la mitologia greca, la seconda delle 12 fatiche di Ercole fu la lotta vittoriosa di Ercole con l'idra di Lerna, mostro con 9 teste di serpente. L'impresa dell'eroe era letta dai neoplatonici come simbolo della lotta tra un principio superiore ed uno inferiore, secondo l'idea di una continua tensione dell'animo umano, sospeso tra virtù e vizi; l'uomo in pratica era tendenzialmente rivolto verso il bene, ma incapace di conseguire la perfezione e spesso insediato dal pericolo di ricadere verso l'irrazionalità dettata dall'istinto, naturale?; da questa consapevolezza dei propri limiti deriva perciò il dramma esistenziale dell'uomo neoplatonico, consapevole di dover rincorrere per tutta la vita una condizione apparentemente irraggiungibile. Nella cattedrale di Bojano, il colto Arcivescovo di Ancona, nativo di Colle d'Anchise (CB) ha voluto un'applicazione artistica di catechesi con indicati i vizi in discesa e le virtù umane in salita lungo la scaletta che conduce alla cripta con un'altra fonte delle fredde acque del fiume Biferno, che ha origine a Bojano, Tifernus Mons dei Romani e montagna sacra dei Sanniti. Là, in quella valle romena, prima citata e quasi deserta di uomini, l'Idra sembrava ravvivare le limpide acque come Ercole sembrava soffiare dietro il venticello di Campochiaro quella sera d'estate del 1989.
Ma vediamo un po' cos'è la Tavola degli Dei del Sannio. Essa è una tavoletta o lastra bronzea, rinvenuta nel 1848 presso Agnone in località Fonte del Romito, presso il terreno di G. Falconi, vicino il Monte Cerro del comune di Capracotta (IS), del III sec. a.C. in lingua osca dei Sanniti. Il contadino Pietro Tisone, durante l'aratura, avrebbe scoperto il reperto, sottoposto all'osservazione dei fratelli Saverio e Domenico Cremonese. Presto la notizia del ritrovamento arrivò alle orecchie del famoso studioso tedesco Theodor Mommsen, che studiò l'importante reperto, come testimonianza nel Sannio della lingua italica. La tavola successivamente entrò nella collezione di Alessandro Castellani, che nel 1873 la vendette agli inglesi del British Museum di Londra, dove ancora è gelosamente custodita e non restituita al nostro amato e identitario Sannio. La Tavola suddetta misura 28×16,5 centimetri, munita di maniglia e fori; è tracciata l'iscrizione in modo netto e profondo sulla superficie del bronzo. Essa è presente su ambedue le facce, 25 righe sulla principale e 23 sulla posteriore. La prima parte del testo descrive un sacro recinto dedicato a Cerere, dea della fertilità, per la quale nel corso dell'anno avvenivano a scadenza ritmica delle festività sacre. Si aggiunge nel testo che ogni due anni una cerimonia speciale aveva luogo presso l'altare del fuoco, che in occasione di Floralia (festività primaverili), nei pressi dello stesso santuario si celebravano sacrifici in onore di quattro divinità. Sul retro si precisa che al recinto sacro appartengono gli altari dedicati alle divinità venerate al suo interno. Vi si afferma inoltre che solo quanti pagano le decime sono ammessi al santuario, e quindi il testo elenca ad inventario le proprietà del santuario, le persone che possono frequentarlo e quelle che lo amministrano.
Il santuario principale dei riti del popolo sannita è stato individuato nel Tempio italico di Pietrabbondante (IS), che spesso dà più voce a Mommsen (Bovianum Vetus è a Pietrabbondante) e non al prof. canadese E. T. Salmon (Bovianum Vetus è a Bojano) per individuare la vera e non presunta Bovianum Vetus, che l'autodidatta, Benedetto Brunetti, di Bojano, non riconosce affatto perché ritiene il popolo dei Sanniti abitanti di piccoli villaggi senza necessità di una capitale. Forse è l'unico bojanese "doc" a ragionare non da campanilista esasperante come lo sono, purtroppo, molti dell'Alto Molise per la loro Pietrabbondante e il Molise centrale per la loro Bojano. Il patrimonio naturalistico, ma ancora di più quello culturale ed artistico italiano, è il più ricco del pianeta Terra.
È tempo di cominciare a utilizzarlo come azienda che produce servizi di alta qualità, non per il personale impiegatizio delle sovrintendenze varie (lo scrive anche Antonino Di Iorio in un recente libro sulla Storia del Sannio) e non consuma solo continui contributi erogati come un grande fiume con migliaia di rivoli defluenti e troppi impiegati improduttivi. Non pochi giovani studenti e disoccupati, capaci e meritevoli, aspettano di entrare nel ciclo produttivo del nostro Grande e Bel Paese. Alcuni, selezionati con il concorso meritocratico, possono da subito fare da guide ai musei, ai templi e ai giacimenti naturalistici e culturali, soprattutto in Mezzogiorno (dove inefficienze, sprechi e parentopoli, purtroppo, non danno facile spazio democratico all'ascensore sociale meritocratico e i musei tranne Pompei non sono produttivi per il contribuente italiano supertartassato) ed in Molise come a Campochiaro, Terravecchia, Isernia, Venafro, Civita di Bojano, Pescolanciano, Roccamanndolfi, nonché a Pietrabbondante, Altilia, Agnone, Larino, Termoli, ecc., dove i turisti sono pochissimi e i non pochi fondi per i musei e i templi archeologici non sono ancora capaci di attrarre i flussi turistici, oltre la costa balneare termolese.
Giuseppe Pace
Fonte: https://caserta24ore.altervista.org/, 28 agosto 2017.